MAESTRI DI CALCIO - Lobanovski, Colonnel Futuro

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«Sono un allenatore. Il significato della mia vita è in questo». «Tutto è numero». Le due frasi, pronunciate dal più celebre “colonnello” che il calcio abbia mai avuto dopo il magiaro Ferenc Puskás (che in realtà era maggiore), raccontano gli ultimi quarant’anni del football sovietico prima e ucràino poi; ma più ancora l’uomo che l’ha rivoluzionato, proiettandolo nell’era della scienza applicata al pallone dove anche i sogni, nella misteriosa "Base" di Kontcha Zaspa, correvano il rischio di essere pianificati. 

Valery Vassilyovic Lobanovski nasce il 7 gennaio 1939 a Kiev, ieri «madre delle città sovietiche», oggi capitale dell’Ucraina, seconda per numero di abitanti e terza per superficie fra le quindici ex repubbliche federate in quello che una volta l’Occidente considerava lo spauracchio URSS. 

Compiuta la trafila nelle giovanili, Lobanovski entra nella prima squadra della Dynamo Kyiv a 19 anni. Potente ed estroso esterno di centrocampo, Valery gioca spesso ala sinistra nel temibile trio d’attacco che forma con Basilevich e Kanevsky. Nel 1961 fa parte della squadra di campioncini (Rudakov, Szabo, Serebrianikov, Muntjan e Byschovets) che, guidata in panchina da Vjacheslav Solovjov, discepolo dell’apripista Oleg Oshenkov («correre velocemente è utile, pensare rapidamente è indispensabile»), conquista il primo titolo nella storia del club: l’unico, insieme con la Dinamo Mosca, ad aver sempre militato nella massima divisione. La forza e il limite di quella formazione è il collettivo, cui manca la classe necessaria per confermarsi ai massimi livelli. 

Tre anni dopo, alla guida della squadra che al centrocampista Szabo e all’attaccante-poeta Byschovets (che con il pragmatico Lobanovski proprio non si prende) ha aggiunto il difensore Turjankin e la punta Khmelnitski, approda Viktor Maslov. Per la Dynamo si apre il primo grande ciclo di successi, ma Lobanovski non ne farà parte. Visto con gli occhi di oggi sembra incredibile: ma, vinta la Coppa dell’URSS del ’64, Valere, indole ribelle, se ne va sbattendo la porta e accusando Maslov di spersonalizzare l’inventiva dei giocatori e di opprimerli con allenamenti durissimi e noiosi esercizi ripetuti fino alla nausea. Lobanovski gioca ancora per due stagioni, la 1965-66 al Chernomorets Odessa e quella successiva nello Shakhtar Donetsk. Poi, archiviate le due presenze in Nazionale (dove aveva esordito il 4 settembre 1960, Austria-URSS 3-1) e riposta in soffitta la laurea di ingegnere termotecnico conseguita al Politecnico di Kiev, si dedica alla difficile arte della panchina.

Nel 1969 è l’allenatore più giovane del paese quando, appena 30enne, assume la direzione tecnica del Dnepr. Nel ’74 torna a “casa”, alla Dinamo Kyiv, per il primo di tre interregni (1974-82, 1984-90, 1996-2002) che in totale lo vedranno su quella panchina per ben vent’anni. Vinti al primo tentativo campionato e coppa sovietici, gli ucraini conquistano anche l’Europa: il 14 maggio ’75 completano a Basilea (3-0 al Ferencváros Budapest, doppietta di Onishenko e sigillo di Blokhin) la cavalcata trionfale che li ha visti eliminare i bulgari del CSKA Sofia (doppio 1-0), Eintracht Francoforte (3-2 in Germania, 2-1 interno), i turchi del Bursaspor (battuti 1-0 a Kiev e 2-0 fuori) e gli olandesi del PSV Eindhoven (3-0 e 1-2). Tempo pochi mesi e arriva anche la Supercoppa Europea, ai danni del Bayern Monaco di capitan Beckenbauer, regolato 1-0 all’Olympiastadion e 2-0 al Respublikanski sempre grazie all’incontenibile Blokhin.

Dopo la doppia affermazione che mette Kiev sulla carta del calcio continentale, Lobanovski viene chiaamato a raccogliere l’eredità (invero non troppo pesante) di Eduard Malofeev alla guida dell’Unione Sovietica. Come prevedibile e forse auspicabile, il neo-Ct, al primo dei suoi tre mandati (1975-776, 1982-83, 1986-90), non può fare altro che innestare in nazionale il blocco-Dynamo e applicarvi i metodi che lo hanno reso famoso: disciplina tattica, preparazione atletica, schemi ripetuti fino a farli diventare automatici. Insomma, ciò che accadeva ai tempi di Maslov, con la differenza che «in campo le sole improvvisazioni che tollero sono quelle che mettono in difficoltà gli avversari», che si aggiunge a un carisma fuori del comune e il rivoluzionario approccio scientifico nello studio delle partite e dei giocatori. La sua Dynamo è la prima ad avviare, all’inizio degli anni Ottanta, un accordo di sponsorizzazione tecnica con un’azienda di computer per monitorare prestazioni e caratteristiche fisico-atletiche della rosa a sua disposizione e degli avversari. «Ai miei tempi era difficile valutare i giocatori. Non c’erano video da visionare né computer. L’allenatore poteva dire a un calciatore che questi non si trovava al posto giusto, ma il giocatore poteva semplicemente replicare che non era d’accordo». Il dissenso non era previsto, o quanto meno ben visto, nel “laboratorio” di Lobanovski.

A Mexico 86 l’URSS debutta con una straordinaria dimostrazione di forza e spettacolarità: 6-0 all’Ungheria, già sotto di tre reti dopo 23’ e rivelatasi, agiochi fatti, poca roba. Dopo l’1-1 con la Francia e lo scontato 2-0 al Canada, i sovietici escono a sorpresa per mano del Belgio (3-4 dts) negli ottavi, ma forse più per le distrazioni dell’arbitro Fredriksson e dei suoi collaboratori che per l’effettiva forza dei “diavoli rossi”, avvantaggiati dalla convalida di due gol palesemente irregolari. Al di là degli episodi, la sostanza dei fatti dice che, se si esclude il bis nellaCoppa delle Coppe ’85-86 (3-0 in finale all’Atlético Madrid), e nonostante i successi in patria (8 Campionati sovietici e 5 ucraini, 6 Coppe dell’URSS e 3 d’Ucraina), a livello internazionale “il calcio del Duemila” sembra ancora di là da venire, perlomeno sul piano dei risultati. Dopo il brillante e sfortunato secondo posto agli Europei tedeschi dell’88 (0-2 dalla super Olanda di Gullit e van Basten, affrontata però con la difesa priva dei titolari Bessonov e Kutznetov) e Italia 90 (fuori al primo turno nel gruppo con Camerun, Romania e Argentina), complici i gravi disturbi cardiaci che da tempo non gli danno tregua, il Colonnello comincia a percorrere il viale del tramonto. Glasnost e Perestrojka, le svolte epocali introdotte da Michail Gorbatjov, e di cui beneficeranno molti “dynamovtsy” (campioni e comprimari, da Blokhin a Zavarov, da Protassov a Alejnikov, da Shevchenko a Rebrov) che a Lobanovski devono tutto, permettono a Valery, poi Ct degli Emirati Arabi (’90-93) e del Kuwait (’94-96), di arrotondare con un po’ di petrodollari la modesta pensione dell’Armata Rossa. Ma quella del giramondo non è la vita che fa per lui: così torna alla Dynamo e, dal marzo 2000, va a dirigere part-time la selezione d’Ucraina, Paese indipendente dal ’91 nel quale campionatoi e coppa sono esclusivo terreno di caccia della Dynamo rispettivamente dal ’96 e dal ’98.

La parabola del figliol prodigo si esaurisce in due anni, quando il suo provatissimo fisico gli presenta il conto di un’esistenza vissuta da protagonista: il 7 maggio 2002, nel finale della trasferta con il Metallurg Zaporozhye, il Maestro viene colpito da un ictus. Le lacrime del suo “secondo”, l’ex sampdoriano Mikhailichenko la dicono più lunga di qualsiasi prognosi ufficiale. 

Lì per lì sembra che il “grande vecchio” possa farcela un’altra volta come gli era successo con le crisi cardiache precedenti. Si riprende, tanto da riuscire a salire con le proprie gambe su un’ambulanza gialla, di quelle “da rianimazione”, e, tre giorni dopo l’intervento chirurgico al quale viene sottoposto per combattere l’emorragia cerebrale, riconosce la moglie Ada. Sei giorni più tardi, il Paese è listato a lutto: alle 20,35 si era spento, 63enne, l’uomo che aveva rivoluzionato il calcio ucraino, proiettandolo nell’era della scienza e alla ribalta internazionale. 

Il 15 maggio il Presidente ucraino Leonid Kuchma gli concede l’onorificenza postuma di Eroe d’Ucraina, conferita in presenza della figlia, Svetlana, e del nipotino di Valery, Bogdan, e davanti a 80 mila persone (diventate 150 mila per la stampa internazionale, in un rigurgito da tempi del Politburo) raccolte allo stadio che ne ammirò le gesta e che da quel giorno ne avrebbe portato il nome. Un anno dopo, a rendergli omaggio al cimitero di Baikove a Kyiv, dove la salma era stata tumulata accompagnata dall’inno nazionale, uno dei suoi figliocci prediletti, Andriy Shevchenko, aveva tenuto fede a una promessa: portargli la Coppa dei Campioni che il Maestro aveva invano inseguito ma che senza i suoi insegnamenti (e divieti: come quello di fumare, a 18 anni, due pacchetti di sigarette al giorno, attuato a costo di fargli iniettare della nicotina) mai il milanista avrebbe conquistato, per di più da protagonista. Se la vita è fatta (anche) di numeri, allora per Lobanovski è stata sì quella di «un allenatore», ma dal significato che, lì dentro, ci sta proprio stretto.
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


EURO 88, IL SOGNO SFIORATO
Forse ancora più “universale” del Calcio Totale di matrice olandese, il gioco della Dynamo Kyiv vincitrice della Coppa delle Coppe 1985-86 si caratterizza per continui interscambi, alte velocità di pensiero e d’esecuzione e automatismi mandati a memoria. 

La formazione-tipo prevede quattro difensori, Bessonov, Kuznetov, Baltacha e Demianenko, schierati in linea (solo dopo l’eliminazione a Mexico 86 Baltacha verrà arretrato a libero); tre centrocampisti di movimento abili negli inserimenti offensivi, Yaremtchuck, Yakovenko e Rats; un fantasista-rifinitore (Zavarov) e due punte veloci e abili pronte a incrociarsi, Belanov e Blokhin (si pronuncia Blocìn, ndr), entrambi Palloni d’oro, il primo nel 1986, il secondo nel 1975. 

Quest’ultimo sarà poi sostituito da Oleg Protassov, più centravanti, ma meno veloce e tecnico oltre che più soggetto agli infortuni. A Euro 88, è lui il terminale offensivo di una squadra tatticamente quasi perfetta, la Dynamo diventata URSS che Lobanovski ha plasmato abolendo quasi del tutto i ruoli fissi. 

Confermati la difesa a quattro (con Kutznetzov in marcatura e Khidjatullin “libero” e a sinistra Rats in luogo di Demianenko, riciclato terzino destro in finale al posto dello squalificato Bessonov) e il costruttore di gioco Zavarov, il centrocampista a tutto campo è il talentuoso ma fragile Mikhailichenko, assistito da un settepolmoni (Alejnikov o Gotsmanov) e dall’interno Litovchenko, sempre pungente in zona-gol (vedi semifinale con gli azzurri di Vicini); in avanti, accanto a Protassov, il declinante Belanov. 

Dopo il fuoco di paglia messicano, se mai c’è stato un momento in cui il “calcio del Duemila” sembrò sul punto di materializzarsi fu proprio in quegli Europei. Poi arrivò Van Basten e addio sogni di gloria. Tanto più se pianificati nel “laboratorio” di Kontcha Zaspa. (chgiord)


La scheda di VALERY VASSILYOVIC LOBANOVSKI 
Nato: 7 gennaio 1939, Kyiv (Ucraina); deceduto a Kyiv 13 maggio 2002
Ruolo: centrocampista/ala sinistra
Club da giocatore: Dynamo Kyiv (1958-64), Chernomorets Odessa (1965-66), Shakhtar Donetsk (1967-68)
Presenze (reti) in Nazionale: 2 (-)
Esordio in Nazionale: 4 settembre 1960, Austria-URSS 3-1
Palmarès da giocatore: campionato sovietico (1961), Coppa d’URSS (1964)
Club da allenatore: Dnepr Dnepropetrowsk (1969-73), Dynamo Kyiv (1974-82; 1984-90; 1996-2002)
Palmarès da allenatore: 8 Campionati sovietici (1974, 1975, 1977, 1980, 1981, 1985, 1986, 1990), 6 Coppe dell’URSS (1974, 1978, 1982, 1985, 1987, 1990), Supercoppa Europea (1975), 2 Coppe delle Coppe (1974-75, 1985-86), 5 Campionati ucraini (1996-97, 97-98, 98-99, 99-2000, 2000-2001), 3 Coppe dell’Ucraina (1997-98, 98-99, 99-2000)
In nazionale da Ct: URSS (1975-76, 1982-83, maggio 1986-90), Emirati Arabi Uniti (1990-93), Kuwait (1994-96), Ucraina (marzo 2000-2001)
Palmarès da Ct: medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Montreal 1976


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