Radiografia di Visentini, un anti-Saronni che nel ciclismo cerca disagi e divertimento


Non corre per arricchirsi: è già ricco di famiglia. Corre per soffrire e per vincere

Ma guarda un po' che tipo: non era mai capitato in questo sport un protagonista tanto raro. E' fortissimo sul passo e sa scalare in progressione. Al suo primo Giro d'Italia (ventun anni non ancora compiuti) ha impressionato e stupito. Ha fatto sci, nuoto, motociclismo prima d'arrivare alla bicicletta. Adesso aspira a una maglia azzurra «che saprei come difendere sul circuito del Nürburgring»

di Ermanno Mioli
Bicisport n. 7, luglio 1978

Rientrato in albergo dopo la batosta di Canazei, intirizzito col dorso squassato da una tosse quasi convulsa, Roberto Visentini incrociò lo sguardo pensoso di Zilioli. Entrambi rimasero in silenzio per due-tre minuti. Poi il ragazzino esplose: «Non mi dici niente, Italo? Non mi dici che ho fatto pena?». Zilioli abbozzò un sorriso stanco, ma pieno di comprensione. Prima ancora che il direttore sportivo potesse parlare, Visentini riprese con la stessa aggressività: «Ora però mi fai preparare la Colner speciale per la cronometro: la corro col massimo impegno, a costo di spaccarmi in due». Gareggiò, infatti, nonostante il medico fosse perplesso. E fece miracoli. Il dottor Pier Luigi Veronesi che alla fine, complimentandosi, gli diceva: «Dalla vettura sentivo un colpo di tosse ogni cento metri» Roby ribatteva: «E non ha sentito l'imprecazione che accompagnava ogni colpo di tosse! Però sono arrivato e arriverò anche a Milano». Il medico bolognese, esperto di medicina sportiva e di psicologia, è entusiasta di questo atleta ventunenne: «Ha un carattere eccezionale, una aggressività innata, un eretismo psichico spiccatissimo». "Io quando crollo debbo cadere in terra, non mi sono mai ritirato da dilelttante!" mi ha detto più volte. Un'incredibile capacità di soffrire. I valori fisiologici sono notevoli: pulsazioni 45-120; frequenza cardiaca: 40 e la prova del consumo di ossigeno è addirittura ottima».

Visentini ha dunque le caratteristiche psico-fisiche del campione. E non c'è nemmeno il pericolo che gli agi possano rovinarlo, perché nell'agiatezza lui è nato, percorrendo un cammino inverso per il ciclista: dal benessere ai duri sacrifici dell'agonista sui pedali. Un San Francesco sul cavallo d'acciaio (come l'ha definito Luigi Gianoli, giornalista di grande sensibilità e di vasta cultura) ma la rinuncia ai piaceri della vita è soltanto temporanea. «Sono disposto a soffrire soltanto se ne vale la pena: se sfondo in due tre anni, bene, sennò torno a fare dello sport soltanto per hobby». Gli hobby sportivi di Visentini sono diversi: nuoto e pesca subacquea, motocross, podismo, sci, pattinaggio, tutti praticati a livello agonistico (oltre, beninteso, il ciclismo), tutti o quasi con discreto successo. Diverse discipline sono da benestante: ma perché sceglie come professionista, ossia a tempo pieno, proprio la più difficile? «Perché come nessun'altra mi dà il senso della conquista; e perché nel ciclismo mi sono affermato più facilmente» risponde il ragazzo. per una sorta di inconscia reazione a una vita piena di tutto, Visentini quasi si diverte a cercare nello sport disagi e privazioni.

Nato il 2 giugno 1957 (è coetaneo di Saronni e in salita... nemmeno lo vedeva, il Beppe), a Gardone Riviera, dove la natura è prodiga di bellezze (non soltanto paesaggistiche...), ha sempre la possibilità di esaudire ogni desiderio: gli sci (a meno di otto anni, prima della bici) poi il KTM 250 da cross, l Kawasaki 400 da play-boy in erba, la BMW 320, appena in età da patente. In casa Visentini i soldi non mancano e per quel ragazzo che cresce rinchiudendosi in se stesso, forse avvertendo il trauma del contatto costante col dolore e con la morte (il padre è titolare di una nota impresa di onoranze funebri) si fanno tutti in quattro.

Roby non ama lo studio, lo pianta con la scuola dell'obbligo, ma si scatena nello sport, con un'attività frenetica (in contrapposizione all'atmosfera triste e pesante in cui deve vivere tutti i giorni); in famiglia lo incoraggiano perché nello sport scarica le tensioni e il carattere si smussa, e si affina attenuando lentamente una innata introversione. Scia benissimo (è talmente bravo, ora, che nell'inverno intende ottenere il diploma di maestro), riesce bene pure in bicicletta se nel 1971, a quattordici anni, si piazza quindicesimo nella prima corsa, ottavo nella seconda e primo nella terza (per distacco a Broni) e si aggiudica in quell'anno nove vittorie; 16 in quello successivo e una trentina l'anno dopo, come allievo. Ha forza e stile, ma manca di spunto velocistico: tutte le vittorie - sono una novantina - le ottiene per distacco, partendo da lontano o da vicino come nel campionato del mondo juniores (Losanna) quando lascia a un chilometro e mezzo due compagni di fuga, affermandosi con una decina di metri; appena qualche giorno prima si era laureato tricolore. Si considera uno scalatore, ma l'anno scorso ha vinto a S. Maria Codifiume il primo campionato italiano individuale. Si trova bene in solitudine. Sa dosare la sua attività. Chi teme che il dilettantismo l'abbia spremuto, tenga presente che s'impegna soltanto in due corse a tappe: il Giro della Val d'Aosta (ancorché impreparato si piazza) e il Tour de l'Avenir (terzo). E' dunque atleta fresco di energie che nel '77 (anche perché militare) disputa soltanto venticinque corse. E non è azzurro...

Il grosso pubblico si accorge di Visentini soltanto nel Giro d'Italia. Ma Roby avverte di poter essere qualcuno nel professionismo qualche mese prima, nella Tirreno-Adriatico dove pure è vittima di due cadute. Lui, tuttavia, non ha mai dubitato: ha lo specchio di Saronni, che conosce bene, e soprattutto crede in se stesso. Alla Vibor si ambienta subito e benissimo: patron bresciani già amici, un direttore sportivo come Zilioli, taciturno, ma ricco di esperienza, di umanità, di comprensione; un medico come Veronesi contrario alle molte medicine e alle molte parole, che sa usare tanto bene queste da arrivargli nell'animo, con una presenza discreta che non pesa, che non è mai incombente. Tecnicamente che tipo di corridore è Visentini? Un passista-scalatore, un normolineo che recupera con estrema facilità, dunque tipico regolarista, quindi uomo da corse a tappe; corridore che ci manca dopo il tramonto di Gimondi. Il campione che lo ha esaltato (come del resto tutti quelli della sua generazione) è Merckx. Lui a chi assomiglia? Non ama le catalogazioni, ma afferma di essere l'antitesi di Saronni (scattista, velocista, ex pistard) perché ha sempre avuto in uggia la pista. Si "vede" più scalatore che passista.

Il Giro non lo impressiona: «Direi che ho faticato di più nel Tour de l'Avenir, forse anche per i disagi degli alloggi. Certo, è un modo diverso di correre: c'è una variazione di ritmo alla quale molti ex dilettanti non riescono ad abituarsi, oltreché una distanza diversa che chiama in causa l'autonomia di ciascuno». E' definito "rivelazione del Giro", eppure il Giro non l'ha interamente soddisfatto: «Ho commesso errori di inesperienza come nella tappa di Ravello, o in quella del Trebbio, o come in quella del Terminillo dove mi buscai la bronchite per mancanza di elementari precauzioni. E' proprio la bronchite che mi ha impedito di avere l'esatta misura delle mie possibilità. Ho tentato qualcosa fino al termine, anche nell'ultima tappa. Ma era una forzatura». Comunque non esita a definire il suo Giro un fatto importante: «Mi sono convinto che un anno o l'altro lo vincerò, se non mi stancherò prima: ho già detto che o riesco in due o tre stagioni o torno alla moto, agli sci eccetera».

Visentini, pur considerando il Giro un'esperienza straordinaria, sicuramente positiva considera tuttavia traumatizzanti certi suoi aspetti deteriori. «Il tifo violento e incivile di certi sostenitori di Moser e di certi sostenitori di Baronchelli mi hanno colpito dolorosamente; concepisco lo sport in maniera diversa. Sono rimasto molto deluso pur non essendo io interessato, se dovessi essere coinvolto in episodi del genere, non esiterei a piantarla. Visentini è ancora un candido».

Il dottor Veronesi ha sfruttato le sue capacità di concentrazione, con il training autogeno: «E' una psicoterapia non a tutti adatta, ma a Visentini sì. L'ha praticata anche nel Giro d'Italia e con buoni risultati». Roby è serio, rigoroso: non trascura il minimo particolare, ha una notevole autodisciplina, e un grande rispetto per gli altri. «Non sgarra mai, nemmeno agli appuntamenti - dice ancora il medico - segue il lavoro dei meccanici, è attentissimo ai consigli di Zilioli: addirittura li beve. E da Zilioli, che è un uomo nel senso più pieno, sta imparando cose belle: soprattutto che per costruire qualcosa di grosso, bisogna cominciare da qualcosa di piccolo, ossia che tutto si conquista giorno per giorno, anche negli episodi apparentemente insignificanti». Dove può arrivare Visentini? Certamente lontano: non ha problemi di "traviamenti"; non gli è mai mancato nulla. Per fare il corridore sul serio ha rinunciato alla carriera... di play-boy. Ma cosa chiede per dare un motivo alla sua prima stagione professionistica? «La maglia azzurra, soltanto la maglia azzurra: per quest'anno mi basterebbe anche perché sul percorso del Nürburgring sento che potrei senz'altro onorarla».
Ermanno Mioli

LA VIBOR DEL 1978

Presidente: Bruno Sella
Sede sociale: Luzzara (Reggio Emilia)
Biciclette: Colner
Maglia: verde con fasce gialle orizzontali
Direttore sportivo: Italo Zilioli
Meccanici: Antonio Borgognoni e Adriano Chiementin
Massaggiatori: Walter Malavolta e Oscar Rocchi
Medico: Pier Luigi Veronesi

Corridori:

Maurizio Bertini
Davide Boifava
Luciano Borgognoni
Corrado Donadio
Gianfranco Foresti
Renato Laghi
Flavio Miozzo
Gabriele Mugnaini
Vladimiro Panizza
Remo Rocchia
Antonio Salutini
Roberto Visentini

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