Ricordi del Giro 1977: da Beccia a Pollentier


25 Maggio 2014 

Venerdì 20 maggio 1977: parte la sessantesima edizione del Giro d’Italia un prologo a cronometro, da Vacule a Monte e’Proceta (il lingua originale). Sette chilometri e mezzo da Bacoli a Monte Procida, frazione che regala la maglia rosa a Freddy Maertens campione del mondo in linea.
La noia non fu di questo Giro, i colpi di scena si susseguirono, a cominciare dalle cadute che, proprio in questo 2014 sono tornate oggetto di polemica.

Prima tappa e prima vittima: Roger de Vlaeminck si ritira a causa di una tendinite. Fuori dal Giro e stagione compromessa.
Quarta tappa: durante la notte, vengono rubate le biciclette della Bianchi, la squadra di Gimondi. Pollentier chiama il medico perchè vuole ritirarsi a causa di violenti capogiri: più avanti si scopriranno molte cose a proposito di quei capogiri.

Quinta tappa: vince per distacco un giovane dagli occhi azzurri, Mario Beccia, un ragazzo che corre per la Sanson di Moser, debuttante al Giro. Moser, il suo capitano, è in maglia rosa.
Sesta tappa: il gruppo decide di scioperare contro Torriani per la scelta delle strade che i ciclisti ritengono troppo pericolose. Maertens, da buon opportunista, ne aprofitta vincendo le due semitappe di giornata. Il belga vincerà anche il giorno seguente, a Forlì.
Ottava tappa: dramma sfiorato, con Maertens e Van Linden che rischiano di rompersi la testa, a cinquanta metri dal traguardo. Cadono rovinosamente: Freddy lascia al Giro con una brutta frattura al polso, Van Linden ha una commozione cerebrale. La tappa la vince Marino Basso che riesce a schizzare, come un funambolo, tra i due corridori a testa. 
Il Giro prosegue senza Maertens e Van Linden, dunque: Moser perde la maglia Rosa, a Cortina, a favore di Pollentier, nella tappa vinta da Perletto, e si arrabbia con Beccia che a dir suo non sarebbe stato agli ordini di scuderia attaccando e mettendo in dicoltà lo stesso Moser.
A Pinzolo, Francesco perde definitivamente il Giro, proprio sulle strade di casa, dove corre con una tattica suicida: anzichè lasciare a Pollentier il peso dell’inseguimento sul fuggitivo Vandi, decide di mandare in fuga Bortolotto e Beccia. Una volta ripresi i due gregari Sanson, scattano Baronchelli e Pollentier, su un terreno difficile per Moser che è senza uomini per la salita. Per lui è la resa, in mezzo alla sua gente. Alcuni tifosi del trentino insultano e sputano addosso a Baronchelli e volano ceffoni, altri ciclisti della Scic, la squadra del vincitore di tappa, ne fanno le spese. Gibì, con grande stile, una volta sul palco, risponde gettando fiori alla folla.
Alla penultima tappa Pollentier vince anche la cronometro e la classifica generale del Giro d’Italia del 1977.


Il trucchetto di Pollentier, al Tour di quell’anno

Pollentier stupisce. Waldemaro Bartolozzi, l’allora direttore della Sanson, dice in un’intervista: «Ma come fa ad andare così, quello lì?».
Pollentier è un corridore che suscita qualche perplessità: è piccolo, sgraziato, ha pochi capelli in testa e le vene varicose alle gambe, con una pedalata bruttissima, i gomiti larghi e gambe ancora più larghe. E tanta, tanta potenza. Era partito come gregario di Maertens, che aveva vinto sette tappe in otto giorni.
Al Tour dell’anno successivo Pollentier in maglia di campione belga, durante un controllo antidoping insospettisce i medici tanto che lo perquiscono trovandogli addosso un preservativo pieno di urina “pulita”, tenuto sotto l’ascella e collegato ai genitali tramite un tubicino di gomma. Da allora, non ottiene più risultati eclatanti come quella vittoria al Giro.

Mario Beccia, attaccante sempre
Torniamo, ora, a quel ragazzo, Mario Beccia, vincitore della quinta tappa: in quel 1977, al Giro vince anche la maglia bianca di miglior giovane.
Mariolino era nato in Puglia. Oggi vive a Crocetta del Montello: da quel giorno al Giro, si distinse sempre per il suo modo di correre spettacolare, senza tattiche, senza regole, coraggiosissimo. A volte ingenuo, ma sempre divertente.
I suoi attacchi mettevano in difficoltà ogni avversario, tanto che il gruppo lo temeva. Gli “sceriffi” del gruppi, i capitani di allora, non gli concedevano nulla, era stato “bollato” come rompiscatole, proprio per il suo modo di correre. Gli ordini in gruppo erano chiari: quando scattava Beccia, bisognava sempre andarlo a riprendere. 
Dino Zandegù che fu suo direttore sportivo quando correva per la Hoonved Bottecchia, lo ricorda sempre con piacere: «Beccia è stato un pedalatore onesto, meraviglioso, un esempio per tutti. Non accettava compromessi di alcun genere, possedeva il carattere del vero combattente. Sono tante le corse in cui le sue fughe sono terminate a cento metri, e anche meno, dell’arrivo. Ancora oggi, quando lo incontro, mi viene spontaneo un abbraccio…».

Gli attacchi di Beccia, a volte andavano a buon fine: nel suo palmarès figurano quattro tappe al Giro d’Italia, il Giro dell’Emilia ’77, il Giro della Svizzera ’80, la Freccia Vallone ’82 e il prestigioso poker d’affermazioni nel’84:la terza tappa alla Tirreno-Adriatico, il Giro dell’Umbria,il Giro dell’Appennino e la Milano-Vignola.
Si sarebbe meritato senza dubbio molto di più, il coraggioso Beccia, ma fu troppo caro il prezzo che dovette pagare per il suo ribellarsi alle gerarchie e ai voleri dei senatori in gruppo.

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