Caro Torriani, quando disegni il Giro d'Italia non mettere il piombo nel sellino di Moser


Sarebbe bene che il popolare organizzatore si ricordasse di tracciare un percorso adatto alle caratteristiche dei nostri corridori che possono da soli garantire un grandissimo successo alla sfida per la maglia rosa

di MARIO FOSSATI
Bicisport n. 1, gennaio 1978

Vincenzo Torriani, di cui non condivido affatto ogni atteggiamento, fa "cavalier seul" nel piccolo mondo degli organizzatori ciclistici. Il grosso pilastro emergente all'orizzonte ciclistico è, infatti, il Giro d'Italia, che Vincenzo Torriani ogni anno mette in strada. Ora Torriani ha ottenuto a Ginevra l'anticipazione delle dat di inizio e di chiusura del Giro così da sfuggire alla concorrenza., in verità munita, del campionato del mondo di calcio, la cui fase finale avrà luogo in Argentina.

Il Giro lo si correrà dall'8 al 28 maggio. Io non so se Torriani abbia già tracciato l'itinerario. Non lo credo, pure sapendo che Torriani coltiva rapporti abbastanza regolari con i suoi "clientes". L'anticipazione del Giro dovrebbe escludere il transito di alcuni passi alpini, a maggio sicuramente innevati. Il ciclismo, si sa, è strada. Il corridore trova nel paesaggio un ambiente animato, con il quale bisogna fare i conti. Coppi, che era un uomo intelligente, solva dire che è molto difficile... tenere un contatto con il suolo.

Lui, Coppi poteva soltanto dolersi dell'alleggerimento di un Giro o di un Tour non già dell'appesantimento: era un cronoman che staccava i grimpeur in salita, uno scalatore che batteva i passisti nel "mondiale" dell'inseguimento, un primatista dell'ora che fuggiva sullo Stelvio.

Ma tant'è, è inutile rimpiangere i tempi felici anche perché il ciclismo nazionale non è proprio in bolletta nera. E come potrebb esserlo un ciclismo che possiede il campione del mondo Moser, G.B. Baronchelli e Saronni; un vecchio da leggnda, Gimondi; e Vandi e Beccia e Paolini; e giovani della taglia di Barone, Algeri, Ceruti?

Torriani ha dunque davanti a sé un elenco nazionale, si badi bene, nazionale, che già assciura un successo di partecipazione. Questa lina gli dovrebbe ispirare una saggia scelta del percorso.

Torriani ha tracciato molti Giri di Italia ricucemdo gli assegni che i candidati alle sedi di tappa gli sventolavano davanti alla punta del naso. Torriani rincorreva quei foglietti, di cui afferrava l'irresistibile fruscio, e alla fin il Giro era bello e fatto.

Ea un metodo, il suo, redditizio (per Torriani segnatamente) ma non sempre tecnicamente ineccepibile. Risultava a volte che il campione maggiormente amato dalle folle si ritrovasse sotto le ruote un percorso eccessivamente ostico: che non gli venisse dato modo, insomma, di fronte allo straniero, di sfruttare un fattore che, oltre confin, invece, era molto rispettato: il fattore campo.

Noi non vogliamo dare una spintarella a Moser, che pure è un campione del mondo e che un riguardo lo merita. Piuttosto vorrei che noi italiani fossimo, una volta tanto, furbi con misura. (Furbo, è chi fa paura ai troppo furbi).

Moser, nel 1978, dovrebbe raggiungere l'optimum.

Si dà il caso che il suo corredo tecnico assomigli a quello di G.B. Baronchelli e di Saronni: e ancora, che il vecchio Gimondi (il ciclismo concede sempre molto alla leggenda) non ami soverchiamente le strade all'insù; che Vandi, a mio avviso, in fase di maturazione, non gradisca le fatiche massacranti; che lo stesso Beccia, che si avvicina agli arrampicatori di una volta, possa fare valere il suo scatto pue su rampe brevi (quasi non bastasse Beccia è partner di Moser).

Conveniamone, un Giro di Italia ch non ci presentasse un eccessivo numero di impennate per camosci (o per capre, constatato che la razza degli arrampicatori si è esaurita da un pezzo) non sarebbe un favore eccessivo usato a Moser.

Il quale moser - lo è stato anche nel Giro di Italia di Pollentier - è il campione che fa la corsa: il radiofaro ch, andando all'attacco e prendendo di petto l'avversario diretto (lo scorso anno finché fu in gara Maertens) trasforma in capitano chi manovratore di uomini non è.

la montagna come dio del Male non già del bene; il monte, che deve esigere un tributo di sofferenze al campione solitamente più bello costituiscono la mania di quello stuolo variopinto che sono gli organizzatori ciclistici: il cui sogno rimane pur sempre una cronoscalata che abbia per traguardo la Madonnina del Duomo di Milano o il cupolone di San Pietro ed anche una cronometro lungo i tunnel della metropolitana oppure per le calli e i campielli di Venezia. (Torriani, del resto, un giorno aveva tentato di farci credere che Venezia era una città stradale: che le calli erano dei corridoi e i campi dei cortili su cui, a dispetto dei canali, si poteva fare svolgere la corsa, una "cronometro" appunto).

Io mi auguro che la geografia del Giro - perché ogni corsa a tappe ha una sua geografia - non venga stravolta. Non vale accrescere la corsa di aspetti avventurosi perché una corsa a tappe, gli aspetti avventurosi, li porta con sé. Non aggraviamo eccessivamente di piombo la sella di Moser, vorrei scrivere. È tutto. 

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