FOOTBALL PORTRAITS - E Dio creò Kaká (2008)
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di CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 28, 8-14 luglio 2008
Un predestinato, l’uomo-simbolo di Milan e Brasile. L’infanzia nella buona borghesia, i primi calci nel São Paulo, il rischio-paralisi per un tuffo in piscina, i successi individuali e di squadra. Il primogenito, la fede che gli permea la vita. Il Real Madrid dovrà arrendersi: il divino non è in vendita. O sì?
Il prescelto è come quel famoso amaro: lo riconosci subito. Mixed zone del Sankt Jakob-Park, post-amichevole di lusso Svizzera-Brasile del 15 novembre 2006: in processione davanti a povericristi che, come i capponi manzoniani, si azzuffano schiacciati da telecamere in spalla e gomiti ad alzo zigomo, i componenti della Seleção sfilano verso l’agognato pullman. Tutti “fenomeni”, persino Dudu Cearense, i-podati e in tuta di rappresentanza. Tranne uno, il Bambino d’oro. Lui no, è fasciato di nero Armani e sorride a tutti. Alto (1,86 x 73 kg) e regale, qualche autografo, tanta fretta e zero dichiarazioni. Ma con classe, non da snob. E dietro, media adoranti come re magi dinanzi la capanna. Dell’Eletto, che ha segnato e vinto (2-1) quasi non volendo. Il gol come atto divino.
Che sia un predestinato, Ricardo, si capisce dal censo prima che che dal ceto. Niente favelas, ma buona borghesia di Brasilia, dove il 22 aprile 1982 nasce il primogenito di papà Bosco Izecson Pereira Leite è ingegnere civile, mamma Simone Cristina Do Santos Leite, lontane origini italiane, insegnante di matematica. Il 14 ottobre 1985, il gradito bis: Rodrigo. Sarà proprio lui che, incapace di pronunciare bene il nome del fratello maggiore, gli consegnerà l’imperituro apelido: Kaká. Al più piccolo, ma solo all’anagrafe, la sorte e gli amichetti incapaci di scandire la “r” riserveranno invece l’accrescitivo Digão.
Per via del lavoro paterno, la famiglia gira: prima nel Mato Grosso, poi a San Paolo, quartiere residenziale di Morumbi, soprannome dello stadio Cícero Pompeu de Toledo: l’impianto casalingo del São Paulo.
Quasi ovvio che i pargoli (Kaká a 8 anni) entrino nel vivaio Tricolor. Non per fame, ma per passione. Più forte di quella per i videogame, che a differenza di tanti coetanei possono permettersi, e commensurabile solo al senso del dovere, dell’educazione (anche e soprattutto religiosa) e dell’istruzione: precetti sui quali in casa non si transige.
È lì che, dopo l’allenamento, l’allegra garotada si riunisce a far merenda: e i 1400 metri a piedi valgono bene le ciambelle della signora Simone Cristina. Ricardo sogna di emulare le gesta di Raí, fratello minore di Sócrates e uomo-simbolo del club fino al 1993, quando passò il testimone a Cafu, prossimo idolo e futuro compagno in rossonero del nostro. A 15 anni Kaká firma il primo contratto, a 18 è già in prima squadra. La sua carriera sembra sul trampolino di lancio, invece rischia di spezzarsi, nell’ottobre 2000, insieme con la sesta vertebra: fratturata in un tuffo sbagliato da un toboga. Battendo la testa sul fondo della piscina Kaká rischia la paralisi. Alcuni smettono di credere alle stimmate del fenomeno, lui si sente miracolato e da allora, a ogni gol, ringrazia l’Altissimo puntando al cielo indici e sguardo.
O Anjinho, l’angioletto, come lo chiamano in patria per la faccina pulita, è guarito ma nel gennaio 2001, con gli juniores protagonisti della Copa São Paulo (sorta di Torneo di Viareggio locale) è sempre in panca, gioca quasi mai. Gli dei del calcio però inviano chiari messaggi già il 7 marzo, quando la prima squadra affronta il Botafogo nella finale della Copa Río-São Paulo. Al 14’ st Oswaldo Alvarez toglie Fabiano e lo getta nella mischia. Non l’avesse mai fatto. «Incredibile. Alvarez è ammattito. Ha buttato in campo una riserva delle giovanili», la più pubblicabile reazione dei commentatori tv. In poco più di 2’, il neoentrato fa doppietta e mette in bacheca il trofeo, sin lì mai vinto dal club paulista. «Veniva da una lunga convalescenza, ma sapevo che era fortissimo», la rivincita del tecnico bistrattato.
È la svolta? Macché. Nei quarti di finale del Brasileirão, contro l’Atlético Paranaense, inseguito e randellato da Cocito per tutto il campo, viene sostituito al 39’. In lacrime. Riapriti cielo. «Bello da vedere, ma non può giocare le partite importanti», la critica più benevola.
Le kakazettes, l’esercito di groupies 11-19enni, se ne infischiano. Anzi, a vederlo piangere a dirotto s’infatuano ancora di più, con conseguente proliferazione di siti monografici: Completamente Kaká, Fanatikakas e via kakantando. Fra i pochi fuori del coro, fra gli addetti ai lavori, l’ex e poi di nuovo Ct verdeoro Carlos Alberto Parreira, che se lo trova di fronte due volte: alla prima gli fa i complimenti, alla seconda si sbilancia: «Diventerà un fenomeno». Con la minuscola.
Quello con la maiuscola lo adotta a mo’ di mascotte al Mondiale 2002. Kakazinho, così se lo coccola Ronaldo, quasi a evidenziarne i contorni di mascotte della spedizione nippocoreana, arpionata da 23esimo andando in gol al secondo gettone. Il Ct Felipe Scolari lo fa esordire dopo il Mondiale juniores del 2001 e la prima memorabile stagione nel São Paulo: 6-0 alla Bolivia a Goiâna il 31 gennaio 2002. Metabolizzati i 24’ dell’esordio (come sostituto di Juninho Pernambucano), alla seconda uscita firma il terzo gol nel 6-1 sull’Islanda in amichevole a Cuiaba.
Una presenza (25’ nel 5-2 al Costarica) alla prima Coppa del Mondo, festeggiata scoprendo in mondovisione la T-shirt «I belong to Jesus» (appartengo a Gesù). Il morbido atterraggio da semisconosciuto al Milan campione d’Europa (nell’estate 2003 per 8,5 milioni di euro, altro che i 22 e le fanfare per Pato). Lo scudetto al primo tentativo, la Champions League 2007, il Pallone d’oro 2007.
Per cederlo il povero Tricolor chiese 30 milioni di dollari: il Milan se lo portò via per meno di un terzo. Rivenderlo a peso d’euro? Il Real Madrid ne ha offerti 55, poi, dopo i 70 del Chelsea, è salito a 90. In via Turati non ci sentono: rinnovo quinquennale, dagli attuali 8 ai 13 del 2013. Di solo ingaggio.
A partenza certa, al Morumbi gli gridavano «pipoqueiro!» (alla lettera “venditore di pop corn”, in gergo il calciatore che tira indietro la gamba) e un sito della torcida titolò la home page con «Addio Kaká. Grazie di niente».
Un contrappasso, per uno che adesso ha tutto. Anche fuori del calcio. Il matrimonio (celebrato in forma privata e con rito evangelico a San Paolo il 23 dicembre 2005) con Caroline Celico, figlia della rappresentante brasiliana della Christian Dior e conosciuta quando lei, 15-enne, debuttò in società. E il primogenito. All’,05 dello scorso 10 giugno, presso l’ospedale Albert Einstein di San Paolo, la coppia ha infatti avuto Luca Celico Leite: 3,6 kg per 51 cm di tenerezza. La tanto pubblicizzata castità prematrimoniale era finalmente archiviata.
Atleta di Cristo, per il dopo carriera “Ricky” (nomignolo preso a Milanello) sogna di fare il pastore evangelico. Intanto acquista indulgenze plenarie versando il 10% delle entrate alla chiesa Renascer em Cristo di San Paolo. Sul legame indaga la magistratura brasiliana. Alla confessione evangelica, guidata da Estevam Hernandes Filho e consorte (Sonia Haddad Moraes), arrestati nell’estate 2007 e condannati negli Stati Uniti per contrabbando di valuta, Kaká ha donato pure il FIFA World Player. Forse è anche per questo che papà Bosco e l’agente Wagner Ribeiro hanno fondato la Traffic. Va bene la storia del Prescelto, ma non di solo pane vive l’uomo. Neanche il Prescelto.
CHRISTIAN GIORDANO
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