FOOTBALL PORTRAITS - Maka e i suoi fratelli (2007)


https://www.amazon.it/Football-Portraits-Ritratti-calcio-Agbonlahor-ebook/dp/B01KI1XRO6

«Makélélé role» così hanno preso a chiamare oltremanica la posizione, mediano davanti la difesa, e il gioco altruistico del nazionale francese. Analisi di un ruolo e di una tipologia di giocatori un tempo sottovalutati e oggi più che mai imprescindibili

di Christian Giordano, Mr Football-Guerin Sportivo (2007)

«Makélélé role». Non cercateli. La definizione non esiste. Lui, The Invisible Man, in campo si sente eccome, ma non si vede. Non sono a molti quelli capaci di segnare la storia del calcio al punto da lasciarci dentro nome e ruolo. O, nel caso, la propria, rivoluzionaria maniera di interpretarlo. La giravolta di Cruijff, la veronica di Zidane, il doppio passo di Biavati, la finta a destra di Garrincha erano virtuosismi tecnici che, come alcune scoperte o leggi fisiche, prendono il nome di chi per primo ci è arrivato. Ma il fluidificante alla Facchetti, il libero alla Beckenbauer, il centravanti arretrato alla Hidekguti, l’universale alla Di Stéfano il calcio lo riscrivono. I Makélélé, al più, lo ridefiniscono, ne caratterizzano una fase storica. «Credo sia il miglior riconoscimento che un calciatore possa ottenere, vuol dire che hai lasciato il segno nel gioco, che hai creato qualcosa di nuovo», dice il prototipo del centrocampista di contenimento. 

Spifferi dal Bernabéu sussurrano che quando il nazionale francese era ancora a libro paga merengue, ogni volta che il patriarca blanco Alfredo Di Stéfano andava in chiesa recitasse una preghiera per un giocatore del club. Non per Raúl, Zidane, Ronaldo o Figo, ma per l’unico svestito del mantello di galáctico: Claude Makélélé.

Non è dato sapere se faccia identica professione di fede José Mourinho, suo attuale allenatore al Chelsea, club che per averlo, già trentenne, si privò di 16.8 milioni di sterline. Soldi ben spesi. «Per me il calcio offensivo è Makélélé che conquista palla e la passa al difensore centrale, che la dà al terzino destro che viene avanti e valuta la situazione – recita credibile l’ex tecnico del Porto – Se può fare qualcosa la passa o avanza palla al piede; se no, la restituisce a Makélélé che imposta di nuovo l’attacco. Questo è calcio offensivo. In Inghilterra vuol dire far arrivare la palla a Makélélé che la butta avanti, sempre, anche se sono tutti marcati». 

Ranieri riuscì ad averlo a Stamford Bridge, lo definì la tessera mancante per completare il puzzle. E pazienza se nel 4-4-2 del romano, Claude mai ha raggiunto il rendimento toccato a Madrid (dove con il suo successore, Cambiasso, la differenza si notò eccome) e a Londra. Secondo Capello, che in quella fetta di campo alla Juventus ha preteso la diga Emerson-Vieira e a Madrid ci ha riprovato con Emerson-Diarra, “Maka” è l’unico giocatore del quale il Chelsea non può fare a meno. MacManaman – che in camiseta blanca lo ha avuto come compagno per tre stagioni, ricorda di come al tifoso madrilista medio la presenza di Claude passasse quasi inosservata. Mentre «sin dal primo giorno per noi giocatori era ovvio che fosse un elemento cruciale, e non perché segnava venti gol o sapesse fare cose fantastiche tipo saltare sei avversari, passare, ricevere palla e andare a far gol. Eppure non ha mai avuto il credito che meritava. Quando è passato al Chelsea, nel settembre 2003, gli dicevano: “Non si vede mai, non fa niente”. Ma Lampard ebbe una stagione sensazionale, e questo aveva molto a che fare con i tanti palloni che Claude conquistava e gli serviva con precisione. È un operaio, essenziale, orribile da affrontare. In allenamento, leggeva il gioco così bene che non riuscivi mai ad andargli via. Il suo compito è quello di spezzare la manovra avversaria, i giocatori lo apprezzano ed è impossibile sopravvalutarne l’importanza». 

Alla Ciudad Deportiva nessuno l’ha mai fatto, nella stanza dei bottoni del Bernabéu casomai è accaduto il contrario. L’allora presidente Florentino Pérez lo considerava un mero portatore d’acqua: «Non ci mancherà. Ha una tecnica mediocre, non ha la velocità né la classe per saltare l’uomo, e il novanta per cento dei suoi passaggi è all’indietro o in orizzontale». E anche se le 14.000 sterline la settimana che il club gli versava erano meno di un quinto di ogni stipendio galáctico, fece spallucce quando il francese – consigliato dai senatori – salì sull’Aventino per farsi aumentare l’ingaggio. La tattica aveva funzionato al Celta Vigo, nel 2000, quando smise di allenarsi e ottenne la risoluzione del contratto. Stavolta no. Eppure, con lui come cerniera davanti la difesa, titolare fisso per Del Bosque, erano arrivate due Liga, la Champions League, la Supercoppa spagnola e l’Intercontinentale. Senza, neanche la Coppa del Nonno. 

Siccome niente spinge all’emulazione più del successo, non stupisce che quel modo altruistico di interpretare ruolo e partita, alla faccia del telaio non da corazziere (1.70 x 66 kg), abbia scatenato la caccia agli eredi se non ai cloni: Lee Carsley, George Boateng, Hayden Mullins, Matthew Oakley, Aaron Mokoena e l’imponente Papa Bouba Diop. Tutti giocatori alla Makélélé, dall’approccio “The man or the ball goes past you – never both”, insomma l’antico “o la palla o l’uomo“, mai farsi superare da entrambi. Chi li ha se li tiene stretti (l’Arsenal con Gilberto Silva), chi non li ha se li inventa (Dietmar “Didi” Hamann nel Liverpool delle cinque coppe del 2001; il Bolton con Iván Campo, ex stopper madrilista che non ha perso il vizio del gol, erede della tradizione perpetrata da Gary Speed, Abdoulaye Faye e un altro ex centrale merengue, Fernando Hierro; Ledley King che David Pleat negli Spurs e Sven-Göran Eriksson in nazionale hanno avanzato a metà campo come Capello fece nel Milan con Desailly). Oppure cerca gente come il volante Javier Mascherano (restato “in famiglia”, dal Corinthians al West Ham United) o lo smistapalloni Michael Carrick, passato in estate dal Tottenham Hotspur al Man U, club alla disperata ricerca del successore di Roy Keane – falliti gli esperimenti con Smith, Rio Ferdinand (come suggerito da Tony Adams) e Phil Neville – da affiancare alla nave-scuola Paul Scholes. Per trovargli un sostituto, al White Hart Lane hanno investito 8.6 milioni di sterline su Didier Zokora, autore di un Mondiale stellare. Il “Maestro” ivoriano (1980) il cui incedere a testa alta ha scomodato improvvide etichette di Falcão nero (senza il tiro né il gioco aereo) o di “nuovo Vieira”, lui che è appena 1.79 di fosforo, energia e resistenza. Piedi, visione di gioco e intelligenza calcistica gli consentono di sdoppiarsi fra contenimento e regìa. Segna poco, ma perché parte da molto indietro. “Malin” (si pronuncia malèn), come dicono in Francia di chi è furbo, smaliziato, già ai tempi dell’ASEC di Abidjan, dove al centro della difesa giocava accanto a Kolo Touré, dopo le tappe al Genk (2000-04) e al Saint-Étienne, nel 2005 poteva finire al Man U o al Chelsea, che preferì svenarsi per il gattone ghanese Mikaël Essien, l’archetipo - se ne esiste uno - del mediano moderno. Fisico, corsa, duttilità e potenza impressionanti, specie da quando ha moderato l’eccessiva fallosità. Il Makélélé del futuro? «Essien – risponde l’originale – Il mio diventerà il ruolo di Mikaël. Sta dimostrando di poter diventare, in tre-quattro anni, il più forte centrocampista al mondo. È forte, intelligente, può coprire diversi ruoli ed è giovane, può solo migliorare».

Capìta l’antifona, non è un caso che, per garantirsi la continuità della specie, Man U e Chelsea si siano accapigliati per il pilone (1.80 x 80 kg) nigeriano John Obi Mikel, classe 1987: per spuntarla Abramovich ha scucito 16 milioni di sterline (12 al Man U, 4 al Lyn Oslo). Maka non è eterno (quest’anno, complici gli squilibri della squadra, ha mostrato le prime defaillance) e allora meglio non farsi sfuggire i suoi “fratelli”. Anche se, come intonano allo Stamford Bridge, «There’s only one Makélélé». Al contempo, uno, nessuno e centomila.
Christian Giordano
Mr Football-Guerin Sportivo (2007)


I predecessori/Oltre il solco della tradizione

Ronald (Ron) Flowers  - Wolverhampton, Anni 1952-67
Classe 1934, giocatore di scarsa fama e di rare tenacia e alacrità, doti che in nazionale gli valsero 10 gol in 49 caps (tra cui il 2-2 contro l’Italia a Wembley nel 1959), non poche ai tempi. Nei grandi Wolves dei Cinquanta era in trincea con Eddie Clamp. A Inghilterra 66 non giocò mai: faceva panca per Stiles. 

Norbert (Nobby) Stiles - Manchester United, 1959-71
«Brutto anatroccolo». «Dracula». «La miglior pubblicità per suo padre» (proprietario di un’impresa di pompe funebri, ndr). Anche oltremanica talvolta si è ostaggi delle etichette. Quelle del più noto sdentato dell’èra pre-Joe Jordan ne facevano un mero mordicaviglie, brutale nel tackle e privo di creatività. Fosse stato solo questo, non avrebbe vinto Mondiale e Coppa dei Campioni nel giro di due anni. Una volta, in tv, andò giù duro con uno che giocava più a rugby che a calcio. Senza lenti a contatto, non si era riconosciuto. Il suo capolavoro di agonismo e correttezza è il duello con Eusébio (a segno su rigore) nella semifinale di Inghilterra 66. Lasciò la nazionale nel 1970 (a 28 anni, con altrettante presenze e una rete) e lo United (392 match e 19 gol) l’anno dopo: il “Boro” lo pagò 20.000 sterline. Tra il 1989 e il 1993 era nello staff tecnico che nelle giovanili forgiò i futuri “Fergie Boys” Paul Scholes e Nicky Butt. Il ceppo è quello.

Billy Bremner - Leeds United, 1959-76
Vera anima dei bianchi nella gestione Don Revie, era stato rifiutato da Arsenal e Chelsea, intenti a guardare il dito (la sua bassa statura) anziché la luna (il suo gran cuore). Per la gioia dell’Elland Road, riservava il meglio di sé per il Manchester United, contro il quale segnò il gol vincente in semifinale di FA Cup nel 1965 e nel 1970. 

Peter Reid - Everton, 1982-88
Uno cui piacevano i tackle, la definizione che dava di sé. Semplice come la tattica che negli anni Ottanta portò l’Everton a due titoli: lui e Paul Bracewell conquistavano palla, la servivano alle ali, che crossavano per Andy Gray, Adrian Heath e Graeme Sharp. La sublimazione delle teorie di Charles Hughes.

Roy Keane - Manchester United, 1993-2005
Quando approdò allo United dal naufragio del Nottingham Forest di Brian Clough, l’ex disoccupato di Cork copriva l’intera terra di nessuno compresa fra le due aree. Quando botte e infortuni ne accorciarono passo e range, si trasformò nel prototipo del frangiflutti con immutata licenza di uccidere dalla distanza. 

Patrick Vieira - Arsenal, 1996-2005
Lasciato il Milan, la sua fortuna fu giocare accanto a un califfo della mediana come il connazionale Emmanuel Petit, poi eclissatosi. Duro quanto Keane (meno forte nel tackle, ma più pericoloso negli inserimenti e di testa), era l’unico Gunner per avere il quale il manager del Red Devils, Sir Alex Ferguson, avrebbe fatto follie.
(c.g.)


Commenti

Post popolari in questo blog

Dalla periferia del continente al Grand Continent

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?

I 100 cattivi del calcio