MAESTRI DI CALCIO - Michels, rivoluzione Generale


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di CHRISTIAN GIORDANO ©, Guerin Sportivo ©
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«Il calcio è guerra» disse durante il Mondiale del ’74 che lo consegnò alla storia. Dichiarazione non sorprendente per il “Generale”, come era chiamato per il look (capelli corti, sguardo fiero, mascella capelliana), i modi autoritari (che nascondevano un’indole anche goliardica e guscona) e l’amore per la disciplina, il grande teorizzatore della prima (e unica?) rivoluzione del pallone. Quella del Calcio Totale. 

Marinus (Rinus) Jacobus Hendricus Michels, figlio di Piet e di Wil van Brederode, nasce il 9 febbraio 1928 ad Amsterdam, a due passi dall’Olympisch Stadion. Curiosamente, il destino che 19 anni dopo, ma a duecento metri dal De Meer (lo stadio dell’Ajax), toccherà al suo futuro pupillo Johan Cruijff. 

Il vicinato tifa per il Blauw Wit (biancoblù), ma non il padre, innamorato dei biancorossi di Amsterdam-est. Rinus ha cinque anni la prima volta che il papà lo porta a vedere una partita degli ajacidi.

Nel 1940, all’inizio dell’occupazione tedesca, il ragazzo entra nelle giovanili determinato ad emulare le gesta del suo mito, l’attaccante Piet van Reenen, titolare di un tiro dirompente che i numeri sembrano confermare: 272 reti in 237 gare.

Prolifico centravanti, poco tecnico ma forte di testa, coraggioso e potente, Michels debutta in prima squadra addirittura con una cinquina, il 9 giugno 1946 nell’8-3 all’ADO Den Haag (L’Aja).

Di gol, nelle 12 stagioni con il club, ne segnerà 120 in 257 partite: 94 in 171 gare con gli “amateur” fino al 1954, 27 in 89 da professionista (l’ultima nell’1-0 casalingo al NOAD il 16 marzo 1958).

Come l’idolo di gioventù (2 presenze), non ne realizza neanche uno nelle 5 apparizioni con la nazionale, nella quale esordisce l’8 giugno 1950, Svezia-Olanda 4-1. Con lui in campo, gli “oranje” subiscono rovesci clamorosi: altro 4-1 in trasferta in Finlandia, 4-0 in Belgio, 6-1 di nuovo in Svezia, 3-1 in Svizzera e addio all’arancione.

Va meglio in biancorosso: vince 2 campionati a distanza di dieci anni (quello del’47 nella sua prima stagione) e per due volte è il miglior marcatore della squadra (16 centri in 26 partite nel 1949-50, 15 su 19 nel 1951-52). A soli 30 anni però, persistenti problemi alla schiena lo costringono al ritiro.

Nel 1964-65 l’Ajax è a tre punti dalla zona-retrocessione quando il tecnico inglese Vic Buckingham si dimette. Il 22 gennaio, il consiglio direttivo affida la squadra all’ex centravanti che al momento insegna educazione fisica (Rinus si era diplomato dopo aver assolto agli obblighi di leva) ai bambini sordomuti.

Non è il primo olandese a sedersi su quella panchina, ma è il primo a farlo da quando in Olanda il calcio è diventato professionistico; una decisione in controtendenza con la tradizione, risalente alla fondazione (1900), che ha visto l’incarico assegnato spesso a tecnici stranieri, specie inglesi o austriaci.

Michels, leader naturale già da giocatore, si era formato col verbo tattico dell’inglese Jack Reynolds, che aveva introdotto il modulo ancora oggi noto come “sistema-Ajax” e avviato, instaurando un rigido regime di allenamento, il processo di professionalizzazione.

Nella nuova veste Michels entrerà dritto nella storia perché rivoluzionerà il modo di concepire il calcio, in campo e fuori. La critica lo considera il padre fondatore del Calcio Totale.

In realtà lui per primo non ci ha mai creduto e non solo perché le basi di quel gioco così innovativo e spettacolare le aveva gettate il suo maestro: «Non ho mai capito cosa sia. È un’invenzione dei giornalisti, e mai si sono degnati di spiegarmela».

La sua avventura in panchina era cominciata e proseguita nei dilettanti, nel 1960 allo JOS, piccola formazione di Amsterdam est, e nel ’64 ad Amsterdam sud, nell’AFC.

Nello stesso anno, era approdato all’Ajax, ma alla formazione riserve. Quando gli viene affidata la prima squadra, il club ha solo un obiettivo: salvarsi. L’ala Sjaak Swart, una delle poche stelle, ricorda: «Nella sua prima partita [due giorni dopo l’insediamento, ndr], battemmo in casa l’MVV Maastricht per 9-3 e io segnai cinque gol. Finalmente, avevamo una squadra».

Vero, ma un po’ ingeneroso nei confronti di Buckingham che, subentrato al connazionale Jack Rowley, aveva ereditato una squadra indebolita dalle cessioni; e perché era stato lui a svezzare e a far esordire, a 17 anni e mezzo, la futura arma vincente di Michels: Cruijff. 

Delle ultime sette partite con Buckingham, l’Ajax ne aveva vinte quattro e pareggiata una, segnando ventun gol e concedendone tredici (9 dei quali nella débâcle esterna del 29 novembre contro il Feyenoord). Nelle dodici con Michels, arrivano tre vittorie e cinque pareggi, per un totale di sedici reti contro tredici. La squadra chiude a 26 punti, al 13° e terzultimo posto (ex aequo con il GVAV Groningen), il primo utile per la salvezza ma il peggior piazzamento del club dall’avvento del professionismo (1954-55) in Olanda. 

La stagione successiva vince la Eredivisie. Nella Coppa dei Campioni 1966-67, l’Europa del pallone si accorge del vento nuovo che presto la investirà. Il 7 dicembre con il 5-1 al Liverpool di Bill Shankly nella storica The Fog Game, la Partita della nebbia, nasce il Calcio Totale.

L’etichetta era dovuta al senso di totalità (di gioco, di tempi e di spazi) provocato da undici indemoniati che difendevano già nell’area avversaria e attaccavano dalla propria; con terzini che si trasformavano in ali e attaccanti che, andando a pressare sulla terza linea, diventavano i primi difensori. Il tutto con interscambi e sovrapposizioni, fuorigioco “alto” e squadra corta, lunghi fraseggi orizzontali e improvvise verticalizzazioni.

Ma nei quarti, l’Ajax sottovaluta il Dukla (1-1) e a Praga va fuori per un rigore e per l’autogol, poco prima dello scadere, di capitan Frits Soetekouw su un calcio d’angolo. La Sfinge, uno dei tanti soprannomi affibbiati a Michels per l’impenetrabilità dell’espressione, è furiosa. Per salire l’ultimo gradino occorre cambiare ancora. 

Dopo due anni di gestione pretende, oltre ai durissimi allenamenti (anche 4 sessioni giornaliere coordinate con il fisioterapista Salo Muller) già in atto, quegli stipendi garantiti che trasformano i giocatori in professionisti; uno stanzino per i massaggi; e un ufficetto dove i calciatori possano parlargli privatamente anziché davanti a tutti come nello spogliatoio.

In campo, contrariamente a quel che si pensa sulla filosofia storicamente offensiva che sta dietro al gioco dell’Ajax, Michels costruisce la sua opera d’arte partendo dalla difesa. Recluta l’esperto libero Velibor Vasovic, durissimo (soprattutto mentalmente) capitano del Partizan Belgrado e della nazionale jugoslava, che aveva visto andare in gol l’11 maggio ’66 a Bruxelles, nella finale di Coppa dei Campioni persa (1-2) contro il Real Madrid.

Riesce a contattarlo attraverso la moglie, jugoslava, di un olandese di nome Andres Blankert e in ottobre lo piazza nel cuore della retroguardia. «Michels è stato l’architetto di quel calcio» dice oggi l’avvocato Vasovic, «ma una grossa mano gliel’ho data io». Con Vasovic nei panni che Don Revie aveva cucito addosso a Bobby Collins al Leeds United, e il gigante Burry Hulshoff (al posto di Soutekouw, mai più impiegato dopo il blackout col Dukla) come stopper, la difesa per quattro anni e mezzo sarà impenetrabile o quasi.

E quando Michels rimpiazza il mancino Klaas Nuninga, i centrocampisti Bennie Muller e Tonny Pronk, e il terzino sinistro Theo Van Duivenbode con califfi quali Gerrie Mühren, Johan Neeskens, Arie Haan e Ruud Krol, fa tombola perché quei campioni gli garantiscono al contempo linfa per gli avanti e copertura difensiva. Nel frattempo, in porta Heinz Stuy ha rilevato l’anziano Gert Bals e all’inizio del ’67, la squadra che tremare il mondo farà è già realtà: primo “double” campionato-Coppa d’Olanda e record di gol in una stagione: 122.

L’ultimo passo sarà il ritocco al modulo, dal 4-2-4 al 4-3-3, ancora oggi la matrice ajacide, ma bisegnerà aspettare l’aprile del ’70, quando l’Ajax pareggerà 3-3 col Feyenoord, vincitore mancato nonostante il dominio a centrocampo. 

A Madrid ’69 l’Ajax è la prima olandese in finale di Coppa dei Campioni, ma va a lezione di contropiede (4-1) dal Milan di Rocco e dei marpioni Sormani (un gol e gesto dell’ombrello), Prati (triplettista innescato da un Rivera in serata di grazia); Cruijff sbaglia partita e sullo 0-0 l’Ajax colpisce un palo, ma la storia non si fa con i “se”. 

L’anno dopo, esce in semifinale contro l’Arsenal di Bertie Mee (3-0 ad Highbury, 1-1 all’Olympisch), e così è il Feyenoord il primo a portare in Olanda il trofeo. Michels & C. si rifanno nel ’71, battendo a Wembley il Panathinaikos di Puskas. Gli ajacidi faranno poi bis e ter, ma con un nuovo, più permissivo direttore d’orchestra: il rumeno Stefan Kovacs.

Dopo 393 partite (nelle quali la squadra ha segnato 1099 gol) Michels va a caccia di stimoli e palanche al Barcellona, dove le cose andranno bene ma non benissimo. Almeno fino all’agosto ’73 quando lo raggiunge (per la cifra-record di un milione di dollari) Cruijff. Dopo 14 anni di attesa, il numero 14 più famoso al mondo (che in blaugrana, per il divieto della federcalcio spagnola, ripiegherà sul “9”) regala ai nuovi tifosi e all’antico mentore la Liga e, nel ’78, la Coppa di Spagna. Nell’estate del ’74 c’è il mondiale, cui Michels e l’Olanda rischiano di non partecipare.

Alla fine il Barcellona cede e così, con sole tre partite di preparazione, il ceco Frantisek Fadrhonc, rimasto come “Bondscoach” (capoallenatore), fa da assistente al Supervisor Michels, al quale consegna la squadra che lui ha portato alla qualificazione (acciuffata per differenza-reti, 24-2 contro 12-0, sul Belgio, contro cui ha pareggiato due volte 0-0). Incassate le rinunce per infortunio di Hulshoff e Mansveld in difesa e di Gerrie Muhren per motivi familiari (il figlioletto malato), Michels confermò con lo stesso undici in tutte le partite, eccetto la gara contro la Svezia nel primo turno quando inserì il “nemico” Keizer in luogo di Rensenbrink.

Fu l’unico 0-0 di una cavalcata cominciata col 2-0 all’Uruguay e proseguita con il 4-1 alla Bulgaria, il 4-0 all’Argentina, il 2-0 alla Germania Est e al Brasile, prima dello storico 1-2 in finale con la Germania Ovest di Maier, Beckenbauer, Overath, Breitner e Muller. Gli ultimi due segnarono, dopo il rigore di Neeskens al 2’, le reti del successo, che Michels vendicherà 14 anni dopo, a domicilio, battendo i tedeschi nella semifinale del vittorioso Euro ’88 (2-1 ai sovietici in finale). 

Nel mezzo, le poche luci e molte ombre alla NASL con i Los Angeles Aztecs (anche qui raggiunto da Cruijff, nel ’79) e nella Bundesliga con il Colonia (una Coppa di Germania Ovest nell’83). Il successo agli Europei gli vale un’altra chance teutonica, con il Bayer Leverkusen, prima del ritorno alla Koninklijke Nederlandse Voetbalbond (la federcalcio olandese). Per Italia 90 è lui l’uomo chiave della commissione che a Zeist, quartier generale della KNVB, nomina Ct Leo Beenhakker, nemico storico dell’altro candidato Cruijff, assegnandosi il ruolo di consigliere-supervisore.

A Svezia ’92, guida gli oranje alla semifinale, persa (6-7) ai rigori con la Danimarca, arrivata cenerentola e partita principessa. L’ultima immagine è quella con il volto scavato e sofferente di un 77enne malato da tempo (diversi gli attacchi cardiaci, uno durante la semifinale fra Olanda e Brasile a Francia 98), lontana da quella del condottiero dagli occhi azzurri così penetranti.

Il 18 febbraio 2005, in una clinica di Aalst, in Belgio, aveva subìto un intervento a una valvola cardiaca, secondo i medici «tecnicamente riuscito».

Invece, la notte del 3 marzo, come comunicato dal presidente della KNVB Henk Kesler, erano sorte «acute complicazioni» che ne avevano comportato il ricovero nell’unità di terapia intensiva coronarica.

Alle 5, quel malandato cuore diceva “no, grazie” al nuovo pacemaker. Tanto, era inutile: la vita, le guerre e le rivoluzioni passano, l’eredità del Generale no.
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


ARMA TOTALE
Di rivoluzioni, nel calcio, se ne sono viste poche. Una, vera, però c’è stata: quella del Calcio Totale. Esagerazioni dei media a parte, qualcosa di Nuovo, nella prima metà degli Anni 70, si respirava. Sul prato verde e nei ritiri.

In anni di primo non prenderle e di puritanesimo spinto, il modo di giocare e di vivere dell’OlandAjax fu una duplice boccata di aria fresca, un inno al libero amore per il gioco e per l’altro sesso. Capelli lunghi e squadra corta, senza ruoli fissi in campo e fuori. Dalle retrovie salivano “mostri” quali Suurbier e Krol sulle fasce e Hulshoff nel mezzo, in mediana giostravano atleti polivalenti come Haan (bravo anche da libero) e Neeskens e in attacco operava il trio delle meraviglie: Rep e Keizer (vice-Rensenbrink in Germania) esterni e Cruijff, come Neeskens, dappertutto, da un’area all’altra: la mente e il braccio.

In nazionale, a cotanta torta si aggiungevano le due ciliegine del Feyenoord: il grezzo maratoneta Jansen e l’interno sinistro van Hanegem (al posto di Gerrie Mühren), lento ma formidabile nel costruire e nel concludere, specie dalla distanza. «Arancia meccanica» era chiamata quella macchina quasi perfetta, in ossequio alla celeberrima pellicola di Stanley Kubrick del 1971, l’anno della prima Coppa Campioni ajacide. Peccato si sia inceppata sul più bello, all’Olympiastadion di Monaco, il 7 luglio 1974. Le cicale olandesi, abituate a volare sulle ali di cera della fantasia, se le bruciano sul fuoco della concretezza teutonica. Beckenbauer & C., campioni veri, alzano la Coppa con merito, ma per la leggenda serve altra musica. Quella della Beat Generation del pallone. (chgiord)


Sua l’unica Olanda vincente
Davanti al freddo pararigori van Breukelen (in patria detto “Ijsman”, l’uomo di ghiaccio, per contrapporlo all’estroso Menzo) quattro difensori in linea: due centrali mobili come Koeman e Rijkaard, pronti a sganciarsi (certo più dei laterali van Aerle e van Tiggelen, non proprio Suurbier e Krol); due mediani a copertura: il possente Wouters e il 37enne uomo d’ordine Arnhold Mühren (fratello minore del più tecnico Gerrie); due tornanti, il fine dicitore Vanenburg a destra e il gregario Erwin Koeman finta ala sinistra; Van Basten punta centrale (incredibilmente, all'inizio riserva di Johnny Bosman) e Gullit libero di spaziare sull’intero fronte d’attacco, per sfruttarne l’abilità nel gioco aereo e lo strapotere atletico.

Questa la formula magica di Michels, imperniata su un movimento continuo e il solito eclettismo a cui si devono i frequenti interscambi di ruolo e di posizioni. Marchio di fabbrica e manico sono quelli del ’74, la classe (fatta eccezione per i tre “tulipani” rossoneri e al più “Rambo” Koeman) proprio no.
(chgiord)

La scheda di RINUS MICHELS
Nato: 9 febbraio 1928, Amsterdam (Olanda); deceduto a Aalst (Belgio) il 3 marzo 2005.
Ruolo: centravanti.
Club da giocatore: Ajax (1946-58).
Presenze (reti) con l’Ajax: 269 (121).
Palmarès da giocatore: 2 Campionati olandesi (1947, 1957)
Esordio in Nazionale: Solna, 8 giugno 1950, Svezia-Olanda 4-1.
Presenze (reti) in Nazionale: 5 (0).
Club da allenatore: JOS Amsterdam (1960-64), AFC Amsterdam (dilettanti, 1964-65); Ajax (22 gennaio 1965-71; 1975-76), Barcellona (1971-75; 1976-78), Los Angeles Aztecs (USA, NASL, 1979-80), Colonia (Germania Ovest, 1980-84), Bayer Leverkusen (Germania Ovest, 1988-89) 
Palmarès da allenatore: 4 campionati olandesi (1966, 1967, 1968, 1970), 3 Coppe d’Olanda (1967, 1970, 1971), 1 Coppa dei Campioni (1971), campionato spagnolo (1974), Coppa di Spagna (1978), 1 Coppa di Germania Ovest (1983) 
Club da Dt: Ajax (1975-76) 
In nazionale da Ct: Olanda (27 marzo - 7 luglio 1974; 1986-88; 1990-92); 30 vittorie, 14 pareggi e 10 sconfitte.
Palmarès da Ct: Europeo (1988) 
In nazionale da Dt: Olanda (1984-86; 1990-92)


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