FINALI MONDIALI - Monaco 1974: la cicala e la formica


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«Il 7 luglio 1974 è nella psiche olandese
come il 22 novembre 1963 di Dallas ossessiona l’America» 
– David Winner, Brilliant Orange

«Il più grosso trauma d’Olanda nel XX secolo
a parte le inondazioni del 1953 e la Seconda guerra mondiale»
– Johan Timmers, drammaturgo

di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©

Come accaduto al Messico nel 1968-70, nel 1974 tocca alla Germania Ovest organizzare, due anni dopo l'olimpiade, il mondiale di calcio. Il torneo si svolge in un’atmosfera tesa e cupa, gravata com’è da nuvoloni neri stracarichi di pioggia, nonché dai rigidi controlli effettuati dalla polizia. Inevitabile retaggio dei tragici fatti ai Giochi di Monaco ’72. Il 5 settembre di quell’anno, infatti, un commando terroristico palestinese sequestrò e giustiziò undici atleti israeliani, prima di morire insieme a due agenti nel blitz delle Teste di cuoio tedesche al villaggio olimpico.

LA PARTITA

La più grande finale mondiale di tutti i tempi. Forse. Una partita incredibile per andamento, esito, protagonisti, tattiche e chi più ne ha più ne metta. Davvero un altro calcio, però. L’avvio è memorabile: 15-passaggi-15 di marca olandese. I tedeschi, portiere Maier escluso, toccano il primo pallone al 2’, per battere la palla al centro. La loro partita «comincia» sotto di un gol. 

La cornice è quella delle grandi occasioni. Quelle in cui conta esserci, un momento da raccontare ai nipotini. La tribuna d’onore è, in senso letterale, un parterre de roi. Vi siedono il principe Ranieri di Monaco (inteso come Principato) e la moglie Grace Kelly, il Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger (che deve alle proprie origini mitteleuropee la sua grande passione per il calcio: 50 i biglietti prenotati per sé e il suo seguito), l’ex Cancelliere tedesco Willy Brandt che fa gli onori di casa, il presidente della Repubblica Federale Walter Scheel, il capo del governo tedesco Helmut Schmidt e il principe Bernardo d’Olanda, accolto dal presidente della FIFA Stanley Rous, ormai alla fine dei suoi tredici anni di mandato. Quello di Monaco (di Baviera) è il suo ultimo atto, dopo di lui il diluvio: João Havelange.

L’Olympiastadion, nonostante i prezzi, è gremito. I bagarini festeggiano a champagne: da 200 mila a 500 mila lire (del 1974!) il costo di un tagliando. Alla vigilia, capitan Cruijff ha strepitato lamentando i pochi biglietti (solo 4000) destinati ai tifosi olandesi, mentre dall’altra parte il pari grado Franz Beckenbauer per cementare il gruppo aveva accantonato ogni parsimonia, invitando l’intera rosa nella sua faraonica villa presso Monaco (costo: 400 milioni). Questo però è già il passato. Domenica 7 luglio 1974, ore 16, è il presente. 

Dopo tante chiacchiere, finalmente si gioca. Eh no, un momento. C’è un curioso (e comico) siparietto, prima del via. La perfetta macchina organizzativa teutonica, tradizionalmente impeccabile, si inceppa per un granellino sottoforma di bandierina. Proprio così: nel primo mondiale blindato della storia, ipercontrollato, iperpianificato, iper-tecnologico ci si è dimenticati… delle bandierine del corner. Alla bisogna provvedono allora solerti ancorché non giovanissimi inservienti, sotto lo sguardo prima attonito poi divertito degli ottantamila sugli spalti. Perfino i prìncipi Ranieri non riescono a trattenere un bonario sorriso. Adesso sì che si può cominciare.

Jack Taylor, macellaio di Wolverhampton, anch'egli sorridente vicino allo sguardo torvo di Wim van Hanegem, reindossa la maschera da duro e fischia l’inizio. Da questo istante si avrà il più grande avvio mai visto in una gara di simile importanza.

Palla al centro. Cruijff per van Hanegem, indietro per Neeskens, da questi lateralmente a sinistra per Krol; il terzino appoggia su Rijsbergen che tocca corto al compagno di reparto Haan, il quale mette in movimento sulla fascia opposta Suurbier che gli restituisce il pallone; si ricomincia dall’altra parte con Haan che serve di nuovo Rijsbergen, il difensore centrale dal capello albino porta palla per qualche metro poi, non fidandosi dei propri piedi, lascia la sfera ad Haan che intanto è salito in mediana; nel frattempo accorre Cruijff che, impossessatosi del pallone, incomincia come suo costume a sbracciarsi per indicare ai compagni posizioni e movimenti. Haan si propone in avanti ma Johan serve orizzontalmente Rijsbergen. Strano ma vero, nessun tedesco va a pressare sul portatore di palla che così ha metri davanti a sé per pensare a cosa fare del pallone. Rijsbergen avanza ancora poi apre a sinistra per Krol. Da questi, lungolinea per van Hanegem che d’esterno sinistro «cerca» e trova Neeskens, il quale, spalle alla porta, tocca di prima di nuovo a Rijsbergen. L’Olanda mantiene il possesso della palla ma non guadagna metri. Il numero 17 arancione passa indietro a Cruijff all’interno del cerchio di centrocampo. Lì, comincia LA partita.

Dopo i 15-tocchi-15 (Cruijff-van Hanegem-Neeskens-Krol-Rijsbergen-Haan-Suurbier-Haan-Rijsbergen-Haan-Cruijff-Rijsbergen-Krol-van Hanegem-Neeskens-Rijsbergen-Cruijff), Johan avanza palla al piede sul centro-sinistra, innesta il turbo e Vogts, che pure va a contrarlo, già non c'è più niente da fare. il Papero d’oro gli scappa via, velocissimo, e appena dentro l'area, Hoeness, accorso da dietro a raddoppiare in aiuto a Vogts, lo stende. Taylor è tanto vicino quanto coraggioso e dopo 53” di gioco fischia il rigore per gli ospiti. È il primo penalty assegnato in una finale mondiale. E Maier, dopo 1’18”, è il primo tedesco a toccare il pallone: per raccoglierlo in fondo alla rete. Guardare (su youtube) per credere.

Perdonateci una mini divagazione personale. Per la prima pay-tv nostrana abbiamo avuto la fortuna, a 28 anni di distanza, di fare la telecronaca di questa indimenticabile partita. Mai capitato prima di non riuscire a dare subito le formazioni, ma proprio l’incredibile avvio ci costrinse a modificare la regola prima del secondo più bel mestiere del mondo dopo quello dell’atleta. Tecnicamente, un errore da matita blu. In quanto a pathos ed emozioni, arancio vivo.

Torniamo a Monaco. Eravamo a Taylor che fischia l’intervento di Hoeness (attenzione: su mille cronache e resoconti sarà riportato Vogts come autore del fallo, niente di più falso; i filmati parlano chiaro, il numero 2 Vogts rincorre Cruijff ma a metterlo giù è l’altro «14», quello in maglia bianca).

Riflettori sull’arbitro, dunque. Beckenbauer lo manda a quel paese a modo suo: «You are an Englishman!» (“Sei proprio un inglese...”), e detto da un tedesco ad un cittadino della per loro mai così "perfida Albione", suona molto peggio dell’italicissimo «vaffa».

Sulle tribune intanto, mogli, fidanzate e compagne dei giocatori olandesi vivono il momento alla loro maniera. Tra urletti e strepitii si distingue Truus van Hanegem, che si inginocchia a pregare spalle al campo per non guardare il tentativo di trasformazione del rigore. Sul dischetto va Johan II, Neeskens. Segnare, oltre che indirizzare la gara con un così subitaneo vantaggio, significherebbe per lui anche diventare, con 5 reti, il vice-capocannoniere della manifestazione. Non male per uno che, universale finché si vuole, di mestiere fa il centrocampista. La sua battuta è forte e centrale, Maier ne rimane fulminato: 1-0 per l’Olanda dopo 2’. In tribuna autorità (oggi, sic, si direbbe VIP), la signora van Hanegem, vistesi esaudite le proprie preghiere, può dare libero sfogo alla gioia più sfrenata. A questo punto inizia la «terza» partita.

Piani tattici e intenzioni della vigilia sono già carta straccia. Tutti tranne uno, la marcatura di Vogts su Cruijff. Dopo 3’25” il duello ha già prodotto troppe scintille e “Big Jack” dice stop. Il difensore tedesco stende il 14 arancione due volte in centoventi secondi, più che sufficienti anche per un arbitraggio forzatamente «all’inglese» come quello del Pierluigi Collina dell’epoca: semaforo giallo per Vogts. Quando tutto fa pensare di poter assistere ad una gran partita, la gara invece si (e ci) addormenta.

Non succede granché eccetto un paio di conclusioni da fuori area dell’onnipresente Paul Breitner, calcisticamente il più olandese dei tedeschi. La prima, sballatissima, al 3’ finisce in fallo laterale; la seconda, al 9’, è meno velleitaria ma va oltre traversa.

C’è spazio solo per una serie di stucchevoli fraseggi orizzontali e un pizzico di fuorigioco, applicato dalla difesa arancione, sempre molto «alta», per smorzare sul nascere le cattive intenzioni degli avversari. Assorbito il colpo, la Germania Ovest comincia a riorganizzarsi. A differenza dei temperamenti latini, che spesso quando la pressione sale si perdono, ai teutonici monta la rabbia ma non il nervosismo, che invece comincia a pervadere gli olandesi. In particolare van Hanegem e Cruijff che sul tema meritano un discorso a parte.

Al 23’ c’è un contrasto al limite dell’area olandese tra il centravanti tedesco Gerd Müller e il suo marcatore Wim Rijsbergen. Ha la peggio il difensore, che resta a terra dolorante. Müller ha qualcosa da ridire e passando accanto a van Hanegem protesta. Appena il tedesco gli dà le spalle, “der Kromme” – il Gobbo, come lo chiamano i tifosi del Feyenoord per la sua caratteristica andatura ricurva – gli molla una spintarella. Non l’avesse mai fatto. Accentuando clamorosamente l’entità dell’impatto Müller cade come tramortito. Sugli spalti esplode un boato. Il telecronista inglese si scandalizza e ne bolla il comportamento con un inequivocabile «very unprofessional, very ungentlemanly»: per nulla professionale e molto, molto antisportivo. Morale della favola, van Hanegem ammonito e Müller impunito. In campo, il gioco riprende. Fuori, urge spiegazione. Per Wim quella contro i tedeschi non sarà mai una partita come le altre. Durante il Secondo conflitto mondiale, i nazisti sterminarono l'80% della sua famiglia: il padre, la sorella e due fratelli. Tutto più chiaro adesso? Per Cruijff, invece, pazientate sino all’intervallo.

Ritorniamo in cronaca. Holzenbein per la foga di concludere spreca mandando a lato. Al 25’ una delle mille svolte della gara. Neeskens affonda sulla destra dell’attacco olandese e, quasi all’altezza della bandierina, mette in mezzo, i tedeschi intercettano e ripartono. La manovra tedesca si sviluppa secondo il classico asse Beckenbauer-Overath, il quale lancia Hölzenbein sull’out. Breitner sale in sovrapposizione ma l’ala sinistra intravede un varco e vi si infila. Dalla trequarti la sua progressione si fa irresistibile e la difesa olandese non lo chiude per tempo. Al tedesco non pare vero e appena vede l’ingenuo Jansen che tende la gamba per contrarlo, la «cerca» trascinando la sua di gamba fino al contatto, e poi si lascia cadere con arte e destrezza. Rigore-bis, e 1-1 firmato dall’implacabile Breitner. Jongbloed (senza guanti!) nemmeno accenna a distendersi. Si riscatta però nove minuti dopo e su chi non ti aspetti.

Al 34’, Vogts abbandona per un attimo Cruijff e va a cercar gloria in attacco. Dopo uno scambio volante con Müller, si ritrova da solo davanti al portiere olandese e spara una bordata a mezza altezza sulla quale il tabaccaio volante si supera in tuffo sulla destra. Tutto bellissimo: azione-conclusione-respinta.

Altri pericoli per la porta arancione in ordine sparso. Punizione a pallonetto di Beckenbauer dal limite, Jongbloed alza oltre la traversa. Botta di Hoeness che il portiere «matto» neutralizza in collaborazione con Rijsbergen. Adesso è la Germania Ovest a far paura. Attacca con anche sei-sette uomini per volta, e fatalmente in qualche occasione presta il fianco al contropiede olandese che però ha le polveri se non bagnate perlomeno umidicce. Come quando Cruijff si ricorda di essere Cruijff e se ne va, inseguito da Beckenbauer, prima di servire sulla sinistra una succulenta palla-gol a Rep, che però la spreca sparacchiandola su Maier.

La partita ha un momento di stanca e quando tutti pensano già all’intervallo ecco il botto. Minuto 44: Bonhof si invola sulla destra e mette in mezzo un pallone rasoterra, a centro area Müller è il più lesto di tutti. Si avventa sulla palla, sbaglia lo stop ma la palla rimane lì e con quel baricentro bassissimo gli basta un battito di ciglia per avvitarsi su se stesso e battere a rete anticipando l’intervento in disperata di Krol e il recupero dell’accorrente Haan. Jongbloed resta in piedi, si volta e guarda la sfera rotolare lentamente verso l’angolino di destra: 2-1 Germania Ovest.

Il tempo di rimettere la palla al centro ed ecco la pausa. E qui raccontiamo quanto promesso. Al duplice fischio di Taylor, van Hanegem tira stizzito il pallone contro l’arbitro, che non gradisce (eufemismo). il buon Jack però erroneamente attribuisce le responsabilità del gesto di nervosismo all’incolpevole Cruijff che, già adamantino di suo, ne approfitta per togliersi qualche sassolino. Ne viene fuori una lunga pantomima che termina con l’ammonizione per il numero 14 e un travaso di bile per la «giacchetta nera» (ai tempi la categoria non ammetteva variazioni cromatiche) e i suoi collaboratori. A un certo punto Taylor, spazientito, getta a terra il pallone, si porta alla bocca il fischietto ed estrae il cartellino all’indirizzo di Johan che, per tutta risposta, con la mano lo manda a… Tutto questo a gioco fermo, mentre i ventidue e la terna si avviano verso gli spogliatoi.

Durante la pausa Michels tenta il tutto per tutto. Toglie lo spento e acciaccato Rob Rensenbrink, sin lì l'ombra di se stesso, rimpiazzandolo con René van de Kerkhof nella speranza di rivitalizzare un attacco troppo anemico. Dall’altra parte Schön lascia tutto com’è.

Il secondo tempo scorre via con la Germania Ovest padrona del campo. Certo, l’Olanda attacca – non ha scelta – ma dà la sensazione che non riuscirebbe a segnare neanche giocando per una settimana. L’impassibile Ct teutonico, intanto, ha azzeccato la (perlatro ovvia) mossa della vita: Vogts su Cruijff; e la giornata-no del 14 più famoso al mondo lo trasforma in mago.

L’Olanda tiene palla ma non riesce a far male, anzi rischia il terzo gol. Müller in realtà lo segna anche, ma per un inesistente fuorigioco gli viene annullato. Inoltre per i tedeschi ci sarebbe pure un rigore – nettissimo – del solito Jansen sul solito Hölzenbein, tutto come nell’azione dell'1-1, ma a fasce invertite. Stavolta però il macellaio di Woverhampton non se la sente di infierire, e forse la coscienza ancora gli rimorde per il precedente.

Altre pillole di secondo tempo: la sostituzione del difensore centrale Rijsbergen con il mediano de Jong per gli arancioni e, sull’altra sponda, Hoeness che al momento di concludere inciampa davanti a Jongbloed. Siamo ai titoli di coda.

Müller, al triplice fischio di Taylor, si inginocchia e, quasi incredulo, si porta le mani sul volto prima di alzare le braccia. La Germania Ovest è campione del mondo. Sugli abbracci fra capitan Beckenbauer e compagni, sipario. Poi Kaiser Franz sale in tribuna e solleva al cielo la prima Coppa FIFA.

La generazione di fenomeni torna a casa. Sconfitta ma non battuta. Ha deliziato critica e pubblico prima di crollare sul più bello. Nel calcio succede: è nell’ordine naturale delle cose, perché non è scritto, soprattutto in una partita secca, che la squadra più ricca di talento (o più spettacolare) debba per forza vincere. Proprio come era accaduto vent’anni prima alla grandissima «Aranycsapat», la Squadra d'oro ungherese, anche l’Arancia Meccanica del Calcio Totale ha dovuto cedere alla concretezza teutonica. E stavolta senza nemmeno il legittimo sospetto del doping di gruppo.

LA TATTICA

Del e sul Calcio Totale si è scritto a fiumi, tanto parlato e a volte straparlato. Difficile resistere al fascino del nuovo che avanza, specie se lo fa con la forza di campioni che erano anche, e forse prima di tutto, grandi atleti. Quella nidiata di fuoriclasse nati per un capriccio del caso nell'arco di otto anni (dal ’43 di Keizer al ’51 di Rep), ha rivoluzionato il calcio, prima con l’Ajax e poi con la nazionale oranje. Giocatori duttili che sapevano fare bene tutto hanno sancito l’abolizione di ruoli e posizioni fissi: i terzini si trasformano in ali e gli attaccanti, andando a pressare molto «alti», diventano i primi difensori. Così la squadra attacca già dalla propria area e difende sin da quella avversaria. Una rivoluzione, appunto. In campo e fuori. 

Sul terreno di gioco con giocatori intercambiabili e 4-3-3 aggressivo. Due ali pure e un finto «centravanti», Cruijff, che trovavi ovunque, a cominciare la manovra, a rifinirla, a concluderla, sulle fasce come al centro; fuorigioco e pressing, che oggi sono la normalità e allora nemmeno eresia perché nessuno aveva mai visto (o anche solo creduto fosse possibile) giocare così; una preparazione fisico-atletica incredibile, che permetteva alla squadra di restare corta e stretta, di salire per far scattare il fuorigioco, di stringere al centro nella fase difensiva e di allargarsi sulle fasce in quella offensiva.

I BEATLES DEL CALCIO
Fuori del campo i capelloni olandesi, con le loro conferenze stampa multilingue, mogli, fidanzate e compagne ammesse ai ritiri, quelle maglie sgargianti e originalissime ma troppo «anni Settanta» per passare di moda e non accendere la fantasia, sono e per sempre saranno i Beatles del calcio. Il loro football è, in estrema sintesi, l’unico Sessantotto riuscito.

Ma se dopo troppi anni di Catenaccio – bello e funzionale se hai Sandro Mazzola o Jair imbeccati dai lanci di Luisito Suárez, ammazza-calcio se hai dei brocchi –, tutti si innamorano del cosiddetto calcio «all’olandese», è anche vero che il suo successo ha preteso un pedaggio non indifferente. In troppi, infatti, non compresero che la forza dell'OlandAjax (della prima metà) degli anni Settanta, con gli importanti innesti delle colonne del Feyenoord come il faticatore Jansen e il regista van Hanegem, era nei suoi campioni e non nel sistema. O, peggio, nel podismo a tutti i costi.

Quell’Ajax e, successivamente, quell’Olanda che il duro “Generale” Rinus Michels aveva plasmato su misura di quei talenti straordinari, giocavano così perché avevano Wim Suurbier e Ruud Krol sulle corsie esterne, Arje Haan e Johan Neeskens a centrocampo, Johnny Rep e Piet Keizer (riserva in nazionale del più giovane Rob Rensenbrink dell’Anderlecht) alle ali. E naturalmente lui, Johan Cruijff, il più grande di tutti.

Nella finale il Ct Michels mostra però almeno uno dei forse due unici punti deboli che aveva. Amante della più rigida disciplina e bravissimo in sede di preparazione del match, il selezionatore olandese non era un’aquila nelle correzioni in corsa. Contro la scaltra Germania Ovest che, beninteso, era altrettanto farcita di campioni, non azzeccò le contromosse. E così la squadra morì della propria forza, il possesso palla. Dal canto suo Schön, uomo legato al calcio antico, si mostrò più elastico lasciando ampio spazio in campo e in spogliatoio ai senatori (per esempio Beckenbauer & C. che per questioni sia tattiche sia legate ai premi fanno fuori Netzer, la bizzosa star che li aveva guidati al titolo europeo del ’72), ma sapendo intervenire se qualcosa non andava.

Come a inizio torneo, quando all’estro di Cullman preferì la continuità di Bonhof, decisivo per tutto il mondiale, finale compresa. A differenza della presuntuosa Olanda, i tedeschi sapevano mutar pelle per adattarsi all’avversario e/o alla situazione contingente. Bloccato Cruijff, l’ispiratore di ogni manovra olandese, il gioco era quasi fatto. E così il combattente Vogts, che con le buone ma soprattutto con le cattive sepe tenerlo a bada, divenne uno degli "eroi" della partita.

Sulle fasce, dove l’Olanda creava i maggiori pericoli, il Ct aveva schierato l'asse Bonhof-Grabowski a destra e Breitner-Hölzenbein a sinistra, con il più mobile Hoeness da una parte e il cervello Overath dall’altra pronti in aiuto. In attacco, il rapinatore d’area Müller faceva reparto da solo ed era un maestro nel proteggere la palla per far salire i compagni. La linea difensiva, poi, incuteva paura con Schwarzenbeck, un armadio capace anche di insospettabili finezze di tocco, e suscitava ammirazione con sua maestà Beckenbauer, il vero regista arretrato. La manovra tedesca classica era quindi al contempo tanto semplice quanto: nasceva da Kaiser Franz, si sviluppava attraverso Breitner e/o Overath e proseguiva o aprendosi sulle fasce o verticalizzando per l’unico terminale offensivo, che faceva da sponda per riaprire sugli esterni o per favorire l’inserimento dei tanti centrocampisti capaci di «vedere» la porta. 

La sfida di quell’indimenticabile 7 luglio a Monaco, presentata alla vigilia come il nuovo contro la tradizione, altro non fu che una bellissima sfida fra due concezioni del calcio. Entrambe imperfette, seppure di pochissimo. La vinse la Germania (Ovest) perché, come nella favola, la cicala perde sempre. Ma per dirla con Arrigo Sacchi, quell’Olanda, come la Grande Ungheria di vent'anni prima, non ha avuto bisogno di vincere per convincere.
CHRISTIAN GIORDANO ©

IL TABELLINO

Olympiastadion di Monaco (Germania Ovest), 7 luglio 1974, ore 16.00
GERMANIA OVEST-OLANDA 2-1 (pt 2-1)
GERMANIA OVEST: Maier; Vogts, Breitner; Bonhof, Schwarzenbeck, Beckenbauer; Grabowski, Hoeness, Müller, Overath, Hölzenbein. Ct: Helmut Schön.
OLANDA (4-3-3): Jongbloed; Suurbier, Haan, Rijsbergen (de Jong dal 68’), Krol; Jansen, Neeskens, van Hanegem; Rep, Cruijff, Rensenbrink (R. van de Kerkhof dal 46’). Ct: Rinus Michels.
Arbitro: Jack Taylor (Inghilterra); guardalinee: Ramón Ruíz Barreto (Uruguay), Alfonso González Archundia (Messico).
Marcatori: 2’ Neeskens (O) rig., 26’ Breitner (GO) rig., 44’ G. Müller (GO).
Spettatori: 78 mila circa (75.200 paganti).

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