Mockba 80 non crede alle lacrime


di CHRISTIAN GIORDANO ©
In esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS © 

«Il destino vola come un razzo lungo la sua parabola. 
Vola nelle tenebre profonde, di rado nell'arcobaleno.»
– Valentin Chernykh, sceneggiatore


Sarà stato per il caldo o forse perché in giornata-no, ma per Stephen Roche il sogno olimpico di Mosca 1980, inseguito al punto da lasciare, l’11 febbraio, la natia Irlanda per la Francia, si trasforma presto in un incubo. Che già al terzo dei 14 giri previsti, assume le sembianze del “mostro” di Brjansk. 

Al secolo Sergei Nikolaevich Soukhoroutčhenkov, per il resto del mondo Soukho.

Il “Merckx del Volga”, e pazienza se nato sulle sponde di un altro grande fiume, il Desna, affluente di sinistra del Dnepr lungo 1130 km fra Russia europea, Bielorussia e Ucraina.

Il grande favorito di quei Giochi era, da almeno due anni, quel sovietico dal nome tanto lungo quanto impronunciabile che nel 1978 si era fatto conoscere anche oltrecortina vincendo Giro e titolo nazionali, la Vuelta a Cuba e il Tour de l’Avenir (che dal ’71 all’85 non si chiamava Tour bensì Grand Prix), bissato l’anno dopo, contro futuri professionisti quali lo svizzero Gilbert Glaus e il belga Claude Criquielion. Non proprio due carneadi. 

Glaus, sprinter classe ’55, campione del mondo in linea da dilettante nel ’78 al Nürburgring, avrebbe conquistato il bronzo a Praga ’81. Pro’ dal 1982 al 1988, vincerà il titolo nazionale in linea nell’82 e sugli Champs-Élysées l’ultima tappa al Tour de France ’83. 

Criq, compianto passista-scalatore del ’57 e pro’ dal ’79 al ’91, sarà iridato in linea a Barcellona 1984 e cacciatore di classiche da 61 vittorie, tra cui il Fiandre ’87, due Freccia Vallone e Clásica di San Sebastián e titolo nazionale (nel ’90, al penultimo anno di carriera) oltre a tre podi alla Liegi e cinque top ten al Tour. 

Nell’immaginario di ogni appassionato, però, resterà la vittima infilzata come Roche dalla rimonta di Argentin alla Liegi ’87 e, l’anno dopo, in lacrime appiedata per l’urto nella volata con il canadese Steve Bauer che valse all’azzurro Maurizio Fondriest l’oro a Renaix ’88.

Come non bastasse, nel ’79 Soukho aveva vinto Corsa della Pace, Giro delle Regioni e, appunto, il secondo GP de l’Avenir in fila. 

La sua popolarità, perlomeno tra gli addetti ai lavori e in un’epoca mediaticamente lontana anni-luce dalla nostra, non gli garantiva però una conoscenza tale da evitare agli stessi qualche scivolone linguistico. 

Per esempio quello raccontato da Graham Healy su Thebikecomesfirst.com e capitato a David Saunders, speaker della Milk Race, corsa britannica in cui Soukhoroutčhenkov vinse la tappa di Stoke-on-Trent nel 1978 e quella di Bradford nell’80. Nel pronunciarnea fatica l’ostico e lunghissimo cognome, Saunders infilò un memorabile «Super whooping cough», che in inglese si traduce, a spanne, come “super tosse convulsa”. Quella che prosaicamente chiamiamo pertosse, però ad alto numero di ottani involontariamente comici.

Quel 28 luglio il caldo e l’umidità la fanno da padroni almeno quanto lo strapotere di Soukho, autore di una delle più grandi prestazioni dilettantistiche della storia non solo olimpica ma dello sport tout-court.

È vero, la XXII edizione dei Giochi fu mutilata dal boicottaggio di oltre sessanta Paesi appecoronati al niet degli USA che per non partecipare presero a pretesto l’invasione sovietica in Afghanistan dell’anno prima.

Nel ciclismo su strada il forfait di buona parte degli atleti occidentali incise meno rispetto a quanto avvenuto in altre discipline, ma incise: se non altro nel numero di Paesi rappresentati (32), il più basso da Melbourne 1956 (28).

E se in Europa questo significava dover rinunciare alla Germania Ovest, ai tempi assai meno competitiva dei cugini orientali, oltreatlantico voleva dire non avere al via, tra gli altri, i due quotatissimi americani Greg LeMond e Jeff Bradley, nell’ordine primo e quarto ai mondiali juniores a Buenos Aires 1979.

Ovvio che in una ribalta dilettantistica mondiale già dominata dal moloch sovietico e dai suoi satelliti del Blocco dell’Est, i maggiori candidati a una medaglia fossero i capitani delle due più grandi scuole dell’epoca: Olaf Ludwig per la Germania Est e Czesław Lang per la Polonia. 

Il tedesco, classe 1960, quell’estate si era imposto in quattro tappe alla Corsa della Pace. 

Il polacco, già scafatissimo ben oltre i cinque in più all’anagrafe, veniva dai freschi successi alla Settimana Bergamasca e al Giro di Polonia, per non parlare dei due podi mondiali nella cronosquadre: argento a San Cristóbal ’77 e bronzo a Valkenburg ’79.

Tra gli outsider spiccavano l’olandese Peter Winnen, secondo nella Corsa della Pace alle spalle di Yuri Barinov, compagno di Soukho nello squadrone sovietico, e gli ultimi due vincitori della Parigi-Roubaix dilettanti: il francese Marc Madiot l’anno prima e Roche, che nell’80 aveva vinto pure il Grand Prix de France a cronometro.

Ovvio che in tempi di latente Guerra Fredda, per non dire strisciante, qualsiasi risultato diverso dalla vittoria non sarebbe stato contemplato.

Pronostico obbligato, quindi. E rispettato quasi alla lettera, perché sul podio, oltre a Soukho, saliranno Lang e Barinov, iniziali compagni di fuga di sua maestà Sergei che, tutt’altro che condizionato dal ruolo di strafavorito, se ne andrà ai -32 dei 189 km previsti sul circuito appositamente costruito al Trade Unions Olympic Centre, nel distretto di Krylatskoye, e li relegherà a un siderale 2’58”: il più ampio margine dal debutto olimpico del ciclismo a Berlino 1936.

Una superiorità tale per cui l’indomani, Peter Crinnion, storico mentore di Roche e allora Ct irlandese, che in continente aveva corso da professionista, dirà: «In 22 anni nel ciclismo, non ho mai visto una tale dimostrazione di potenza come quella prodotta ieri da Soukhoroutčhenkov e credo sinceramente che persino il grande Eddy Merckx nel suo massimo splendore avrebbe faticato ad eguagliare».

Dietro, il grosso dell’inseguimento era stato sulle spalle di Lang, visto che Borinov non poteva certo tirare per andare a prendere il compagno. Lang però ne aveva ancora abbastanza per batterlo, seppure al fotofinish, nella volata per l’argento. Giù dal podio, ma a 7’44” dal vincitore, il tedesco orientale Thomas Barth.

Dei quattro italiani il migliore fu Marco Cattaneo: 14° a 8’49”. Lo stesso tempo di Glaus, che nel finale s’era staccato dal gruppetto di inseguitori comprendente anche un altro compagno di Soukho, Anatoly Yarkin, e il primo occidentale, settimo a 8’26”, l’olandese Adrie van der Poel, papà del fenomenale Mathieu e genero del mitico Raymond Poulidor.

Gli altri azzurri: Gianni Giacomini 18° a 9’10”, Giuseppe Petito 27° a 9’10”, ritirato Alberto Minetti. Uno dei 52 su 115 partenti, cioè il 45,2%. Valore che dà una discreta misura della durezza della prova.

Roche finì 45°, nel gruppetto col britannico Neil Martin, a 20’29”. Distrutto. Nel fisico e nel morale. Col senno del poi l’irlandese attenuerà di molto quel senso di frustrazione, e di smarrimento per il futuro, che invece, per sua stessa ammissione, all’epoca aveva vissuto. 

In Born to Ride, la sua terza autobiografia, vergata con Peter Cossins, narra di come «in avvicinamento alla gara olimpica, sentisse di andare davvero forte e che stata la sua giornata. Ma una volta arrivati là per andare a visionare il circuito, cominciai ad avere qualche dubbio. Era in sintetico, con curve in pendenza – proprio non il mio genere di circuito. Ma la cosa peggiore per me era che faceva un gran caldo e c’era troppa umidità».

Quanto alla fatica fatta in corsa e all’incertezza sul proprio futuro, racconterà in seguito, «ricordo che ero con Barry McGuigan [nazionale irlandese di boxe, nda] e piangevo perché non sapevo che fare. Non avevo un lavoro, niente medaglia. Ero totalmente a terra».

Altrettanto tipica di Roche, poi, la sua personalissima rivisitazione della realtà, o perlomeno di come essa all’epoca era stata percepita se non raccontata. 

Nella sua seconda autobiografia, The Agony & the Ecstasy, scritta con David Walsh, racconta difatti che «anche se ero andato in Francia per preparare l’olimpiade, i Giochi di Mosca persero importanza mentre cercavo di ambientami alla ACBB. Il mio obiettivo era un contratto da professionista e sapevo che sarebbe arrivato da ciò che avrei ottenuto in Francia. 

(…) Dopo il Tour of Liège [ultima corsa della nazionale irlandese in preparazione a quei Giochi, nda], andammo a Mosca per l’olimpiade. A Mosca non mi sentivo bene e in gara, del tutto fuori forma, corsi ben al di sotto delle mie possibilità. Non fu però una grossa delusione come invece si potrebbe immaginare, perché in quel momento il mio scopo principale era passare professionista. Girava voce che la Peugeot fosse interessata, e quando si fece avanti con un’offerta, non esitai a firmare»

Sulla scia delle 19 vittorie fra agosto e ottobre, il contratto per l’81 arrivò. E Roche nei pro’ debuttò col botto: il 27 febbraio vinse la seconda tappa e l’indomani la classifica generale, con 30” su Michel Laurent e 38” su nientemeno che Bernard Hinault, al Giro di Corsica. 

E neanche un mese dopo, il 18 marzo, nonostante il raffreddore buscato in discesa dal Mont Ventoux, la Parigi-Nizza, a 21 anni e 111 giorni il più giovane vincitore nel dopoguerra e il secondo in assoluto dietro il francese René Vietto (21 anni e 42 giorni nel 1935). 

Come ciliegine sulla torta il Tour d’Indre et Loire e l’Étoile des Espoirs, oltre al secondo posto dietro lo svizzero Daniel Gisiger al Gran Premio delle Nazioni, una sorta di mondiale a cronometro ufficioso e ante litteram.

Soukho e Roche si sarebbero rincontrati al Tour de l’Avenir di quell’anno. Il “Comunista che si mangiava gli avversari” finì secondo a 7’41” da Pascal Simon, compagno dell’irlandese (7° a 12’28”) alla Peugeot-Shell-Michelin. 


Soukho, rimasto nei dilettanti, in realtà professionisti di Stato, rivinse sia il Giro delle Regioni (1981) sia la Corsa della Pace (1984). 

Il Partito unico gli vietò l’espatrio fin al 1989, l’anno in cui crollò il Muro di Berlino. Firmò per l’Alfa Lum di Primo Franchini, la squadra voluta da Ernesto Colnago – con le cui bici Soukho si era laureato campione olimpico – per portare al professionismo tanti talenti fuoriusciti dall’URSS, fra i quali il russo Dimitri Konyshev, il russo-moldavo-ucraino poi naturalizzato belga Andrei Tchmil e il lettone Piotr Ugrumov.

Soukho corse Giro e Vuelta ma durò due stagioni, a 32 anni il grande grande futuro era ormai alle spalle. 

Flash forward. Trentadue anni dopo, invece, la sua storia d’amore coi cinque cerchi si riaccenderà a Londra 2012 con il duplice bronzo, in linea e a cronometro, conquistato per la Russia dalla figlia Olga Zabelinskaya, nata il 3 maggio del 1980, anno tanto caro a quel papà che lei mai avrebbe conosciuto fino ai sedici anni.


Nel mezzo, come ogni storia russa che si rispetti, per l’ex campione-simbolo di un’epoca crollata con quel Muro, una dipendenza dalla bottiglia in cui forse illudersi di affogare il rimpianto di quel che poteva essere e non è stato. 

Liam Collins, da junior vicecampione irlandese nell’86, che con Soukho aveva corso in URSS nei circuiti master, lo ricorda come «un ragazzo simpatico, senza pretese, che correva con una Colnago e veniva trattato come un re. Gli stendevano un tappeto rosso in ogni paesino in cui correvamo. Gentile e alla mano. Un corridore di classe».

Per il Comunista che si mangiava gli avversari, e che in patria chiamavano Soukhar, “pane secco”, un gran complimento, ma la fama non sfama. Men che mai a Est.

Come in Mosca non crede alle lacrime di Vladimir Menshov, Oscar nel 1981 come miglior film straniero, nel set della vita c’è sempre un Roche nato per la parte di Goša e un Sergei perfetto per il ruolo di Gurin. E il tempismo, più che il tempo, è denaro.
CHRISTIAN GIORDANO


Ordine d’arrivo della gara olimpica in linea:
Mosca, 28 luglio 1980

1. Sergej Soukhoroutčhenkov (URSS) km 189 in 4h48’28”,9 alla media di 39,519 km/h
2. Czesław Lang (Pol) a 2’58”
3. Yuri Barinov (URSS) s.t.
4. Thomas Barth (DDR) a 7’44”
5. Tadeusz Wojtas (Pol) s.t.
6. Anatoly Yarkin (URS) a 8’26”
7. Adrie van der Poel (Ned) s.t.
8. Christian Faure (Fra) s.t.
9. Marc Madiot (Fra) a 8’32”
10. Andreas Petermann (DDR) a 8’49”

11. Gilbert Glaus (Svi) s.t.
14. Marco Cattaneo (Ita) s.t.
18. Gianni Giacomini (Ita) a 9’10”.
27. Giuseppe Petito (Ita) s.t.
45. Stephen Roche (Ita) a 20’29”.

Ritirato: Alberto Minetti (Ita).

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