FINALI MONDIALI - Berna 1954: La caduta degli dèi
la nostra Nazionale, sì, la nostra Nazionale,
è appena diventata Campione del mondo!
– Heribert Zimmermann
di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©
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Come accadrà all’Italia per Baggio quarant’anni dopo, un altro Paese intero è in trepidante attesa di sapere se il proprio numero 10 giocherà o no la finale mondiale regalatagli dal suo stesso eroe eponimo, il “Divin Codino” a Pasadena, il “Colonnello” a Berna.
Nel 1954 il Paese in questione si chiama Ungheria e il suo giocatore più rappresentativo è Ferenc Puskás. L’avversario è la Germania ovest che i magiari hanno già ridicolizzato (8-3) negli ottavi. i favori del pronostico sono quindi tutti per la Aranycsapat, la Squadra d’oro del portierissimo Grosics e del mediano Bozsik, di “Testina d’oro” Kocsis, della funambolica ala destra Czibor e del centravanti tattico Hidegkuti. e naturalmente del magico Puskás, fuoriclasse fra i fuoriclasse, che proprio in quel terzo incontro del Gruppo 2 era stato scientemente mazzolato al punto da fargli saltare il Brasile nei quarti, la semifinale contro l’Uruguay e, si teme, la finale. In pratica mezzo mondiale, la metà decisiva.
Con una caviglia ancora delle dimensioni di un cocomero, “Ocsi”, il ragazzino, come lo chiamavano in patria agli inizi della carriera, si presentò al cospetto del Ct Gusztáv Sebes per chiedergli di non togliergli il sogno di una vita, giocare (e vincere) la finale dei Campionati del mondo di calcio. Un sogno che lui più di ogni altro aveva contribuito a raggiungere. il tecnico, colto dall’amletico dubbio che attanaglia un mister in quelle situazioni, preferisce un dottore semimorto a un asino vivo e in fin dei conti non ha molta scelta perché, diciamocela tutta, cosa sarebbe successo se i favoritissimi ungheresi avessero perso e per di più auto-privandosi della loro stella più fulgida?
Al Wankdorf di Berna, il 4 luglio 1954, scendono in campo i due undici titolari e almeno sulla carta non dovrebbe esserci partita. da una parte una delle formazioni più forti di tutti i tempi, la Grande Ungheria che aveva elevato a forma d’arte il non più originale ma ancora validissimo Sistema (o «WM»). dall’altra una formazione solida e quadrata – come si dice quando sulla cifra tecnica è cosa buona e giusta soprassedere –, che aveva in Fritz Walter e Uwe Rahn i soli elementi davvero di classe internazionale. Per il resto ferrea determinazione, grinta e corsa a volontà. e secondo i maligni tanta «benzina» in più. Ma di questo ancora nessuno sospetta.
LA PARTITA
In campo si vede una sola squadra, la Grande Ungheria. Passano appena sei minuti ed è già in vantaggio. trequarti sinistra tedesca, Kocsis se ne va in dribbling e tenta una conclusione assai velleitaria, gli si fa incontro Liebrich e ne nasce un rimpallo sul quale si getta come un falco Puskás, che di sinistro batte rasoterra in diagonale: 1-0. Neanche il tempo di esultare e gli ungheresi raddoppiano. 8’, pasticcio difensivo tra Turek e Kohlmeyer: i due non si intendono e sul retropassaggio (ai tempi ancora ammesso) del terzino finiscono per scontrarsi e il portiere si lascia sfuggire il pallone. ne approfitta Czibor per il più comodo dei 2-0. due gol in otto minuti: la partita sembra già chiusa.
Si riapre invece al 10’, grazie a Morlock. Cross da sinistra di Schäfer, a centro area la palla carambola davanti a Grosics, il portiere indugia un attimo di troppo e l’interno del Norimberga lo anticipa in scivolata. 18’, secondo corner dell’incontro. il calcio d’angolo, battuto dalla bandierina alla sinistra di Grosics, viene fatto ripetere dall’arbitro Ling che ravvisa una non meglio precisata irregolarità.
La parabola alta e tesa disegnata da Fritz Walter supera l’affollatissima area piccola di Grosics e va a spegnersi proprio davanti a Rahn che corregge a rete con una volée imprendibile. È pareggio. È una finale incredibile, non solo per lo spettacolo – 4 gol in venti minuti di gioco più emozioni à gogo – ma anche per il risultato: la Grande Ungheria, che doveva fare un sol boccone dei miracolati tedeschi occidentali, era ancora bloccata sul 2-2, e dopo essere stata in vantaggio di due reti.
L’Aranycsapat ha subito l’occasione di riportarsi in vantaggio, con Czibor, ma la spreca. Primo indizio. il secondo lo fornisce la caviglia malconcia di Puskás. evidentemente gli antidolorifici hanno esaurito il loro «magico» effetto, perché il Colonnello ricomincia a zoppicare come nei giorni precedenti la gara. Che il capitano ungherese non stia bene si capisce poco dopo, quando si mangia due gol già fatti che in condizioni normali avrebbe realizzato a occhi chiusi. in entrambe le occasioni Turek, apparentemente spacciato, riesce a parargli il tiro. il che è tutto dire perché chi ha visto calciare Puskás in condizioni normali, conoscendone la potenza sa che un portiere sano di mente preferirebbe di gran lunga subire gol che correre il rischio di ritrovarsi all’ospedale.
Al 26’, affondo di Czibor che crossa, Liebrich respinge di testa. Raccoglie Toth che serve Hidegkuti la cui conclusione si spegne sul palo interno. terzo indizio, e quindi la prova che, come da pronostico, si tratta di una gara segnata: ma a sfavore dell’Ungheria.
Altre occasioni mancate da Kocsis, solitamente lucidissimo negli ultimi sedici metri, e dal mediocre Toth, in giornata particolarmente negativa, fanno balenare più di un sospetto che possa profilarsi la grande sorpresa.
Nel tentativo di confondere le idee agli avversari, il selezionatore magiaro Sebes prova a mescolare le carte. individuato nel settore di sinistra il punto debole della sua formazione, e in particolare nello spento Zakarias, il tecnico vi sposta Czibor, anche se forse si morde le mani per aver rinunciato a Palotas, centravanti dallo stile rivedibile ma capace di dare profondità alla manovra. all’epoca non sono consentite sostituzioni così l’Ungheria deve tenersi sul groppone l’impresentabile Toth I, che sul compagno ha però un vantaggio extra-tecnico: è il cognato del Ct.
Intanto sul Wankdorfstadion la pioggia si fa sempre più insistente e sul fango, è ovvio, la superiorità tecnica degli ungheresi viene ampiamente ridimensionata.
Al 55’ Puskás per Toth, che indirizza a rete. Turek ribatte sui piedi dello stesso Toth che, a porta vuota, va per il tap-in. Ma sulla linea respinge il tiro Kohlmeyer. Incredibile.
Verso la mezz’ora gli ungheresi si ritrovano con il fiato corto e le gambe pesanti. ne approfitta la Germania, al 35’, con una manovra di alleggerimento di Schäfer, che però viene anticipato da Zakarias.
Una legge non scritta ma vecchia quanto il calcio, «gol mancato, gol subito», trova puntuale applicazione a sei minuti dal termine. Marchiano errore di superficialità del mediano Bozsik che perde banalmente palla in un comodo disimpegno su Schäfer, fuga di Fritz Walter e cross. all’altezza della lunetta, la massiccia ala destra tedesca Rahn aggancia il rinvio della difesa avversaria, evita Lantos e lascia partire una gran botta di sinistro che si infila vicino al palo destro della porta difesa da Grosics: 3-2. È proprio vero, i tedeschi (non solo dell'Ovest) non muoiono mai. Qualche anno dopo quel gol farà da colonna sonora in un celebre film di Fassbinder, Il matrimonio di Maria Braun.
Si chiude così, con l’inattesa affermazione di una fra le più scarse delle pretendenti al titolo, una delle edizioni più qualitative, dal punto di vista tecnico, della storia dei Mondiali. Fra le tre litiganti (Ungheria, Brasile e Uruguay: tutte formidabili) è la quarta, sulla carta la meno irresistibile, a godere. La scaltrissima Germania Ovest del vecchio saggio Sepp Herberger.
I sanguinosi “fatti di Budapest” dell’ottobre-novembre di due anni dopo saranno la causa principale dello scioglimento della Honvéd (la squadra dell’esercito), all’epoca in tournée in Sud America e poi in Europa, e di conseguenza della "Grande Ungheria", una nazionale già in odore di leggenda. Smembrandola la distrussero, ma non la uccisero. Perché chi entra dritto nel cuore della gente, non può più uscirne. Neanche con i carrarmati.
LA TATTICA
I magiari, fortissimi dal punto di vista tecnico ma con una retroguardia non impenetrabile (eufemismo), segnano tanto ma subiscono troppo: le già ricordate tre «pere» negli ottavi dalla Germania Ovest, 2 dal Brasile nei quarti e altrettante dall’Uruguay in semifinale.
Aggrappata al talento di Gyula Grosics, l’unico campione vero in una terza linea di onesti mestieranti, in difesa l’Ungheria schiera, da destra a sinistra, Buzanszky-Lorant-Zakarias-Lantos. a centrocampo, davanti alla linea dei difensori un fenomenale mediano dalla financo eccessiva vocazione offensiva come Bozsik, il vertice basso del rombo; due mezzali tali solo sulla carta quali Sandor Kocsis, fortissimo in elevazione e con un innato senso del gol, e il genio calcistico Puskás, di fatto gli «attaccanti» più pericolosi; in avanti, il finto tridente composto dal maestro nell’ultimo passaggio Zoltan Czibor, dal centravanti tattico Nandor Hidegkuti – «inventore», per l’era moderna, di un modo di intendere il ruolo che avrebbe preso il suo nome – e il meno tecnico Toth I.
Sulla lavagna il Sistema, o meglio l’interpretazione che ne davano i magiari, altro non era che un’inversione della «W» del vecchio Metodo, anche se i terzini di fascia agivano come nel «WM», in una «M» a due punte e si inneggiò al nuovo verbo calcistico.
La verità, molto più semplice, era duplice. Di davvero nuovo in realtà c’è poco, perché ad inizio secolo giocavano già così gli uruguaiani del Peñarol, con José Piendibene centravanti arretrato del famoso attacco «ad abanico», una sorta di cuneo rovesciato.
Hidegkuti, che a quel ruolo ci era arrivato quasi per caso in seguito alla indisponibilità del titolare Palotai, seppe appropriarsi della maglia numero nove in virtù della sua innata capacità di arretrare centralmente fino alla posizione di interno per smistare da lì invitanti suggerimenti per i satanassi del gol Kocsis e Puskás, che in quegli spazi aperti andavano a nozze.
A centrocampo Sebes può contare sull’oscuro lavoro degli esterni Czibor, eccezionale dribblatore e inesauribile «stantuffo» valido anche sui calci piazzati e, soprattutto, Toth I (spesso rilevato dal veterano Budai), più portato al lavoro di raccordo. Ma se la straordinaria forza dello squadrone magiaro viene dall’enorme tasso tecnico degli uomini d’attacco, al di là dell’efficacia del modulo, il suo vero tallone d’Achille è la difesa, che costa agli ungheresi il titolo apparentemente più scontato della storia del Mondiale.
Di quel punto debole la Germania [Ovest], raramente così povera di campioni, ha il merito di approfittarne, complici la pioggia, la caviglia di Puskás e un allineamento interplanetario difficilmente ripetibile. E, secondo alcuni, anche l’uso di «strane» sostanze chimiche che avrebbero portato, di lì a qualche settimana, al ricovero di una buona parte della comitiva teutonica, alle prese con casi di itterizia.
Il legittimo sospetto ci sta tutto. ad avallarlo, il ritmo «impossibile» sostenuto dai tedeschi, il fatto che, dopo quell’acuto, non abbiano combinato più nulla ai massimi livelli (li batté perfino l’Italietta dell’epoca, subito dopo il Mondiale). e, testimonianza di Puskás, lo spogliatoio tedesco che odorava come un giardino di papaveri.
Che ci sia «odore» di marcio non è impossibile da credere, ma bisogna dimostrarlo e finora nessuno ci è riuscito. Nell’eventualità di un’inchiesta, anche tre quarti di secolo dopo, per non saper né leggere né scrivere, chiederemmo d’ufficio il trasferimento presso un’altra procura. Sapete com’è, i giudici di Berna potrebbero non essere «sereni».
CHRISTIAN GIORDANO ©
IL TABELLINO
Berna (Wankdorf-Stadion), 4 luglio 1954, ore 17
Germania Ovest-Ungheria 3-2 (2-2)
Germania Ovest: Turek; Posipal, Kohlmeyer; Eckel, Liebrich, Mai; Rahn, Morlock, O. Walter, F. Walter, Schäfer. Ct: Josef “Sepp” Herberger.
Ungheria: Grosics; Buzansky, Lantos; Bozsik, Lorant, Zakarias; Czibor, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Toth I. Ct: Gusztav Sebes.
Arbitro: William H. E. Ling (inghilterra).
Marcatori: 3’ Puskás (U), 9’ Czibor (U), 10’ Morlock (Go), 18’ e 84’ Rahn (Go).
Spettatori: 65 mila circa.
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