Cynthia Marshall - Per la sorellanza


È l’amministratrice delegata dei Dallas Mavericks, una squadra dell’Nba. È stata chiamata per risolvere il problema del sessismo. Ed è diventata un simbolo del movimento #MeToo nello sport

di Mary Pilon, Bloomberg Businessweek, Stati Uniti
INTERNAZIONALE, 25 gennaio 2019

In una giornata di settembre Cynthia Marshall, l’amministratrice delegata dei Dallas Mavericks, una squadra della NBA, la principale lega professionistica, entra nel suo ufficio. Il suo telefono vibra senza sosta. La maggior parte dei messaggi che riceve riguarda un rapporto di 43 pagine in cui vengono denunciati vent’anni di abusi e molestie ai vertici della società. Il documento, scritto da una squadra d’investigatori ingaggiati dalla società, ha spinto il proprietario della franchigia, Mark Cuban, ad annunciare che, invece di pagare una multa all’NBA, donerà dieci milioni di dollari alle organizzazioni che combattono la violenza domestica e cercano di favorire la presenza delle donne ai vertici dell’industria sportiva. Secondo alcuni giornalisti dieci milioni sono una cifra spropositata, considerando il limite di due milioni e mezzo fissato dall’NBA per le multe ai proprietari. Altri lo ritengono un prezzo irrisorio, considerati i danni alla reputazione della società. “Avremo bisogno di molto caffè”, scherza Marshall.

La pubblicazione del rapporto è solo l’ultimo episodio di una saga cominciata nel febbraio del 2018, quando un articolo di Sports Illustrated ha svelato l’esistenza di un ambiente di lavoro “corrosivo” nella società durante la gestione dell’amministratore delegato Terdema Ussery. Secondo la rivista, Ussery ha fatto proposte a sfondo sessuale alle sue dipendenti e ha ostacolato la promozione delle donne all’interno dell’organizzazione. Ussery ha lasciato i Mavericks nel 2015 ed è stato assunto dalla Under Armour, un’azienda di abbigliamento sportivo, che l’ha licenziato meno di due mesi dopo nell’ambito di quella che ha deinito una “riorganizzazione interna”. Secondo Sports Illustrated, durante il suo breve incarico alla Under Armour, Ussery si è “comportato in modo sessualmente inappropriato” mentre si trovava in ascensore con una giovane impiegata. 

Ussery sarebbe stato solo uno dei molti dipendenti dei Mavericks ad aver molestato con continuità le colleghe. Secondo gli investigatori l’ex amministratore delegato e Cuban avrebbero protetto i colpevoli e in alcuni casi incoraggiato il loro comportamento. Un dipendente aveva l’abitudine di guardare filmati pornografici al lavoro. Quando un altro dipendente è stato arrestato fuori dell’ambiente di lavoro per violenza domestica, Cuban ha chiesto al consulente legale della squadra d’ingaggiare un avvocato per difenderlo e si è offerto di pagare la parcella. In seguito il dipendente si è dichiarato colpevole di due reati minori. Gli investigatori non hanno trovato alcuna prova di ingerenze di Ussery, Cuban o altri dirigenti nel caso. Quello che ha travolto i Mavericks è il più grande scandalo dell’era del #MeToo all’interno dell’NBA, ma sono sempre di più gli episodi simili che stanno venendo fuori nel mondo dello sport statunitense.

Un anno di cambiamenti

A dicembre del 2018, quando un video registrato dalle telecamere di un ascensore ha mostrato Kareem Hunt, giocatore dei Kansas City Chiefs, mentre prendeva a calci la moglie dopo averla scaraventata a terra, la NFL, la lega professionistica di football americano, è stata costretta a difendersi dall’accusa di non fare abbastanza per combattere la violenza domestica. A gennaio più di duecento donne hanno testimoniato all’udienza inale del processo contro Larry Nasser, il medico della squadra dell’università del Michigan e della nazionale di ginnastica degli Stati Uniti. Nasser è stato condannato a una pena minima di cento anni per molestie sessuali nei confronti di molte atlete (oltre ad altri capi d’accusa). Da allora altre sportive olimpioniche, tra cui pattinatrici e nuotatrici, hanno deciso di farsi avanti con accuse simili.

Il 2018 è stato un anno di grandi cambiamenti per i Mavericks, a cominciare dai giocatori. Dopo aver vinto il titolo nel 2011, la squadra ha attraversato un lungo periodo di diicoltà, ma a giugno ha orchestrato un intelligente scambio di giocatori per portare in Texas Luka Dončić, un giovane campione sloveno che ha cambiato la squadra.

Pur considerando la necessità di un cambiamento, a febbraio c’è stato grande imbarazzo per l’assunzione di Marshall, che per più di trent’anni aveva scalato le gerarchie della compagnia telefonica AT&T fino a diventare responsabile delle risorse umane e delle pari opportunità. A prescindere dalle reali motivazioni di Cuban, il fatto che un famoso miliardario bianco chiedesse a una donna nera di risolvere i suoi problemi ha fatto storcere il naso a molti. 

Pubblicato a poche settimane dall’inizio del campionato, il rapporto sui casi di molestie ha messo in agitazione la società sportiva. L’atmosfera nella sede dei Mavericks è stata tesa per tutta la settimana, ma nella giornata dedicata ai media Marshall si è comunque mostrata allegra. In piedi al centro di un piccolo campo da basket nell’atrio della sede, con una sciarpa blu (il colore della squadra) intorno al collo, l’amministratrice delegata ha alzato gli occhi dal telefono e ha salutato i dipendenti con un sorriso. “Oggi ci sarà da divertirsi!”, ha detto. 

A febbraio, quando ha ricevuto la chiamata di Cuban, Marshall, 58 anni, viveva a Dallas e si godeva la pensione dopo aver lasciato l’AT&T nel 2017. “Sono Mark Cuban”, ha detto la voce all’altro capo del telefono. “E chi è Mark Cuban?”, ha risposto Marshall. 

Cynthia Marshall è cresciuta in un quartiere malfamato di Richmond, in California. Da piccola, dopo che suo padre aveva sparato a un uomo per autodifesa, per un po’ fu accompagnata a scuola da un poliziotto. Una volta il padre le ruppe il naso e, dopo una serie di episodi di violenza, la madre portò lei e i fratelli via di casa. “Ancora oggi, se me lo chiedi, ti dirò che ho avuto un’infanzia stupenda. Nonostante i problemi con mio padre, mia madre lavorava sodo. Ha faticato molto per assicurarsi che vivessimo una vita normale, o il più normale possibile”. 

Marshall ha frequentato l’Università della California a Berkeley grazie a una borsa di studio. Nel frattempo ha trovato il tempo di diventare la prima cheerleader nera dell’ateneo. Dopo essersi laureata in amministrazione d’impresa e gestione delle risorse umane, ha richiamato il ragazzo che aveva lasciato. Oggi sono sposati da più di trent’anni. Nel 1981 ha cominciato a lavorare per la AT&T, all’inizio gestendo gli operatori a distanza a San Francisco. Nel 2012 è diventata vicepresidente del settore risorse umane. Tre anni dopo è diventata responsabile delle pari opportunità

Marshall mi ha parlato apertamente di sé: delle treccine sfoggiate in sala riunioni, delle molestie fisiche subite, dei quattro aborti spontanei (uno dei quali nel suo ufficio) e della morte della figlia di sei mesi. È sopravvissuta a un cancro al colon. Dopo essere stata contattata da Cuban, ha dovuto rinviare il colloquio per fare una mammografia. 

Anche se è sempre stata appassionata di sport, Marshall non aveva alcuna esperienza nel settore. Di sicuro non aveva in programma di tornare a lavorare, entrare in un settore nuovo e in un’azienda che aveva appena visto i suoi problemi interni sbandierati ai quattro venti. “Ho letto l’articolo di Sports Illustrated e ho pensato: ‘Quale donna sana di mente andrebbe mai a lavorare lì?’”. 

Quando ha incontrato Cuban, Marshall ha pensato che fosse deciso a cambiare la cultura aziendale, ma è comunque uscita dal suo ufficio con le stesse sensazioni che aveva prima di entrare. A farle cambiare idea sono state le testimonianze di alcune dipendenti: avevano sofferto per anni a causa dell’ostilità dell’ambiente di lavoro e avevano bisogno di un sostegno ai piani alti. Marshall si è rivista in quelle donne e ha pensato che aveva la responsabilità di aiutarle.

Cambiamento radicale

Il 26 febbraio, pochi minuti dopo aver accettato l’incarico, Marshall ha partecipato a una conferenza stampa al fianco di Cuban. Lui è riuscito a dire appena un paio di cose prima che lei prendesse la parola. Citando l’indagine ancora in corso, ha dichiarato con un sorriso befardo: “Non lo farò parlare”. Ha detto di aver accettato il lavoro “in nome della sorellanza”.

Prima ancora di mettere piede in ufficio, Cynthia Marshall ha preparato un piano per realizzare un cambiamento radicale in cento giorni. Ha assunto alcuni consulenti per aiutare i dipendenti a superare i traumi provocati dagli abusi. Ha creato una linea diretta per denunciare anonimamente comportamenti inappropriati. Ha creato nuove posizioni lavorative e ha assegnato gli incarichi vacanti, assumendo un nuovo capo delle risorse umane e un responsabile per l’etica e la disciplina.

Alla fine dell’indagine interna sugli abusi, gli investigatori avevano interrogato 215 dipendenti ed ex dipendenti e analizzato 1,6 milioni di documenti, tra cui le email inviate da Ussery, Cuban e Buddy Pittman, ex capo delle risorse umane dei Dallas Mavericks. Cuban ha rilasciato un’intervista alla tv sportiva ESPN a settembre, il giorno della pubblicazione del rapporto. “Non sapevo e non ho una spiegazione”, ha dichiarato alla giornalista Rachel Nichols. Ma secondo il rapporto aveva protetto almeno un responsabile degli abusi.

Arrivati a metà della stagione, non è chiaro fino a che punto i cambiamenti abbiano inluito sui risultati della squadra. Marshall spiega che inizialmente l’articolo di Sports Illustrated ha fatto diminuire le vendite dei biglietti delle partite, ma precisa: “Ci siamo abbondantemente  ripresi”. I principali sponsor dei  Mavericks hanno rinnovato i contratti.  Di sicuro il fatto che gli appassionati parlino di Dončić come del “nuovo LeBron  James” aiuta. 

Abbraccio di gruppo 

Prima di prendere la parola all’incontro settimanale con i giornalisti, Marshall accoglie i consulenti del D-Mac, un gruppo di venti persone da lei scelte al di fuori dell’azienda che si riunirà ogni tre mesi e fornirà delle linee-guida sulle questioni etiche e sociali. “Buongiorno, Dallas!”, dice Marhsall abbracciandoli tutti uno per uno. Che sia una scelta voluta o no, Marshall parla e si comporta come un allenatore. Guida i consulenti del D-Mac tra i tunnel decorati con le statuine dei giocatori che presto saranno smantellate per creare un open space e spiega il signiicato degli acronimi motivazionali alle pareti: “Team Mavs”, racconta, sta per “altruisti, emancipati, ambiziosi, motivati, lungimiranti, audaci, vittoriosi e forti”. I dipendenti salutano i consulenti del DMac, tra selfie e congratulazioni. “Per noi non c’è solo il basket. Siamo qui per vincere insieme”, sottolinea Marshall.

Al centro del campo d’allenamento, Marshall risponde alle domande. “Mi dicevano ‘Cynt, questa è un’azienda giovane, non è come l’AT&T, che ha 250mila dipendenti’”, racconta ricordando le critiche ricevute quando ha cominciato a lavorare per i Mavericks. Per rispondere alle obiezioni dei dipendenti, ricorda la prima stagione della squadra. “Siamo qui dal 1980, è passato molto tempo da quando eravamo una nuova società. Quei tempi sono finiti. Non siamo una startup in un garage con due o tre dipendenti”. Il gruppo annuisce.

Marshall e il gruppo arrivano finalmente dall’altro lato della strada, all’American Airlines Center, l'arena dove giocano i Mavericks. Trovano Dirk Nowitzki, leggendario giocatore dell’NBA, mentre si prepara alla sua ventunesima stagione con i Mavericks e risponde alle domande dei giornalisti. “Abbiamo attraversato molti stati emotivi per quello che è successo: delusione, tristezza e rabbia”, spiega Nowitzki. “Ora stiamo andando nella direzione giusta. L’indagine si è conclusa e possiamo pensare al futuro. Con l’arrivo di Cynt abbiamo già cambiato la cultura dei dirigenti. Farà un gran lavoro per noi, ancora per molto tempo. Ora il nostro compito è concentrarci sul basket e ottenere grandi risultati”.

Un gesto simbolico

La prima riunione del D-Mac comincia poco dopo. Tutti sono seduti a ferro di cavallo in una sala conferenze. Marshall fa la prima domanda: come si possono gestire al meglio le vittime della “cultura tossica” che c’era in passato, dentro e fuori la sede della società sportiva? Non si riferisce ad accordi di riservatezza o a risarcimenti giudiziari, ma alla possibilità di rimborsare le spese delle terapie psicologiche e altre forme di sostegno finanziario per tutti quelli che sono ancora in cerca di un lavoro dopo aver lasciato i Mavericks a causa dell’ambiente di lavoro ostile. Chiede inoltre al gruppo di aiutarla a trovare un “gesto” simbolico in grado di far capire ai dipendenti e agli ex dipendenti “che sappiamo cosa hanno passato. Non possiamo tornare indietro nel tempo, ma possiamo fare qualcosa”.

L’incontro si conclude con grande entusiasmo per la stagione alle porte. Marshall ora può occuparsi del resto del suo lavoro: pile di fogli contabili, interventi pubblici, incontri con gli sponsor e il piccolo problema di riempire i 19.200 posti del palazzetto per 41 partite. Attualmente i Mavericks sono al nono posto in classifica nella Western Conference, il raggruppamento delle squadre degli stati occidentali. A novembre [2018] Dončić è stato nominato miglior matricola del mese. Marshall ammette che lei e suo marito non avevano idea che la loro vita sarebbe stata così dopo il pensionamento dall’AT&T, ma il suo lavoro la entusiasma. Poi controlla il telefono e scopre che Adam Silver, Commissioner dell’NBA, ha appena inviato un’email al consiglio direttivo della lega incoraggiando “vivamente” tutte le squadre a seguire le raccomandazioni contenute nell’indagine sui Mavericks, molte delle quali si ritrovano nel piano di Cynthia Marshall dei cento giorni. “Abbiamo trasformato l’NBA,” dice. “Ma non pensiate che sia finita qui”.

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