MAESTRI DI CALCIO - Sebes, l’Uomo dei Sogni
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di CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo
Nella trasposizione cinematografica di Shoeless Joe, romanzo dedicato da William Patrick Kinsella a Joseph Jefferson Jackson, campione (anche di corruzione) del baseball statunitense d’inizio Novecento, un contadino dell’Iowa, ex sessantottino, costruisce un campo dove far giocare, in sogno, i più forti di sempre.
Tolti il non-rapporto col padre e le americanate di fine anni Ottanta (la pellicola diretta da Phil Alden Robinson è del 1989), riportate indietro di quarant’anni le lancette dell’ideologia e traslato il tutto nel cuore della vecchia Europa, l’Uomo dei Sogni alias Ray Kinsella (Kevin Costner) sembra il Ct che ebbe il privilegio di poter schierare, tutta insieme e appassionante, la migliore generazione di fenomeni mai prodotta dal calcio continentale; per un capriccio del caso, nata e cresciuta quasi tutta nella stessa città: Budapest.
Il tecnico della Aranycsapat, la Squadra d’oro, come avevano preso a chiamarla in patria (all’estero rimaneva la Grande Ungheria o al più i Magici magiari), era Gusztáv Sebes (da quelle parti il cognome viene prima del nome, ndr), uomo dalle credenziali socialiste impeccabili.
A Parigi, negli anni Venti, aveva organizzato il movimento operaio nel settore automobilistico, idem una volta rientrato oltrecortina. Per dirla con Gyula Grosics, agilissimo portiere di quella formazione leggendaria, Sebes vedeva nel calcio ben più che un gioco, perché «era pervaso da una profonda ideologia socialista, che si avvertiva in tutto ciò che diceva. Di ogni partita o competizione importante, ne faceva una questione politica e amava ripetere che l’aspra lotta tra il capitalismo e il socialismo cominciava prima su un campo da calcio che altrove».
A Parigi, negli anni Venti, aveva organizzato il movimento operaio nel settore automobilistico, idem una volta rientrato oltrecortina. Per dirla con Gyula Grosics, agilissimo portiere di quella formazione leggendaria, Sebes vedeva nel calcio ben più che un gioco, perché «era pervaso da una profonda ideologia socialista, che si avvertiva in tutto ciò che diceva. Di ogni partita o competizione importante, ne faceva una questione politica e amava ripetere che l’aspra lotta tra il capitalismo e il socialismo cominciava prima su un campo da calcio che altrove».
Nato nella capitale il 22 giugno 1906, Gusztáv, figlio di un calzolaio svevo, entra dodicenne nell’Haladás. Nel 1921 è al Vasas e vi resta tre anni prima di trasferirsi in Francia. Lì, oltre a un lavoro negli stabilimenti Renault – dove organizza le prime riunioni sindacali –, trova una squadra di emigranti ungheresi, il Nomád Parigi.
Un campionato da difensore nel 1925-26 e la stagione successiva eccolo al Billancourt, poi torna in patria, all’MTK Budapest. Nel club non ancora diretta emanazione della Polizia segreta rimane fino al 1940, anno in cui chiude la carriera dopo oltre 200 partite nella massima serie.
Un campionato da difensore nel 1925-26 e la stagione successiva eccolo al Billancourt, poi torna in patria, all’MTK Budapest. Nel club non ancora diretta emanazione della Polizia segreta rimane fino al 1940, anno in cui chiude la carriera dopo oltre 200 partite nella massima serie.
Quella in nazionale, invece, finisce il giorno in cui comincia: 15 marzo 1936, prima e ultima convocazione, Ungheria-Germania 3-2. Punteggio (a parti invertite) e avversario che il destino gli riserverà anche 18 anni dopo e nel più crudele dei modi. Smessi maglietta e calzoncini, Sebes allena Ujpesti Dozsa e Ferencváros prima di entrare, nel 1945, nei quadri tecnici federali. Di lì a quattro anni la sua vita, come quella dei suoi connazionali, cambierà per sempre.
Nel 1949 il Partito operaio unificato, che accorpa i partiti comunista e socialdemocratico, vince le elezioni. Il 20 agosto viene approvata la nuova costituzione, di fatto è l’inizio della fase «statalista» della politica ungherese, dominata dal segretario del partito comunista, Mátyás Rákosi.
Sul piano calcistico questo si traduce nella trasformazione delle società da libere associazioni a club «istituzionali», legati a filo doppio con enti pubblici, industrie e, soprattutto, corpi militari. La Honvéd, alla lettera “difensore della patria”, nata sulle ceneri del glorioso Kispesti Athleticai Club – da Kispest, “piccola Budapest”, come l’omonimo quartiere che ne ospita la sede – di cui ha assorbito strutture e giovani talenti, su tutti Ferenc Puskás e Sándor Kocsis, fa capo all’Esercito (meglio: alla fanteria), che in panchina pretende un “suo” uomo. Il prescelto è Sebes, ministro dello Sport, che del club diventa, più che un semplice allenatore, una sorta di padre-padrone. Da lì alla Nazionale il passo è breve.
Sul piano calcistico questo si traduce nella trasformazione delle società da libere associazioni a club «istituzionali», legati a filo doppio con enti pubblici, industrie e, soprattutto, corpi militari. La Honvéd, alla lettera “difensore della patria”, nata sulle ceneri del glorioso Kispesti Athleticai Club – da Kispest, “piccola Budapest”, come l’omonimo quartiere che ne ospita la sede – di cui ha assorbito strutture e giovani talenti, su tutti Ferenc Puskás e Sándor Kocsis, fa capo all’Esercito (meglio: alla fanteria), che in panchina pretende un “suo” uomo. Il prescelto è Sebes, ministro dello Sport, che del club diventa, più che un semplice allenatore, una sorta di padre-padrone. Da lì alla Nazionale il passo è breve.
Il nuovo Ct, memore dell’esempio fornito negli anni Trenta dalla Juventus del Quinquennio e dall’Austria formato Wunderteam di Hugo Meisl, punta su un blocco di giocatori della squadra più forte che, guarda caso, è la sua, la Honvéd. Ma parte con il piede sbagliato: il 10 aprile 1949 gli ungheresi perdono 5-2 in Cecoslovacchia. Un mese dopo, l’8 maggio, travolgono l’Austria 6-1: la via battuta dal nuovo corso è quella giusta.
I magiari, imbattuti dal 14 maggio ’50 (3-5 con l’Austria al Prater di Vienna), diventano la Grande Ungheria nell’estate ’52, alle Olimpiadi di Helsinki. Già dalle amichevoli preolimpiche Puskás e compagni appaiono inarrestabili.
Dopo aver maramaldeggiato con Germania Est (5-0 in casa) e Polonia (5-1 fuori), tocca anche ai padroni di casa dell’imminente manifestazione a cinque cerchi, umiliati anche a domicilio (6-1) dopo l’8-0 esterno del 18 novembre precedente. Qualificata battendo a fatica (2-1) la Romania, la squadra di Sebes esplode travolgendo Italia (3-0), Turchia (7-1), Svezia (6-0) e Jugoslavia (2-0). Come a Londra ’48, i plavi devono consolarsi con la medaglia d’argento ma la sconfitta è di appena due reti di scarto solo per le prodezze del portiere Vladimir Beara.
Sebes ha trovato la formula giusta: 20 gol segnati e 2 subiti la dicono lunga sul dominio messo in atto dalla formazione che schiera Grosics in porta; Buzansky e Lantos terzini; Bozsik, Lorant e Zakarisa in mediana; e davanti un attacco formidabile con la regia di Hidegkúti (non ancora centravanti “tattico”, ruolo che nella Honvéd è coperto da Tichy), i colpi di testa di Kocsis, le sponde di Palotas, la classe e la potenza al tiro di Puskás, le volate di Czibor sull’out.
Dopo aver maramaldeggiato con Germania Est (5-0 in casa) e Polonia (5-1 fuori), tocca anche ai padroni di casa dell’imminente manifestazione a cinque cerchi, umiliati anche a domicilio (6-1) dopo l’8-0 esterno del 18 novembre precedente. Qualificata battendo a fatica (2-1) la Romania, la squadra di Sebes esplode travolgendo Italia (3-0), Turchia (7-1), Svezia (6-0) e Jugoslavia (2-0). Come a Londra ’48, i plavi devono consolarsi con la medaglia d’argento ma la sconfitta è di appena due reti di scarto solo per le prodezze del portiere Vladimir Beara.
Sebes ha trovato la formula giusta: 20 gol segnati e 2 subiti la dicono lunga sul dominio messo in atto dalla formazione che schiera Grosics in porta; Buzansky e Lantos terzini; Bozsik, Lorant e Zakarisa in mediana; e davanti un attacco formidabile con la regia di Hidegkúti (non ancora centravanti “tattico”, ruolo che nella Honvéd è coperto da Tichy), i colpi di testa di Kocsis, le sponde di Palotas, la classe e la potenza al tiro di Puskás, le volate di Czibor sull’out.
In tribuna, il 2 agosto 1952, giorno della finale, è presente Stanley Rous, presidente della Football Asssociation, la federcalcio inglese. Durante la cerimonia di premiazione, invita la selezione magiara fresca di titolo olimpico a sfidare, in terra inglese, la nazionale con i tre leoni ricamati sul petto. Ma Sebes prende tempo.
Alla fine del 1952, i massimi dirigenti del calcio europeo si riuniscono a Montana, in Svizzera. Più che degli argomenti all’ordine del giorno, a Rous preme tornare alla carica con il Ct ungherese: «Allora, quando potremo ospitare i vincitori delle Olimpiadi?». Stavolta la risposta affermativa del tecnico (nonché vicepresidente dello Sport) magiaro, «quando volete», viene solennizzata davanti ad un bicchiere di tokai: 25 novembre 1953.
Neanche il tempo di tornare a Budapest per riferirla al presidente Gyula Hegy e convincere il terribile Rákosi, segretario generale del Partito dei Lavoratori ungheresi, che l’agenzia di stampa Reuters batte un «lancio» in cui la promessa strappata da Rous viene data per ufficiale. Informato della cosa, Rákosi riserva una dura lavata di testa a Sebes, al quale domanda se sia il caso di rischiare una sconfitta che avrebbe fatto fare una figuraccia allo sport ungherese.
Allora il Ct, che si aspettava argomentazioni del genere, parte in contropiede ricordandogli che a Londra, ad Highbury, il 2 dicembre 1936 gli inglesi avevano umiliato 6-2 l’Ungheria di Gyorgy Sarosi, Gyula Zsengeller e Pal Titkos. Rákosi, accecato sì dall’ideologia ma tutt’altro che sprovveduto, fiuta il colpaccio e concede il visto.
L’epocale 3-6 inferto ai maestri dagli eroi di Wembley, i primi non britannici vittoriosi nella “perfida Albione”, gli darà ragione. Sebes, dal canto suo, è al settimo cielo. «Abbiamo giocato come Jimmy Hogan ci ha insegnato» dirà a fine partita, rendendo onore all’influenza avuta dal tecnico inglese sul calcio magiaro ai tempi della prima guerra mondiale.
Neanche il tempo di tornare a Budapest per riferirla al presidente Gyula Hegy e convincere il terribile Rákosi, segretario generale del Partito dei Lavoratori ungheresi, che l’agenzia di stampa Reuters batte un «lancio» in cui la promessa strappata da Rous viene data per ufficiale. Informato della cosa, Rákosi riserva una dura lavata di testa a Sebes, al quale domanda se sia il caso di rischiare una sconfitta che avrebbe fatto fare una figuraccia allo sport ungherese.
Allora il Ct, che si aspettava argomentazioni del genere, parte in contropiede ricordandogli che a Londra, ad Highbury, il 2 dicembre 1936 gli inglesi avevano umiliato 6-2 l’Ungheria di Gyorgy Sarosi, Gyula Zsengeller e Pal Titkos. Rákosi, accecato sì dall’ideologia ma tutt’altro che sprovveduto, fiuta il colpaccio e concede il visto.
L’epocale 3-6 inferto ai maestri dagli eroi di Wembley, i primi non britannici vittoriosi nella “perfida Albione”, gli darà ragione. Sebes, dal canto suo, è al settimo cielo. «Abbiamo giocato come Jimmy Hogan ci ha insegnato» dirà a fine partita, rendendo onore all’influenza avuta dal tecnico inglese sul calcio magiaro ai tempi della prima guerra mondiale.
Dopo quello strepitoso successo, preceduto dal 3-0 rifilato il 17 maggio all’Italia in occasione dell’inaugurazione dell’Olimpico di Roma e seguito dal clamoroso 7-1 inflitto all’Inghilterra nel retour-match del 23 maggio 1954 al Nepstadion, i magiari sono i grandi favoriti per il mondiale svizzero in programma quell’estate. Il primo dell’era televisiva.
L’inizio del torneo conferma gli unanimi pronostici: 9-0 alla Corea del Sud, 8-3 alla Germania Ovest (con Puskás scientificamente azzoppato da Werner Liebrich), 4-2 al Brasile nella durissima “Battaglia di Berna” – con risse, aggressioni, una bottiglia spaccata in testa da Puskás, riserva di lusso, a un fotografo – e, in semifinale, all’Uruguay (piegato ai supplementari in quella che molti ritengono la più spettacolare partita della storia).
In finale però, nonostante il rientro del malconcio “Colonnello”, autore del primo gol e di una rete annullata pe rfuorigioco ma impossibilitato a giocare da par suo, la freschezza atletica, secondo i più assai “sospetta”, l’organizzazione difensiva e l’indomabile spirito dei tedeschi hanno la meglio: da 0-2 a 3-2 (doppietta di Uwe Rahn) ed ecco che gli uomini di Sepp Herberger, trascinati da capitan Fritz Walter, si issano sul tetto del mondo.
In finale però, nonostante il rientro del malconcio “Colonnello”, autore del primo gol e di una rete annullata pe rfuorigioco ma impossibilitato a giocare da par suo, la freschezza atletica, secondo i più assai “sospetta”, l’organizzazione difensiva e l’indomabile spirito dei tedeschi hanno la meglio: da 0-2 a 3-2 (doppietta di Uwe Rahn) ed ecco che gli uomini di Sepp Herberger, trascinati da capitan Fritz Walter, si issano sul tetto del mondo.
Per Sebes, ostaggio della volontà del suo fuoriclasse infortunato, come accaduto ad Arrigo Sacchi con Roberto Baggio nella finale di Pasadena ’94, il colpo è duro, ma è niente in confronto a quanto accadrà al Paese di lì a due anni.
La situazione sociale ed economica prodotta dal regime stalinista sfocia, il 23 ottobre 1956, nello scoppio dell’insurrezione socialista libertaria che, prima di essere soffocata nel sangue, entro l’11 novembre, dall’Armata Rossa sovietica, vede sfilare a Budapest 200 mila fra studenti e operai. Di essi, almeno 46 mila muoiono nell’arco dei cinque mesi successivi l’inizio dei moti; 75 mila vengono deportati nell’allora Unione Sovietica, da dove in 8000 non faranno ritorno.
La “dittatura morbida” di János Kádár, fantoccio messo lì dalla “controrivoluzione” sovietica, che lo ha fatto rientrare a Budapest nascosto in una camionetta, non si rivelerà poi tale autorizzando 228 esecuzioni, che sapevano tanto di rinnovamento all’insegna della continuità. Non a caso Indro Montanelli, testimone diretto dei fatti, intitolò “I sogni muoiono all’alba” il memorabile testo teatrale che scrisse sui “fatti” del 1956.
La situazione sociale ed economica prodotta dal regime stalinista sfocia, il 23 ottobre 1956, nello scoppio dell’insurrezione socialista libertaria che, prima di essere soffocata nel sangue, entro l’11 novembre, dall’Armata Rossa sovietica, vede sfilare a Budapest 200 mila fra studenti e operai. Di essi, almeno 46 mila muoiono nell’arco dei cinque mesi successivi l’inizio dei moti; 75 mila vengono deportati nell’allora Unione Sovietica, da dove in 8000 non faranno ritorno.
La “dittatura morbida” di János Kádár, fantoccio messo lì dalla “controrivoluzione” sovietica, che lo ha fatto rientrare a Budapest nascosto in una camionetta, non si rivelerà poi tale autorizzando 228 esecuzioni, che sapevano tanto di rinnovamento all’insegna della continuità. Non a caso Indro Montanelli, testimone diretto dei fatti, intitolò “I sogni muoiono all’alba” il memorabile testo teatrale che scrisse sui “fatti” del 1956.
Tutto ciò in cui Gusztáv aveva sempre creduto si stava sfaldando sotto i suoi occhi. Lasciato l’incarico di Ct nel 1957, Sebes si dedica a tempo pieno al ruolo di alto dirigente UEFA, ente nel quale era entrato come membro fondatore, e al dicastero dello Sport.
Al momento dei disordini, i suoi “ragazzi” erano con la Nazionale a Madrid per una tournée chiesta da Puskás e dal Ds e accompagnatore della squadra Osterreicher al Primo ministro Imre Nagy per preparare al meglio l’esordio, contro l’Athletic Bilbao, nella seconda edizione della Coppa dei Campioni. Raggiunti dalla notizia, dentro di sé avevano già deciso di lasciare il Paese: Puskas andrà al Real Madrid, Kocsis e Czibor al Barcellona, gli altri dove potranno. Dei 18 componenti la rosa, solo 6 rientreranno in Ungheria, Bozsik, Banyai, Rákosi, Dudas, Farago e Torocsic, spinti più che altro dall’impossibilità di organizzare la fuga dei propri cari.
Al momento dei disordini, i suoi “ragazzi” erano con la Nazionale a Madrid per una tournée chiesta da Puskás e dal Ds e accompagnatore della squadra Osterreicher al Primo ministro Imre Nagy per preparare al meglio l’esordio, contro l’Athletic Bilbao, nella seconda edizione della Coppa dei Campioni. Raggiunti dalla notizia, dentro di sé avevano già deciso di lasciare il Paese: Puskas andrà al Real Madrid, Kocsis e Czibor al Barcellona, gli altri dove potranno. Dei 18 componenti la rosa, solo 6 rientreranno in Ungheria, Bozsik, Banyai, Rákosi, Dudas, Farago e Torocsic, spinti più che altro dall’impossibilità di organizzare la fuga dei propri cari.
Per quei campioni ormai affermati “Zio Guszhi” (deceduto a Budapest il 30 gennaio 1986) era un maestro, di calcio e di vita, era inevitabile che fosse lui a tentare sino all’ultimo di dissuaderli dai propositi di fuga. Per convincerli si era anche precipitato a Bruxelles.
I “suoi ragazzi” lo avevano ascoltato per dieci minuti, poi gliene avevano chiesti altrettanti per dargli una risposta, arrivata fra le lacrime: a vincere, stavolta, è la voglia di libertà. La stessa che aveva ispirato il loro calcio, il calcio di Sebes, e che quando ti entra “dentro” non vuole più saperne di uscire. Neanche con i carri armati.
I “suoi ragazzi” lo avevano ascoltato per dieci minuti, poi gliene avevano chiesti altrettanti per dargli una risposta, arrivata fra le lacrime: a vincere, stavolta, è la voglia di libertà. La stessa che aveva ispirato il loro calcio, il calcio di Sebes, e che quando ti entra “dentro” non vuole più saperne di uscire. Neanche con i carri armati.
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo
L’IMPERO SUBISCE ANCORA
La spessa patina di spocchia che ha sempre ammantato i vertici del calcio inglese subisce una vigorosa, doppia, scrollata in appena sei mesi a cavallo fra il 1953 e il 1954. Il 25 novembre, a Wembley, i Maestri incassano una durissima sconfitta (3-6, ma poteva finire 3-10) in quella che i posteri definiranno “La partita del secolo” ben prima di Italia-Germania 4-3 di Messico ’70.
All’indomani della batosta, la prima in casa contro una nazionale extra-britannica, i giornali inglesi – notoriamente parchi di elogi verso il Continente – escono con titoloni che la dicono lunga sulla supremazia sciorinata dai magiari nella sfida etichettata come “Empire vs. Communism”: «Now it’s back to school for England», per l’Inghilterra è tempo di tornare a scuola, perché «The New Wembley Wizards», i nuovi maghi di Wembley, le hanno impartito un’autentica lezione di calcio.
Già sotto 1-0 dopo 60 secondi (prodezza di Hidegkúti, autore di una tripletta) e 2-4 all’intervallo, a capitan Wright e compagni, autori di 5 conclusioni contro 35, non restava che limitare i danni contro le spettacolari giocate in punta di bulloni regalate ai 100 mila presenti dai finti interni Kocsis e Puskas (due reti di cui una, la terza ungherese, da antologia), dal centravanti arretrato Hidegkúti, dal mediano tutto fosforo, carattere e tecnica Bozsik (un gol) e dalla funambolica ala sinistra Czibor.
La Aranycsapat confeziona un fantastico bis nella gara di ritorno al Nepstadion (“stadio del popolo”, oggi Ferenc Puskás Stadion) il 23 maggio. Con l’eccezione di Budai II, sostituito dal più giovane József Toth all’ala destra, la formazione che ha espugnato Wembley umilia i bianchi d’Inghilterra – che rispetto all’andata ripresentano solo Merrick, Wright, Dickinson e Sewell – con un passivo ancora più pesante: 7-1, con sigilli di Puskás (2), Kocsis (2), Lantos, Toth e Hidegkúti e, sul 6-0, gol della bandiera di Broadis.
Per riprendersi, gli inglesi abbandoneranno il Sistema (o WM) per convertirsi ad un più moderno 4-4-2. La perfetta macchina da calcio, e di propaganda, messa a punto da Sebes aveva invece raggiunto l’apice e, quindi, l’inizio della fine. Intanto, però, che spettacolo. (chgiord)
All’indomani della batosta, la prima in casa contro una nazionale extra-britannica, i giornali inglesi – notoriamente parchi di elogi verso il Continente – escono con titoloni che la dicono lunga sulla supremazia sciorinata dai magiari nella sfida etichettata come “Empire vs. Communism”: «Now it’s back to school for England», per l’Inghilterra è tempo di tornare a scuola, perché «The New Wembley Wizards», i nuovi maghi di Wembley, le hanno impartito un’autentica lezione di calcio.
Già sotto 1-0 dopo 60 secondi (prodezza di Hidegkúti, autore di una tripletta) e 2-4 all’intervallo, a capitan Wright e compagni, autori di 5 conclusioni contro 35, non restava che limitare i danni contro le spettacolari giocate in punta di bulloni regalate ai 100 mila presenti dai finti interni Kocsis e Puskas (due reti di cui una, la terza ungherese, da antologia), dal centravanti arretrato Hidegkúti, dal mediano tutto fosforo, carattere e tecnica Bozsik (un gol) e dalla funambolica ala sinistra Czibor.
La Aranycsapat confeziona un fantastico bis nella gara di ritorno al Nepstadion (“stadio del popolo”, oggi Ferenc Puskás Stadion) il 23 maggio. Con l’eccezione di Budai II, sostituito dal più giovane József Toth all’ala destra, la formazione che ha espugnato Wembley umilia i bianchi d’Inghilterra – che rispetto all’andata ripresentano solo Merrick, Wright, Dickinson e Sewell – con un passivo ancora più pesante: 7-1, con sigilli di Puskás (2), Kocsis (2), Lantos, Toth e Hidegkúti e, sul 6-0, gol della bandiera di Broadis.
Per riprendersi, gli inglesi abbandoneranno il Sistema (o WM) per convertirsi ad un più moderno 4-4-2. La perfetta macchina da calcio, e di propaganda, messa a punto da Sebes aveva invece raggiunto l’apice e, quindi, l’inizio della fine. Intanto, però, che spettacolo. (chgiord)
I TABELLINI
Londra (Wembley – Imperial Stadium), 25 novembre 1953
Inghilterra-Ungheria 3-6
Inghilterra: Merrick – Ramsey, Eckersley – Wright (C), Johnston, Dickinson – Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb. Ct: Winterbottom.
Ungheria: Grosics (80’ Gellar); Buzanszky, Lantos – Bozsik, Lorant, Zakarias – Budai, Kocsis, Hidegkúti, Puskás (C), Czibor. Ct: Sebes.
Reti: Ramsey su rigore, Mortensen, Sewell; Hidegkúti (3), Puskás (2), Bozsik
Spettatori: 100 mila circa.
Budapest (Nepstadion), 23 maggio 1954
Ungheria-Inghilterra 7-1
Ungheria: Grosics – Buzanszky, Lantos – Bozsik, Lorant, Zakarias – Toth, Kocsis, Hidegkúti, Puskás (C), Czibor. Ct: Sebes.
Inghilterra: Merrick – Staniforth, R. Byrne – Wright (C), Owen, Dickinson – Finney, Broadis, P. Harris, Jezzard, Sewell. Ct: Winterbottom.
Reti: Puskás (2), Kocsis (2), Lantos, Hidegkúti, Toth; Broadis.
Spettatori: 80 mila circa.
La scheda di GUSZTÁV SEBES
Nato: 22 giugno 1906, Budapest (Ungheria); deceduto a Budapest il 30 gennaio 1986.
Ruolo: difensore.
Club da giocatore: Haladás (1918-21), Vasas Budapest (1921-24), Nomád Parigi (Francia, 1925-26), Billancourt (Francia, 1926-27), MTK Budapest (1927-40).
Presenze (reti) in Nazionale: 1 (-), 15 marzo 1936, Ungheria-Germania 3-2.
Club da allenatore: Ujpesti Dozsa, Ferencváros, Honvéd.
Nazionali da Ct: Ungheria (1949-56).
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