Raschi, 20 anni di nostalgia per il «Divino»


Il 2 maggio 1983 moriva il giornalista gentiluomo che legò la sua carriera al ciclismo Sempre in giacca e cravatta: dava del lei a tutti, anche ai colleghi La sorella Anna: «Bravo fin da piccolo, tutti gli chiedevano di scrivere»

di MARCO PASTONESI
gazzetta.it, 1. maggio 2003

Nell' aula di una scuola elementare, nell'ufficio di un municipio, nella sala da pranzo di un albergo, alla scrivania in redazione. Davanti, la sua Olivetti Lettera 32, tenuta insieme con gli elastici. Si accendeva la sigaretta, americana: e tirava, come se l'inizio del pezzo fosse lì, in quello sbriciolamento di foglie di tabacco che lui mandava in fumo. Poi attaccava. 

Ezio Graziani, l'autista della Gazzetta che lo portava in giro, e al Giro, non la chiamava macchina per scrivere, ma «pianola». Perché Bruno Raschi non batteva ma componeva, non pigiava ma accarezzava, non scriveva ma suonava. Spazio 1, il minimo indispensabile perché una riga non andasse sull'altra. Finiti i fogli, senza neanche leggerli, rileggerli, correggerli, senza farsi assalire da dubbi o ripensamenti, dettava. Raschi, con quella voce da attore, calda e suadente. Raschi, con quella giacca e cravatta, anche sotto un sole così. Raschi, che dava del lei a tutti, corridori e giornalisti. Raschi, 30 Giri d'Italia e 18 Tour, quasi 24 anni di Gazzetta, da una parte la vita in redazione, da redattore a caporedattore fino a vicedirettore, dall'altra la strada, i tornanti, le fontane, cioè le storie, le avventure e la letteratura. Il Raschi che tutti conoscono era quello in tv. 

Vittorio Adorni, campione: «Viaggiava nella macchina di Vincenzo Torriani, davanti al gruppo. Torriani in piedi, con il busto che spuntava dal tetto, Raschi quasi sempre seduto, alla sua sinistra. Sergio Zavoli lo invitava al Processo alla tappa perché aveva sempre la parola e il tono giusti per cominciare un discorso o per concluderlo. Aveva il raro dono di apparire sempre sopra le parti». 

Toni Bailetti, olimpionico, gregario: «Era diverso da tutti gli altri giornalisti, tanto da non sembrare neanche un giornalista. Un giorno m'intervistò. Io ero timido, non sapevo parlare, rispondevo sempre "non so". Neanche con lui mi lasciai andare, perché mi intimoriva, ma riuscì a interpretare i miei pensieri. Il giorno dopo uscì un articolo magnifico». 

Angelo Coletto, gregario: «A molti giornalisti si potevano raccontare delle grandi balle, ché ci cascavano. A Raschi no. Con molto garbo ribatteva: "Mi sembra impossibile"». 

Piero Franco Sardi, amico: «Diceva: "Il ciclismo accetta quelli che hanno lo stesso sangue". E: "Ciclismo è osare l'inosabile, preparare per mesi e mesi un capolavoro sapendo che basterà un chiodo o la punta di un sasso a frantumarlo". 

Ha battezzato il Lombardia "la corsa delle foglie morte"». 

Il Raschi che tutti rispettavano era quello in redazione. Sandro Cepparulo: «Regole, educazione, patrimonio ideale, conoscenze, amore per lo sport, memoria. A lui davamo del lei, fra noi lo chiamavamo il "Divino"». Franco Rubis: «Dava del tu a Maurizio Mosca, forse perché lo faceva ridere, se lo faceva dare da Nino e Luigi Gianoli. Parlava con gli occhi semichiusi, recitava "se ricordare è vivere, noi vivremo ricordando", il resto era lezione». 

Il Raschi che nessuno conosce era quello in casa. Anna Raschi, 81 anni, due più di quelli che suo fratello avrebbe oggi: «Fin da piccolo era bravo a scrivere. Tutti gli chiedevano di scrivere per loro: cartoline, lettere, telegrammi, santini, prefazioni, discorsi... Amava la classica e la lirica, i buoni libri, la torta di erbe fatta con la pasta sfoglia, olio e formaggio, poi in forno. Quando era via, ci sentivamo ogni giorno: prima compravo la Gazzetta e leggevo i suoi articoli, poi ci telefonavamo per le notizie su famiglia e amici. Quando era a Milano, usciva da casa alle 10 e tornava a notte fonda». 

Il Raschi che nessuno dimentica era quello dell'ultimo anno. Anna Raschi: «Soffriva, senza tregua». Cepparulo: «L' ultimo giorno in Gazzetta, divorato dal male, i vestiti gli ballavano addosso». Angelo Zomegnan: «Il giorno prima di morire, sua sorella mi disse che lui aveva fame. Era il 1° maggio, tutto chiuso. Comprai un vassoio di salatini e pasticcini. Ne mangiò solo uno». Anna Raschi: «Sembra ieri». 
Marco Pastonesi 


Bruno Raschi era nato a Borgotaro (Parma) il 4 dicembre 1923. Laureato in Lettere a Torino, è stato insegnante al Collegio di san Giuseppe, a Torino. Giornalista professionista dal 1952, da Tuttosport è passato alla Gazzetta dello Sport nell' ottobre 1959. E' morto a Milano il 2 maggio 1983. Ha scritto Ronda di notte

Granfondo 
Domenica 29 giugno si disputa la granfondo Bruno Raschi, ritrovo e partenza a Borgotaro, due percorsi (86 e 146 km), iscrizione 15 euro. Annullo postale celebrativo in occasione del ventesimo anniversario della morte.

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