Spalle al Muro


Comincia, con l'apertura di alcuni varchi, la demolizione del Muro di Berlino che ha diviso la Germania democratica da quella comunista, dall'agosto del 1961 per impedire la fuga in Occidente dei tedeschi dell'Est.

di INDRO MONTANELLI
il Giornale, 11 novembre 1989

Raccontano che nel passargli le consegne, il malato Honecker abbia detto a Krenz: «I vecchi comunisti che muoiono quest'anno sono molto più sfortunati di quelli che morirono 'anno scorso, ma molto più fortunati di quelli che moriranno l'anno venturo». Probabilmente non è vero: il senso dell'umorismo figura di rado nel guardaroba dei comunisti, e specialemnete di quelli tedeschi. Ma potrebbe esserlo.

Honecker ha evitato d'un pelo di restare schiacciato sotto le macerie del Muro, di cui è stato, sia pure su ordinativo del suo pedecessore Ulbicht, il costruttore. Ma non per lungimiranza. Anche lui sapeva - lo sapevano tutti - che il Muro si screpolava. Ma nemmeno lui si aspettava - non se l'asepttava nessuno - che crollasse, come sta crollando, così catastroficamente e di colpo. Pare impossibile ma nel mondo comunista nulla può avvenire, nemmeno le cose buone, se non per trauma e sconquasso.

La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il Muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già nove (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che si escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi.

Ma l'improvvisa apertura, anzi lo spalancamento, persegue lo stesso fine. Si rompe e abbatte il Muro non per rispettodei diritti umani e civili, ma perché si spera che avvenga degli uomini ciò che avviene dei capitali e dei risparmi: che, quando se ne proibisce l'esportazione all'estero, vi fuggono in massa con mille sotterfugi; e appena si revoca il divieto, tornano tutti o quasi tutti in patria. È questo, oltre all'inutilità di una chiusura ormai aggirata da ogni parte, che ha indotto Krenz a smontare il grimaldello: la speranza che, concedendo il diritto di espatrio, l'espatrio perda molto della sua attrattiva e il fuggiasco diventi un turista o, alla peggio, un «pendolare».

La manovra riuscirà? Le ultime notizie non sono incoraggianti: la ressa ai piedi del Muro si fa sempre più densa, gli scalatori si moltiplicano, l'emorragia continua. Evidentemente i tedeschi dell'Est non hanno molta fiducia che il regime comunista voglia democratizzarsi; e anche se lo vuole, che lo possa. Ma intanto questo esodo di proporzioni bibliche crea problemi da far tremare le vene e i polsi non soltanto all'Est, ma anche all'Ovest. Non per nulla Kohl ha interrotto la sua visita a Varsavia per rientrare a Bonn. Anche lui è spaventato dal diluvio quasi quanto lo è Krenz. E con ragione. Lo spopolamento dell'Est rischia di crearvi un vuoto che fatalmente verrà riempito da una immigrazione di lavoratori polacchi, ucraini, jugoslavi, che renderanno ancora più ingarbugliati i rapporti etnici di queste terre di frontiera; mentre l'alluvione a Ovest (a un ritmo, pare, di dieci o quindicimila profughi al giorno) è destinata a provocarvi una crisi di sovrappopolamento e d'impiego.

Ma non solo questo. Il fattp è che la fine del Muro è la fine della separazione fra le due Germanie. I politologi dicono che la riunificazione, se non impossibile, è un evento al futuro remoto, quasi «all fine della Storia». Quello che fino a ieri si diceva - lo dicevamo anche noi - del Muro. Ed invece ad abbatterlo è bastato un tratto di penna, una firma svolazzata, mno di un atto notarile, un annuncio radiofonico, che a noi non più giovani ha ricordato quello che udimmo da una voce anonima il 25 luglio: «Il cavalier Benito Mussolini ha rassegnato le dimissioni», che poneva fine a un regime durato vent'anni, otto meno del Muro.

Abbiamo in uggia le astrazioni. ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole; ad Est è proprietà dello Stato, e quindi è lo Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il Muro di Berlino era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica.

Nel mmento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa a Hitler (anche questo pae impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nel bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto.

Indro Montanelli
LA STECCA NEL CORO
1974 - 1994: una battaglia contro il mio tempo
Rizzoli

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