Roger Rivière, la tragica storia di un fuoriclasse maledetto



Le cronometro, la pista, la Grande Boucle: Roger Rivière era un campione.

di LUCA SAUGO
Suiveur - 1 marzo 2020

La storia di Roger Rivière è forse la più drammatica che il ciclismo possa offrire: per quello che gli è successo in carriera e per i risvolti che ciò ha avuto nella sua vita privata. Rivière è stato un talento orizzontale e luminoso come pochi altri apparsi nell’universo del pedale. Un atleta che in un’epoca di grandi campioni, quale fu il finire degli anni ’50, nessuno guardava dall’alto verso il basso. Financo Jacques Anquetil non poteva avere la pretesa di credersi superiore a Roger. E l’eterna maledizione che ha perseguitato Rivière ci ha levato quella che sarebbe stata, verosimilmente, una delle rivalità più sentite da quando questo sport esiste.

Nato nel 1936 a Saint-Étienne, nel Rodano-Alpi, Rivière era corridore totale, capace di primeggiare su strada e nei velodromi. In bici dava sfoggio di un’eleganza con pochi eguali in centocinquant’anni di storia delle due ruote. Una sua pedalata era come il verso di una poesia. Abbinava eccelse doti sul passo a un’ottima esplosività e a una tenuta in salita seconda solo a quella dei grandi grimpeur del suo tempo. Su pista questo suo eclettismo gli permise di dominare l’inseguimento e di riscrivere, più volte, il Record dell’Ora. Caratterialmente si contraddistingueva per un’ardente ambizione e per una grande attenzione ai dettagli. Per questo motivo, al tempo veniva sovente accostato a Fausto Coppi.

Il primo contatto tra Rivière e la bicicletta avvenne quando questi era appena nato. Suo padre, infatti, è proprietario di un’officina che si occupa della lucidatura e della cromatura dei telai. A insegnargli a guidare quel mezzo, però, sarà la sorella Marcelle. Eppure il ciclismo non è la prima scelta di Roger. Il francese, da ragazzo, preferisce il calcio. Solo a sedici anni decide di mettere da parte il pallone e di dedicarsi alla sua vera vocazione.

Riviere muoverà i primi passi in bicicletta nel Vélo-Club Stéphanoi. La prima vittoria arriva nel 1953, al Grand Prix des Canuts. Le sue belle prestazioni, oltretutto, gli valgono la chiamata dal Saint-Étienne-Cycle, uno dei sodalizi di spicco nella zona del Rodano-Alpi. Nell’inverno del 1953, inoltre, inizia anche la sua attività su pista. In ambedue le discipline, verso la metà degli anni ’50, diventa ben presto uno dei prospetti più quotati di Francia.

Nel 1955 coglie sette successi su strada e il secondo posto al campionato nazionale dell’inseguimento riservato ai dilettanti. È nel 1956, tuttavia, che arriva la consacrazione. A febbraio, un Rivière che si appresta a compiere vent’anni, vince il titolo francese degli amateurs nell’inseguimento. In finale batte Philippe Gaudrillet. Dopodiché, però, patisce una battuta d’arresto. In quel periodo, infatti, Roger lascia il lavoro per dedicarsi interamente allo sport. Tuttavia, poco dopo aver preso questa decisione, viene sospeso per un mese poiché, mentre era iscritto all’UC Saint-Étienne, aveva avviato delle trattative, mai realmente concluse, con il VC Dorlay.

Ad ogni modo, Rivière torna a gareggiare in primavera e travolge qualsiasi cosa trovi lungo il suo cammino. Arriveranno ben dodici vittorie, con la perla del Giro d’Europa Zagabria-Namur. La gara in questione è una corsa di dieci tappe che si svolge a metà agosto. Si snoda tra Balcani, Italia, Austria, Germania, Francia e Belgio. Vi partecipano le squadre nazionali e a livello dilettantistico è una delle manifestazioni più prestigiose. Roger si impone già nella prima frazione, che da Zagabria porta a Fiume. In seguito, sigilla il suo successo in una cronometro di quarantanove chilometri da Etain a Longwy.

Nel 1957 Rivière passa professionista tra le file della Saint-Raphaël-Géminiani. In quella stessa stagione, inoltre, presta anche il servizio militare. Ciononostante, già a maggio ottiene il primo grande successo della sua carriera. Roger, infatti, sorprende la Francia battendo Jacques Anquetil nella finale per il titolo nazionale dell’inseguimento. Un trionfo che proietta quel giovane poeta del pedale proveniente dal Rodano-Alpi su un altro livello. Ma sarà solo l’inizio.

Ad agosto, nel velodromo vallone di Rocourt, si svolgono i campionati mondiali di inseguimento riservati ai professionisti. Rivière si qualifica per le semifinali e qua trova Guido Messina. Messina è l’autentico dominatore delle specialità. Vinse il primo titolo iridato, tra i dilettanti, a diciassette anni, nel 1948. Da quattro stagioni, inoltre, è imbattuto nella rassegna iridata. Nel 1953 servì il bis al livello inferiore; poi, nel 1954, passò professionista e conquistò tre ori mondiali consecutivi, di cui l’ultimo battendo in finale Jacques Anquetil.

Quella tra Rivière e Messina è un’autentica finale anticipata. I due sono chiaramente i migliori interpreti al mondo della specialità. Il giovane transalpino sforna una prova magnifica. Perfetto sulla bicicletta, accarezza i pedali e plana leggiadro sulla pista di Rocourt. Il regno dell’azzurro crolla sotto gli eleganti colpi di questo favoloso esteta delle due ruote. La finale, contro il connazionale Albert Bouvet, sarà pura formalità. Roger gli rifila oltre quattro secondi e conquista la sua prima maglia iridata.

Per non farsi mancare nulla, a fine stagione attacca anche il Record dell’Ora di Ercole Baldini. Nella suggestiva cornice del Vigorelli, il ventunenne Rivière supera l’Elettrotreno di Forlì. 46,923 saranno i chilometri percorsi dal transalpino in quell’occasione. In un’annata in cui Jacques Anquetil sboccia vincendo il suo primo Tour de France, il giovanissimo connazionale gli ruba le luci della ribalta. A fine stagione verrà nominato anche Champion des champions français da L’Équipe.

Il duello tra Rivière e Anquetil è la rappresentazione di due facce della stessa nazione. Da un lato Roger, nativo del Rodano-Alpi, nel sud della Francia: carnagione olivastra, occhi neri, capelli scuri, tratti tipicamente latini; il pensiero rivolto sempre e solo alla bicicletta, con il desiderio di migliorarsi continuamente. Sarà il primo nella storia a battere il suo stesso Record dell’Ora. Dall’altro, invece, Jacques: normanno, biondo, occhi azzurri; amante della bella vita, del cibo e delle donne, vizi che poteva permettersi poiché baciato da un talento con pochi precedenti nella storia dello sport.

Eppure i due in bicicletta non erano troppo dissimili. Ambedue erano nati per guidare quel mezzo e viaggiavano lungo quella via che Fausto Coppi e Hugo Koblet avevano indicato. Esteti del pedale, fortissimi nell’inseguimento, ma anche nelle cronometro lunghe. Rivière, poeta latino dall’animo inquieto che bruciava al desiderio di raggiungere la perfezione, godeva di maggiore esplosività. Il normanno, invece, freddo come il Mare del Nord nel cuore dell’inverno ogni volta che montava in sella, si faceva preferire in quelle prove contro il tempo, all’epoca ancora frequenti, in cui agli atleti si chiedeva di superare abbondantemente l’ora di gara.

Il 1958 è un anno in parte interlocutorio per Roger. A febbraio si imbarca per Algeri con il battaglione di Joinville e vi resta per tre mesi. Torna in Francia solo a maggio e quando partecipa ai campionati nazionali dell’inseguimento, il periodo lontano dalle gare si fa sentire. In finale, infatti, perde contro Bouvet. Tuttavia, ritrova il colpo di pedale dei giorni migliori in tempo per i Mondiali.

La rassegna iridata del 1958 si svolge a Parigi e chiaramente per Roger ha un sapore speciale. Nella semifinale contro Franco Gandini fa il nuovo record del mondo sui cinque chilometri e diventa il primo a coprire quella distanza a oltre cinquanta chilometri orari. In finale, successivamente, ha vita facile contro un altro azzurro: Leandro Faggin. A settembre, oltretutto, sfida Ercole Baldini in un inseguimento di dieci chilometri al Vigorelli. L’Elettrotreno di Forlì sta vivendo la sua stagione d’oro: ha vinto il Giro d’Italia, il campionato nazionale e il 31 agosto si è laureato campione del mondo su strada a Reims. Tuttavia, su distanze così brevi, Rivière è probabilmente il più grande specialista di tutti i tempi e in quell’occasione lo dimostra. Stravince il duello andando addirittura a doppiare Baldini dopo appena sei giri.

Il 23 settembre, per via di quella voglia di migliorarsi continuamente che lo pervadeva, riprova il Record dell’Ora. Nonostante una foratura, si supera nuovamente e scrive 47,396. A dicembre, inoltre, partecipa anche alla Sei Giorni di Parigi. Tuttavia, durante la prima giornata, si aggancia con Anquetil e cade malamente. Il responso parla di fratture multiple ed è costretto rimanere fermo per quaranta giorni.

Nel 1959, a ventitré anni, Rivière decide che è giunto il momento di dedicarsi seriamente alle corse su strada. Dimostra di cavarsela anche in salita quando, sul finire di marzo, conquista una cronoscalata del Mont Faron rifilando circa un minuto a Federico Bahamontes e quasi tre a Charly Gaul. In programma, per il prosièguo di stagione, c’è il suo primo Tour de France. Prima della Grande Boucle, tuttavia, Roger va a fare esperienza alla Vuelta. Al tempo, infatti, la corsa spagnola si correva a cavallo tra aprile e maggio.

Pronti-via, e con la sua Saint-Raphaël vince la cronosquadre inaugurale. Nel corso dell’ottava tappa, la Castellón-Tortosa, il suo compagno Pierre Everaert conquista la maglia di leader. Rimanere imbrigliato negli ordini di scuderia, però, a Rivière non piace. Dopo aver aiutato il connazionale per due giorni, nel corso dell’undicesima frazione, la Lérida-Pamplona, va in fuga con un gruppo comprendente il futuro vincitore Antonio Suárez e Rik Van Looy. Tuttavia, quel giorno, fora due volte. La prima volta riesce a riparare la ruota da solo, ma la seconda deve fermarsi ad aspettare il suo direttore sportivo che è rimasto con Everaert. Perderanno ambedue tredici minuti dai primi e con essi le loro chance di vincere la Vuelta.

La stampa lo attacca ferocemente, ma lui riesce a non farsi deconcentrare. Nell’ultima settimana, inoltre, zittisce ampiamente le malelingue. Prima porta la Saint-Raphaël a vincere la cronosquadre di San Sebastián. Dopodiché, si mette in proprio e conquista due successi parziali. Il primo nella cronometro di sessantadue chilometri che da Eibar porta a Vitoria. Qua umilia la concorrenza rifilando un minuto e cinquantaquattro secondi ad Antonio Suárez, secondo, due minuti e ventisei a Luis Otano, terzo, e cinque minuti e quarantasei secondi a Rik Van Looy, quarto.

Il secondo, invece, arriva in una frazione in linea. Si tratta della Santander-Bilbao, ove il giovane fuoriclasse transalpino si mette dietro proprio il compagno Everaert. In classifica generale chiude al sesto posto, a diciassette minuti e trenta da Antonio Suárez. Un risultato che non può che infondergli fiducia in ottica Tour de France, dato che senza i tredici minuti persi a Pamplona sarebbe ampiamente arrivato sul podio nonostante fosse alla sua prima esperienza in un grande giro.

Alla Grande Boucle di quella stessa stagione, la nazionale francese si presenta con una selezione stellare. Roger Rivière, Jacques Anquetil, Louison Bobet e Raphaël Géminiani si dividono i gradi di capitano. Il pollaio è decisamente troppo piccolo per questi quattro galli. La situazione, con quattro personalità del genere, è pronta a esplodere da un momento all’altro.

Ci pensa, ad ogni modo, la cronometro del sesto giorno, quarantacinque chilometri da Blain a Nantes, a stabilire delle gerarchie. In quella che è una sfida tra tre dei più grandi interpreti di tutti i tempi di questa specialità, Rivière vince precedendo di ventuno secondi Ercole Baldini e di cinquantotto secondi Jacques Anquetil. Bobet arriva a tre minuti e cinquantasei secondi, mentre Géminiani ne perde oltre quattro. I leader della selezione transalpina, dunque, restano Roger e il Sultano normanno.

Nella prima frazione pirenaica, la Bayonne-Bagnères-de-Bigorre di duecentotrentacinque chilometri, Rivière e Anquetil vengono ambedue staccati sul Tourmalet da Bahamontes e Gaul. I due francesi giungono insieme al traguardo a un minuto e ventiquattro secondi dalla coppia di leggendari grimpeur. Tre giorni più tardi, nella Albi-Aurillac, Anquetil, insieme a Baldini e Bahamontes, tende un’imboscata a Gaul. Si fa sorprendere anche Rivière, che è così costretto a rimanere a lungo sulle ruote del lussemburghese. L’Angelo della Montagna crollerà totalmente e perderà più di venti minuti. Rivière, invece, riesce a contenere il distacco in tre minuti e cinquantadue secondi.

Bahamontes domina la quindicesima tappa, una cronoscalata del Puy de Dome, e si candida a grande favorito per il successo finale. L’Aquila di Toledo rifila un minuto e ventisei secondi a Charly Gaul, tre minuti a Henri Anglade, tre minuti e trentasette secondi a Rivière e tre minuti e quarantuno secondi ad Anquetil. Nella Saint-Étienne-Grenoble di centonovantasette chilometri, lo spagnolo va all’attacco con Gaul e guadagna altri tre minuti e quarantadue secondi su tutti i rivali più pericolosi. A cinque tappe dalla fine del Tour, Anquetil è settimo a nove minuti e sedici secondi da Bahamontes e Rivière nono a undici minuti e trentasei. L’unico transalpino che ha ancora qualche chance di vincere la Grande Boucle, ironia della sorte, è Anglade, il quale gareggia con la selezione del Centre-Midi e non con quella nazionale.

All’indomani della frazione in cui Bahamontes agguanta la maglia gialla, si svolge la Col du Lautaret- Saint-Vincent-d’Aoste. L’Aquila di Toledo cade in discesa e i rivali lo attaccano; tuttavia, sia Rivière che Anquetil decidono di non muoversi poiché non volevano favorire Anglade, ambedue gelosi del fatto che il connazionale avesse rubato loro le luci della ribalta. Alla fine lo spagnolo riprende Jacques e Roger e perde solo quarantasette secondi da Anglade. Il comportamento dei due fuoriclasse manderà su tutte le furie il selezionatore Marcel Bidot.

Nell’ultima frazione di montagna in programma, duecentocinquanta chilometri da Saint-Vincent-d’Aoste ad Annecy, Bahamontes, ancora in coppia con Gaul, guadagna un altro minutino sui tre francesi e mette in cassaforte il successo finale. Rivière e Anquetil tornano rivali, per il gradino più basso del podio, nell’ultima cronometro in programma, la Chalon-sur-Saône-Dijon di sessantanove chilometri. È ancora Roger a trionfare, il quale rifila un minuto e trentotto secondi al normanno. Tuttavia, per dodici miseri secondi, il nativo del Rodano-Alpi non riesce ad agguantare il terzo posto. Quella sarà la sua prima e ultima occasione per salire sul podio dei Campi Elisi. Non ne avrà altre.

Ma Rivière, nell’estate del 1959, ignora totalmente il destino tragico che lo aspetta. Dopo la Grande Boucle, la sua mente è proiettata verso il Mondiale dell’inseguimento. Vuole cogliere il terzo successo consecutivo ed eguagliare Messina. Nel velodromo di Amsterdam sfida in semifinale Leandro Faggin. Faggin, che condividerà con Roger un destino oltremodo crudele (morirà di cancro a trentasette anni), è da sempre un predestinato della pista. Ha vinto due ori olimpici e un titolo iridato da dilettante. Dopo l’onta subita a Parigi vuole rifarsi. Il duello tra lui e Rivière sarà a dir poco entusiasmante e solo nel finale, sfruttando la sua incredibile classe, il transalpino riuscirà a prevalere. Faggin dovrà aspettare altri quattro anni per vincere il suo primo Mondiale tra i professionisti.

In finale, invece, Rivière batte il solito Bouvet, un rivale che conosceva come le sue tasche. Dopo quel terzo trionfo iridato consecutivo, Roger tenta l’assalto al Gran Premio delle Nazioni. Il poeta del Rodano-Alpi, però, nella più prestigiosa di tutte le gare a cronometro, non vuole solo vincere. Vuole battere il record del percorso di Jacques Anquetil. Per novanta chilometri Rivière viaggia a un ritmo da primato, ma nel finale emergono i suoi limiti su distanze così lunghe e crolla. Il Sultano è assente, ma a Roger la vittoria sfugge comunque. Lo precede, infatti, Aldo Moser. Sono appena quattro i secondi che dividono Rivière dal successo in quella sua prima e ultima apparizione al Gran Premio delle Nazioni.

Il 1960 di Roger Rivière è tutto incentrato sulla Grande Boucle. L’obiettivo per eccellenza per qualsiasi corridore. Se, poi, questi è un ambizioso esteta francese, allora è lecito pensare che nella sua mente non vi fosse altro sin dall’inverno. Stavolta, oltretutto, non deve nemmeno dividere i gradi di capitano con Jacques Anquetil. Il normanno, infatti, si è sfinito nell’inseguire quel Giro d’Italia che amava forse più del Tour e dopo averlo finalmente conquistato decide di prendersi una pausa.

Alla Grand Départ di Lille, ad ogni modo, Henry Anglade parte con il ruolo di leader della selezione francese al pari di Rivière. Agli occhi del poeta del Rodano-Alpi, tuttavia, Anglade non gode certamente della stessa considerazione di Anquetil. Roger e Jacques si sono sempre temuti rispettivamente, consci che la sfida tra loro andasse oltre la singola gara. I due pensavano di essere destinati a fare la storia insieme, come Coppi e Bartali. Ed entrambi volevano evitare di recitare il ruolo di grande sconfitto della rivalità. L’assenza del Sultano mette letteralmente le ali ai piedi del tre volte iridato nell’inseguimento.

La Grande Boucle inizia in chiaroscuro per Rivière. Nella prima semitappa subisce un’imboscata e perde circa due minuti da un plotone composto, tra gli altri, da Anglade e dal toscano Gastone Nencini. Al pomeriggio, tuttavia, si rifà vincendo la seconda semitappa. Si tratta di una cronometro di quasi ventotto chilometri tra le strade di Bruxelles. Roger rifila trentadue secondi a Nencini e quarantotto secondi ad Anglade. A fine giornata occupa la terza posizione in classifica generale a un minuto e trentadue secondi dalla maglia gialla Nencini.

Anglade azzecca la fuga nella quarta tappa, la Dieppe-Caen di duecentoundici chilometri, e guadagna sei minuti e diciannove secondi sui principali rivali. Nella sesta frazione, però, centonovantuno chilometri da Saint-Malo a Lorient, Rivière e Nencini gli restituiscono il favore con gli interessi. I due vanno all’attacco con il belga Jan Adriaensens e il tedesco Hans Junkermann. Bidot ordina a Roger di non tirare, ma il nativo del Rodano-Alpi non gli dà retta e contribuisce alla riuscita del tentativo. Il quartetto guadagna oltre quattordici minuti sul gruppo e Rivière regola gli altri battistrada in volata. A fine tappa, ovviamente, Anglade è furibondo. Rivière gli è costato la Grande Boucle.

Roger, ad ogni modo, dà ben poca importanza alle polemiche. Ora pensa solo ai suoi due rivali per il successo finale. Jan Adriaensens, momentaneamente maglia gialla, un corridore solido capace di agguantare il podio al Tour nel 1956 e di sfiorarlo nel 1958. E, soprattutto, Gastone Nencini. Il toscano non possiede il talento abbagliante del transalpino, ma dalla sua ha una tenacia di ferro. Nel 1957 ha conquistato il Giro d’Italia e un paio di mesi prima di quella Grande Boucle aveva sfiorato il secondo successo sulle strade italiane. Perse la corsa rosa per mano di Jacques Anquetil, infatti, per appena ventotto secondi.

I tre arrivano alla prima frazione di montagna, la Mont de Marsan-Pau di duecentoventotto chilometri, raccolti in due minuti e quattordici secondi. Adriaensens perde le ruote dei migliori sull’Aubisque, mentre Rivière vince la tappa regolando in volata un gruppetto di cinque atleti comprendente anche Nencini, Graziano Battistini, Fernando Manzaneque e Louis Rostollon. Roger sale così al secondo posto in classifica generale ad appena trentadue secondi da Nencini. Il giorno seguente, tuttavia, nella Pau-Bagnères-de-Luchon di centosessantuno chilometri, nella quale si affrontano Tourmalet, Aspin, Peyresourde, l’italiano stacca il francese. Roger è afflitto da problemi di stomaco e lascia sul piatto poco più di un minuto. Il vantaggio di Gastone sale a un minuto e trentotto secondi.

Poco male: in programma, alla diciannovesima tappa, c’è una cronometro di ottantré chilometri da Pontarlier a Besançon. Il fuoriclasse del Rodano-Alpi sa che se ci arriva con quello svantaggio vincerà il Tour. Ma questo lo sa anche Nencini. Il toscano, inoltre, non vuole rischiare di giocarsi il tutto per tutto sulle Alpi. D’altronde i due in salita si equivalgono, non è detto che riesca a staccare nuovamente il rivale. Deve sfruttare qualsiasi occasione possibile. Soprattutto, però, deve approfittare del suo punto di forza: le sue doti in discesa.

Domenica 15 luglio 1960, nel corso della Millau-Avignon di duecentodiciassette chilometri, Nencini si lancia in picchiata tra i tornanti della discesa del Perjuret. Rivière lo segue, ma, a un certo punto, sbanda. Il transalpino perde il controllo del mezzo e si schianta contro un muretto. L’impatto lo sbalza via dalla bici, facendolo precipitare in un burrone. Dopo un volo di venticinque metri, Roger atterra su un letto di rami, in prossimità di un ruscello. Là, di fianco a quel piccolo corso d’acqua, finisce la carriera di Roger Rivière. In un certo senso, finisce anche la sua esistenza.

Il responso dice frattura di una vertebra lombare e di una dorsale. Rimarrà invalido per il resto dei suoi giorni. Giorni che saranno sempre più tormentati. Un uomo così ambizioso e pieno di vita si trova ora menomato per sempre. Si getterà nel tunnel delle sostanze stupefacenti per trovare un po’ di pace. Ma ciò lo porterà ad avere diversi problemi con la legge. Nel mentre, una dopo l’altra, falliscono tutte le attività di Roger. Il fuoriclasse del Rodano-Alpi, infatti, ha posseduto un cafè-restaurant di nome “Vigorelli” a Saint-Étienne, un garage a Veauche, un campo vacanze a Loriol, nella Valle del Rodano, una discoteca di nome “Le Liberty” e un bar a Ginevra. Non gli sopravviverà nulla di tutto questo.

La vita di Roger Rivière, splendido poeta del pedale, dopo quell’incidente al Tour de France del 1960 ha assunto i toni di una poesia di Paul Verlaine. Il rimpianto di ciò che poteva essere ed è stato solo in parte si unisce con la continua ricerca di una pace che non ritroverà più, tratteggiando l’immagine di un fuoriclasse maledetto. Finirà anche in carcere, proprio come Verlaine, accusato dal capo di una banda di aver commesso una rapina alla stazione di Alès.

Verrà scagionato, ma il vortice che lo sta risucchiando non gli dà tregua. Nel 1976 quei sedici anni di dolore e sofferenza finiscono. In un modo tragico, ma forse solo così Roger Rivière ha potuto trovare un po’ di serenità. Un tumore alla laringe, nonostante un’operazione riuscita, se lo porta via. Muore ad appena quarant’anni, il primo di aprile. Una data che sembra essere quasi stata scelta appositamente da quel destino beffardo che ha dato tutto a Roger per poi levarglielo nel modo più crudele possibile.

Rivière, virtuoso fuoriclasse di un ciclismo che ha avuto per protagonisti alcuni dei più brillanti interpreti della sua storia, è da considerarsi, probabilmente, il più forte inseguitore di tutti i tempi. Si è confrontato con alcuni dei migliori specialisti mai apparsi, come Messina, Faggin, Anquetil e Baldini, e non ha mai perso. Nella rassegna iridata dell’inseguimento individuale è rimasto imbattuto per tutta la sua breve carriera. Su strada ha dato solo un assaggio di ciò che poteva essere. E il rimpianto, per non aver potuto assistere al proseguo della sua parabola sportiva, rimarrà in eterno.

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