Alberto Volpi: “La storia poi ha dato ragione a Roche”


Storico diesse - fra i tanti big diretti in carriera - di Nibali, Alberto Volpi è stato anche un bel corridore, dotato di una bella testa pensante, per qualcuno magari pure troppo. 
Amico di Beppe Bergomi, Volpi viene a trovarmi in redazione a Sky una domenica sera assieme al suo antico sodale Marco Cattaneo, ennesimo predestinato da dilettante e poi meteora nei pro', tuttora suo compagno di pedalate preprandiali della domenica. 
Volpi il Giro del 1987 lo chiuse 23-esimo, pur correndo al servizio di Moreno Argentin, suo capitano alla Gewiss-Bianchi e, da "nemico" giurato del Visenta sin dai tempi della Sammontana, uno dei principali mandanti se non esecutori materiali del "tradimento di Sappada". 
Questa la sua preziosa testimonianza, filtrata - ma non troppo, com'è nel suo stile, e a saper leggere tra i non detto - da una vita intera trascorsa nell'ambiente.

Redazione Sky Sport, 
Milano, domenica 28 gennaio 2018 

- Alberto Volpi, saliamo sulla macchina del tempo e ti riporto a un ciclismo che ti vedeva protagonista in gruppo: 1987, se ti dico “Sappada”, che cosa ti viene in mente? 

“Be’, l’episodio più importante è stata la litigata, oppure la mancanza di rispetto dei ruoli da parte di due corridori, che uno era Visentini e l’altro era Roche. Chiaramente Roche quell’anno andava fortissimo, probabilmente non ha rispettato i patti della vigilia, però i fatti poi gli han dato ragione perché è andato al Tour e ha vinto, ha vinto il mondiale, per cui chi ha vinto, chi vince ha sempre ragione. E a livello, così, da italiano è chiaro che in quel momento ero dalla parte di Visentini, no, che è stato attaccato in un momento dove probabilmente i patti non erano così. E la squadra poi si è schierata, si è buttata sul carro del vincitore che era Roche. Ripeto: emotivamente parlando e col cuore, sono dalla parte di Visentini, adesso che ragiono, a distanza, da direttore sportivo è chiaro che non è stato un bell’episodio né per l’uno né per l’altro, ma soprattutto per chi li guidava [Boifava, nda]. Doveva esserci più chiarezza, e poi comunque sono sicuro che al di là di quell’episodio avrebbe comunque vinto il Giro d’Italia Roche. E, boh, è stato un episodio strano. Adesso, a distanza di tanti anni credo che Roche abbia avuto ragione perché comunque andava forte, non andava trattenuto, non andava imbrigliato in tattiche strane, però ci doveva essere più chiarezza. Sicuro”. 

- Ecco, tu da uno dei direttori sportivi del Team Bahrain-Merida come ti saresti comportato in una situazione simile, al posto di Davide Boifava l’allora direttore sportivo della Carrera. E soprattutto ti chiedo: tu oggi sei uno dei direttori sportivi del Team Bahrain-Merida, allora ce n’erano uno o due – Boifava e Quintarelli nel caso della Carrera – quindi già questo ti dà un po’ l’idea di come sia cambiato, si sia evoluto, il ciclismo. 

“Be’, la gestione sicuramente prima a livello di contatto diretto con, e di impatto sui ragazzi, era più semplice. Più semplice perché i ragazzi da gestire tutto l’anno eran 15-16 forse la Carrera la più numerosa arrivava a 18 elementi. Però è chiaro che i riferimenti erano Boifava e il suo secondo. Qui abbiamo un’attività complessa che spazia in tutto il mondo per cui le squadre sono strutturate in una maniera diversa: 28 corridori, 5-6 direttori sportivi, poi chiaramente ogni direttore sportivo segue un gruppo di corridori, a livello di gestione extra-corse. E poi chiaramente le formazioni cambiano, ti puoi trovare Nibali o Izaguirre [Gorka, classe 1987, al Team  Bahrain-Merida nel 2018; Ion, classe 1989, nel biennio 2017-2018, nda], [Heinrich] Haussler o [Giovanni] Visconti, per cui cambiano parecchio. Ci son delle situazioni dove in un anno magari un corridore te lo trovi alle corse solo tre volte. Questo per la grandezza della squadra e soprattutto per la grandezza del calendario. Più semplice, secondo me, prima gestire un gruppo, perché aveva meno problematiche, perché la rosa era ridotta e rifacendomi all’episodio dell’87 non era comunque facile gestire due campioni del calibro di Visentini e di Roche. Chiaro che Roche vincendo un Tour, vincendo un mondiale ha preso una dimensione internazionale molto più grande di quella che non aveva e che poi in carriera non ha preso Visentini. La storia poi ha dato ragione a Roche”. 

- Come vengono strutturati i programmi di una squadra, e come si incrociano quelli di uno dei direttori sportivi come può essere nel tuo caso la Bahrain-Merida e quello di un grande campione, penso a Nibali, ma non soltanto a corridori di prima fascia? Cioè: può capitare che i programmi di un direttore sportivo e di un grande corridore coincidano o non coincidano. Come funziona la suddivisione? 

“La prima cosa quella che è la madre di tutte le... il pilastro portante è il programma dei campioni della squadra. Si decide solitamente già nel mese di novembre, in una squadra hai cinque-sei corridori di altissimo livello e allora a loro fai un programma per i primi sei mesi della stagione, o addirittura – nel caso di Nibali – programmando tutto, e si torna dall’olimpiade, si torna al mondiale, si torna indietro si passa per la Vuelta, il Tour “piuttosto che” al Giro, le classiche piuttosto che no per cui un programma definito di Nibali, salvo poi strada facendo a portare delle correzioni per, come è successo ultimamente, per un piccolo inconveniente di salute dovuto alla febbre, Vincenzo doveva fare il Giro dell’Oman e ha dovuto saltare l’Argentina. Per cui obbligo fare il Dubai Tour, poi andare in Oman. Ha cambiato idea, non fa più la Parigi-Nizza ma fa la Tirreno-Adriatico, per cui in corso d’opera, per quello che sono i campioni, si rivede sempre il programma, ma a grandi linee quello che viene stabilito a novembre viene rispettato, salvo inconvenienti, o richieste particolari dello sponsor. Ma queste vengono già decise a novembre. Il fatto che un direttore sportivo segua un gruppo di corridori piuttosto che un altro, sì, si cerca di indirizzare una stagione magari con un gruppo fisso come quello di Nibali, come è stato per me l’anno scorso, il Giro, la Tirreno-Adriatico, la Vuelta di Spagna, il Lombardia, il Giro dell’Emilia, però non sempre questo può collimare. Come adesso io ho scelto, non ho scelto, ho fatto un programma prettamente italiano con le gare della gazzetta dove Nibali non partecipava, mentre adesso con il cambio di strategia di corse per Nibali, me lo ritrovo sia al Dubai Tour, me lo ritrovo alla Tirreno-Adriatico, per cui la mia è una scelta un po’ dovuta ad incarichi diversi che ho preso in squadra di seguire anche una parte organizzativa importante, per cui non c’è nessun problema, siamo tutti colleghi validi, di alto livello, tutti che hanno gestito campioni, per cui…”. 

- Quanta autonomia hai nelle scelte di questo programma, chiamiamolo così, annuale? 

“Viene condiviso soprattutto col preparatore, preparatore che è la figura importante anche della nostra squadra è [Paolo] Slongo che conosce più di tutti diciamo a livello di testa, a livello di “storico”, Nibali. Io l’ho avuto Nibali, ancora prima di Slongo, alla Fassa Bortolo”. [Volpi alla Fassa Bortolo nel 2000-2005; nel 2005 Nibali era neoprofessionista, dal 2006 al 2012 sarà alla Liquigas; nda] 

- L’hai avuto da neoprofessionista e poi di nuovo alla Liquigas poi Liquigas-Cannondale. 

“Sì, poi di nuovo alla Liquigas. Ma erano tre Nibali differenti, là era un bambino che era appena passato ma si vedeva che era un corridore che scalpitava dalla voglia di fare risultato e si vedeva che aveva numeri. Poi ho trovato il Nibali della Liquigas, un Nibali un po’ più maturo, ma comunque con qualche errorino nel gestire la corsa e aveva davanti a sé per esempio una figura come Basso e mi viene in mente il Giro d’Italia vinto da Ivan, Nibali era al servizio di Ivan per cui puoi immaginare che razza di aiuto aveva Basso in quel Giro d’Italia. Però è servito anche quello come passaggio di crescita e credo sia stato poi fondamentale come Basso ha avuto prima dei maestri non so tipo [Michele] Bartoli o altri. E per cui la figura del preparatore diventa importante perché ha il termometro in mano della situazione della condizione fisica. Condivide con il corridore quello che è, anche, la scelta del corridore. Perché il corridore non è che gli imponi le cose. Un campione deve saper scegliere. Quest’anno il campionato del mondo casca all’occhio a tutti che è duro, e allora dici: è un’occasione importante. Vincenzo non ha 25 anni, ne ha 34, 33, per cui è importante sfruttare l’occasione. E allora si fa anche un percorso dove si possa arrivare a un campionato del mondo attraverso un programma ben mirato e arrivare in condizione. Quest’anno la scelta è caduta nel fare il Tour e la Vuelta. Per cui il preparatore normalmente ha un gruppo di lavoro ristretto che è preparatore e due direttori sportivi di lì viene scelto il programma, ripeto, del capitano e di quelli che sono gli assi portanti della squadra. Per cui questo è il nostro modo di operare. Ma è il modo di operare, credo, nelle squadre di alto livello. Viene fatto un programma ad hoc. Gli altri vengono costruiti in base alle caratteristiche, alle esperienze e alla affidabilità dell’uomo. Viene costruita la squadra attorno al Giro d’Italia, si pensa alla pianura, si pensa alla salita, si pensa all’ultimo uomo che può stare vicino a Nibali nelle fasi finali, per cui c’è una costruzione che viene condivisa tra preparatore a seconda delle condizioni tecniche e delle condizioni fisiche viene costruita la squadra”. 

- Sempre in questa evoluzione del ciclismo, tu hai lavorato in un team prettamente italiano, penso alla Cannondale, e invece adesso lavori in un team dove l’influenza straniera è molto importante. Non soltanto dal punto di vista dei capitali ma forse – e qui te lo chiedo – anche magari da un certo punto di vista di ingerenza sulla corsa, sul tipo di corse che vengono scelte per il programma di un campione come Nibali. Allora mi viene in mente un Visentini che non andava al Tour perché a luglio preferiva andare al lago o al mare e si concentrava sulle corse italiane, quindi Tirreno-Adriatico, Giro Italia. Quanto invece può influire uno sponsor importante come il Bahrain sulla scelta delle gare che Vincenzo Nibali farà nel corso della sua stagione o delle sue stagioni? 

“Be’, è chiaro che in questo caso parlo della mia squadra che so che come funzionan le cose. Il grande capo della nostra squadra è il Principe del Bahrain. È chiaro che le corse del Middle-East, del Medioriente, sono un qualcosa di importante per il nostro team, parlo di Dubai, parlo di Oman ma soprattutto di Abu-Dhabi. E lui lì chiede, non chiede prettamente la presenza di Vincenzo ma crede e chiede che ci sia una squadra competitiva. Nessuna ingerenza sul programma di Vincenzo. Quello, sicuro”. 

- È stata una delle condizioni che magari ha posto quando ha scelto la Bahrain-Merida? 

“Sììì, perché la squadra è nata perché il Principe ha creduto tanto in Nibali e credo che abbia una fiducia totale in Vincenzo. Per cui se Vincenzo sceglie di fare il Giro piuttosto che il Tour, è una scelta che ricade su noi tecnici e su Vincenzo. È chiaro che il primo anno l’obiettivo era andare a fare il Giro. E il Principe, come secondo anno, gli piace vedere Nibali combattere al Tour, per cui era anche una volontà del nostro principe Nasser di vedere Nibali al Tour, condivisa pienamente da Nibali perché il percorso di avvicinamento al mondiale, ma che non è un obiettivo nostro ma è un obiettivo della nazionale ma diventa anche nostro, veniva bene fare il Tour perché l’anno scorso ha fatto il Giro e la Vuelta, e quest’anno Tour e Vuelta. Per cui non c’è una strategia ben precisa, non vengono decise le formazioni, però il Middle-East è una condizione importante per la nostra squadra. E poi chiaramente i grandi giri, questa è una cosa che il Principe da appassionato e da praticante conosce la qualità delle corse, be’ non si può sbagliare insomma, quando uno spara sul Giro o sul Tour o la Vuelta non…”. 

- Mi dai un assist, perché il 29 novembre – quindi già a mese ormai finito – la presentazione del Giro, Vincenzo Nibali, o forse rientra nel gioco delle parti – diceva: Adesso decideremo con la squadra, gli obiettivi, ma in realtà era già tutto chiaro. Cioè lui sapeva che in funzione del mondiale, in funzione degli obiettivi del team, sapeva già che non avrebbe parte al Giro quindi diciamo è un po’ una forma di rispetto per il Giro di non comunicarlo fino all’ultimo? 

“Sì, in realtà un po’ è così. Un po’ è così ma in realtà si voleva vedere fino in fondo come era strutturato il percorso del Giro d’Italia. Perché è vero che un campione sceglie, però se non hai l’esatta misura e il definitivo percorso del Giro d’Italia, anche se qualcosa trapelava, per rispetto di chi per anni organizza il Giro d’Italia e ti è amico, devi comunque tenere una posizione e dire: voglio vedere il vostro menù poi scelgo a che tavolo sedermi. Aveva già manifestato comunque la volontà di andare al Giro di Francia. Non era escluso che potesse anche scegliere il Giro ma l’idea era già quella del Tour. Il percorso del Tour è stato più disegnato per le caratteristiche di Vincenzo, è più accattivante per Vincenzo. Il Giro d’Italia lo è un po’ meno e poi comunque è una scelta di avvicinamento ripeto, Tour, Vuelta e campionato del mondo si sposano meglio che non Giro d’Italia, Tour e poi non correre fino al campionato del mondo, oppure non fare una grande gara a tappe. Per cui è stata una conseguenza. Vincenzo ha molto rispetto per l’organizzazione del Giro d’Italia e il suo primo grande giro è stato la Vuelta ma poi subito dopo ha vinto un Giro d’Italia per cui il rispetto che ha per il Giro d’Italia e per gli italiani è totale”. 

- In questo senso ha inciso in qualche modo perché Cassani ha parlato chiaro: chi vuole venire al mondiale, e vuole venirci con grandi di chance di puntare almeno al podio, non soltanto vale questo discorso per Nibali ma anche per Aru, dovrà fare necessariamente la Vuelta, e farla in un certo modo. Questo che cosa significa, per come sono strutturati i calendari oggi, che il Giro era l’ovvio primo escluso? Se si vuole dare continuità nel tipo di preparazione in quell’ottica lì? 

“Secondo me non è proprio così. Purtroppo poi c’è di mezzo quel pilastro che si chiama Tour de France. L’avvicinamento al campionato del mondo può passare perfettamente attraverso il Giro, la Vuelta e il campionato del mondo. E forse sarebbe ancora più valido perché tu nel periodo di luglio fai il tuo training camp in altura, ti prepari per la Vuelta, esci dalla Vuelta con più energie. Mentre facendo il programma inverso, facendo il Tour e la Vuelta è chiaro che concentri tutto in due mesi”. 

- Difficile tenere quel picco per… 

“Non è difficile, bisogna correre il Tour in una maniera, e ila Vuelta in un’altra maniera. È chiaro che Nibali se va al Tour va per far classifica. Alla Vuelta non può partire: no, io sono qui e non faccio la classifica, ma è chiaro che se pensa al campionato del mondo non potrà uccidersi facendo una classifica a morire. Se capisce che non è da primi tre io son convinto che possa rinunciare a qualcosa”. 

- Te lo chiedo perché mi viene in mente, per parallelo immediato, l’anno olimpico di Rio2016: intorno a quell'evento è stata costruita la sua intera stagione… Nibali è andato al Tour, si diceva, per preparare i Giochi… 

“Certo, certo. S’è beccato un sacco di critiche”. 

- Ha preso un sacco di critiche perfino al di là di quelle che meritava, e quindi un Nibali che va al Tour non è un corridore qualsiasi, è un Nibali che va al Tour quindi con determinati “obblighi” di classifica. 

“Certo, chiaro”. 

- Per questo ti chiedevo se si poteva verificare quel tipo di situazione. 

“Potrebbe. Potrebbe perché comunque ripeto l’ì adesso non mi ricordo non ero in squadra con lui ma lui ha fatto il tour e la Vuelta e per cui correre due grandi gare a tappe, una ravvicinata all’altra, tutte e due ad alto livello, è difficile. Quest’anno forse era l’anno dove si poteva fare il Giro e il Tour insieme, escludendo il campionato del mondo, il Giro e il Tour perché c’è una settimana in più. Ci sono cinque settimane. E cinque settimane non sembra ma cambiano qualcosa, per cui quest’anno chi vuol fare, chi non gli interessa il campionato del mondo, può fare tranquillamente, secondo me, il Giro e il Tour. Ma chiaro, con un mondiale duro, non è possibile, allora devi rinunciare a qualcosa. E a quel qualcosa quest’ano ha deciso di rinunciare al Giro d’Italia. Perché comunque il Tour è il Tour e che comunque anche il nostro capo e tutto il board della squadra ci tiene ad andare al Tour con… L’anno scorso non ci siamo andati, quest’anno ci andiamo con la nostra punta di diamante, insomma”. 

- E in questa valutazione incidono, se incidono e quanto, i potenziali concorrenti per la classifica finale? Al di là di quanto è successo a Froome. Il fatto stesso che Froome si fosse esposto: vengo al Giro. Questo può incidere sulle scelte? Vincenzo ha detto di no ma non so se è una presa di posizione per i media. 

“No, sono d’accordo con Vincenzo. Meno di quanto non influisca una strategia di squadra. Sicuro. Perché lui quando ha deciso di non fare il Giro non si sapeva che Froome veniva poi quando ha deciso, comunque Vincenzo era già intenzionato ad andare a fare il Tour. Non più di tanto. Non più di tanto perché comunque combatti a viso aperto, e un anno non è mai come l’altro. Froome è il più grande di tutti. Però te la giochi sempre perché il tour cha ha vinto Vincenzo l’ha vinto sul pavé tagliando fuori Contador tagliando fuori Froome. Le corse sono fatte così”. 

- Sono stati anche molto sfortunati, con quelle cadute: già dopo dieci tappe era finito il Tour di Froome. 

“Sì però vedi le corse sono così purtroppo a volte lui si è dovuto ritirare in altre circostanze per una caduta e questo fa parte del gioco. Se [Gonzalo] Higuaín stasera prende un pestone e lo buttano fuori…”. 

- Sì, penso alla caduta a Montalcino al Giro 2010, o a quella all’olimpiade di Rio2016. 

“Certo. C’è un dare e un avere, no? Che in alcuni momenti ti viene tolto qualcosa poi magari ti viene ridato. L’hai detto tu: olimpiadi e magari il Giro di Francia dove lui quel giorno sul pavé ha messo una seria ipoteca sul tour. Perché Froome si è trovato in difficoltà, perché magari non era così abile, perché Contador è caduto, insomma una serie di situazioni, però mi dicono che comunque la fortuna iuta sempre gli audaci. Va bè, alle olimpiadi non l’ha aiutato”. [sorride amaro, nda] 

- Torniamo invece trent’anni indietro. Tu eri in gruppo in quella tappa di Sappada, che sensazioni avevi da corridore e subito dopo magari all’arrivo, o i giorni immediatamente successivi. In gruppo tra voi magari se ne parlava, visto che non era il ciclismo delle radioline, avevate un sentore di cosa stava succedendo? 

“Eh, non mi ricordo più come si chiamava la salita oi la discesa dove ha attaccato Roche, mi sembra Sella…”. 

- ...Valcalda, ma l'attacco fu lungo la discesa di Forcella di Monte Rest.
 
“Forcella di Monte Rest, al momento non si capiva perché strada molto stretta. Chiaramente in salita non è che tutti possono star lì a vedere quel che succede, però in fondo alla discesa, quando abbiamo visto Visentini farsi da parte perché aveva attaccato Roche, abbiamo capito che qualcosa non andava. Perché lui a quel punto lì se non sbaglio si era proprio tolto dalla fila e aveva mollato. Qualcuno davanti che non era della squadra di Roche comunque lo ha aiutato perché ha trovato dei validi aiutanti per cui ci sembrava una situazione strana. Poi abbiamo metabolizzato e il giorno dopo abbiam capito il disastro che era successo. E addirittura, boh, sembra che si siano anche presi per la maglia in alcuni momenti”. 

- In corsa soprattutto dopo, si diceva che c’era questa fuga con Bagot e Schepers che lo va a prendere. Era già successo così anche qualche tappa prima, sul Terminillo. 

“Schepers: Carrera”. 

- Schepers gregario fidatissimo di Roche. Allora: Bagot in quella fuga sul Terminillo vince la tappa e Schepers non fa neanche il tentativo di provarci, a vincerla. Gli fa capire chiaramente. Io ti faccio vincere la tappa, tu però mi aiuti nei giorni successivi. E invece nella tappa di Sappada vanno in fuga in due c’è anche Salvador, e Roche sostiene nei suoi tre libri anche se poi cambia spesso versione che lui ere andato per non chiudere proteggere la maglia rosa, perché così se volevano i Panasonic che avevano uomini di classifica se volevano andavano loro… 

“A chiudere su Roche…”. 

- E invece quando Visentini capisce che roche attacca, l’errore che molti imputano a Boifava fu che Boifava disse a Leali di andare a chiudere il buco, quindi di far tirare i “Carrera” nonostante ci fosse un Carrera davanti. Ecco tu di queste cose magari da radiocorsa avevi in qualche modo un’idea o no? 

“No, di questa situazione qui, no; non aveva un’idea. Forse prima ho detto: io col cuore sto con Visentini ma credo che alla fine Visentini è stato sempre onesto. Molto onesto. Però purtroppo in bicicletta poi ci sono di mezzo le gambe, ripeto poi i risultati hanno dato ragione a Roche, perché in un anno uno vince il Giro, il Tour e il campionato del mondo, ci sono riusciti forse uno – che è Merckx [nel 1974]. Per cui, al di là della poca chiarezza e della poca onestà che magari in quel frangente ci ha messo Roche nei confronti di uno che era in maglia rosa…”. 

- Poi sai ci sono altre questioni perché è strato un Giro molto particolare… 

“Comunque già al Terminillo, come dicevi tu giù si capiva che comunque la squadra… Schepers era già dalla parte di Roche. Questo era evidente”. 

- Poi nella tappa di Termoli Roche era caduto, c’era stato n gioco di forze quasi un braccio di ferro perché a Sanremo il cronoprologo vince subito Visentini, l’anno prima aveva vinto il Giro e subito prima maglia rosa, poi la Carrera domina la cronosquadre, ha dato una botta pazzesca a tutti, poi la crono di San Marino. Con Roche che ha preso quasi tre minuti da Visentini (2’47”)… 

“Sì, sì, assolutamente sì”. 

- Però c’è anche da tener conto che lui a Termoli era caduto, quindi nella crono forse non ha dato il massimo. 

“Non ha dato il massimo, però non era nelle condizioni di dare il massimo”. 

- Poi ognuno tira acqua al proprio mulino: Visentini dice: ah, ero il più forte, gli ho dato tre minuti a cronometro. Quell’altro dice: "Ma come, a Sappada ne ha presi [quasi] sette…".

“Sarebbe interessante veramente capire Boifava cosa ha detto, la mattina, ai suoi corridori, e soprattutto quando si è verificato il fatto. Perché poi lì vai un po’ nel panico. Perché anch’io sono direttore sportivo non è così tutto limpido e chiaro. Quando succedono queste cose, siamo anche noi uomini, allora il potere di decidere in un attimo se dare la responsabilità a uno piuttosto che all’altro è solo una questione di pochi secondi. Non so, veramente, che cosa abbia detto Boifava a Leali se doveva chiudere su Roche oppure se non gliel’ha detto. Non lo so. Hai parlato con…?”. 

- È tutto scalettato e ci arriveremo… Volevo chiederti questo: all’arrivo tu comunque il Giro l’hai finito, hai chiuso 23-esimo. All’arrivo, hai sentito queste voci, di un Visentini furioso, che è andato sotto il palco RAI a gridare: "Stasera più di qualcuno va a casa"?. 

“L’87, era? No, l’87 l’ho chiuso nei primi venti. Ma non era il Giro che c’era Argentin in maglia di campione del mondo?”. 

- Sì, perché lui ha vinto il mondiale di Colorado ’86. 

“Io ho fatto secondo a Como ma pensavo di essere…”. 

- Ti ha battuto Rosola. 

“Mio compagno”. 

- Sì, ma tu hai fatto una fuga che ha scombussolato tutti i piani… ed eri vicino a casa tua… 

“Poi mi han preso all’ultimo chilometro, un chilometro e mezzo, gli ho tirato la volata e ha vinto”. 

- Paolone quell’anno ne ha fatte buone, eh. 

“Sì, sì. E comunque credo che Boifava ti possa dire veramente che non è Né dalla parte di Visentini – perché non so se ha più rapporti con Visentini – ma è rimasto in buoni rapporti invece con Roche. Non abbia nulla in contrario… secondo me non può dirti una cosa piuttosto che un’altra. E in quei momenti lì, non c’erano le radio, non so se ha detto veramente a Leali di andare a chiudere su Roche. Credo che se l’ha detto ha fatto un altro errore, perché a quel punto lì come dici tu erano i “Panasonic” che dovevano togliersi le castagne dal fuoco perché comunque Roche era Roche. Poi…”. 

- Tu eri in gruppo, non ti dico nelle prime posizioni ma anche perché forse non hai proprio avuto modo di sentirlo, però tu ti sei accorto che c’era un corridore come Robert Millar, che poi vinse la maglia verde di miglior scalatore, che in Panasonic in teoria avrebbe dovuto correre per Erik Breukink, o per Anderson, comunque i due uomini, i due big da classifica. E infatti lo stesso Breukink al traguardo si chiedeva: ma per chi corre Millar? Perché Millar ha fatto la corsa per Roche, guarda caso uno dei suoi amici e non solo perché uno è scozzese e l’altro irlandese, quindi per via della lingua e basta – l’anno dopo, alla Fagor, Roche si porta i suoi, no? Tra questi, Millar, Schepers e compagnia… Quindi hanno un po’ corso, diciamo, contro il proprio capitano. 

“Be’, tu lo sai che le alleanze trasversali, forse, prima ancora più di adesso”. 

- Be’ anche Lanfranchi al mondiale di Lisbona 2001… 

“Sì, ma adesso ti parlo di questi ultimi dieci anni. Sì, chiaro… È vero, ci sono delle situazioni che si verificano soprattutto ai campionati del mondo. Perché io sono della Katusha e…”. 

- …piuttosto che far vincere uno di non so che Paese, faccio vincere… 

“Oppure può succedere il contrario: oh, cazzo, quello là è mio compagno in Katusha, io non lo voglio far vincere, io sono russo, quello è un danese e vado a chiudere io e nessuno mi può dire niente. Poi, quando torno in squadra, va dal il manager e gli dice: ma scusa, ma era il caso di chiudere su un tuo compagno? Succede anche questo. Succede il contrario ma succede anche questo…”. 

- Succede anche che magari ci son dei gregari più portati a un certo tipo di capitano perché magari divide una fetta di premi un po’ più grossa. Comunque fa parte della vita prima ancora che del ciclismo. 

“Questi aiuti qua secondo me succedevano più vent’anni fa. Adesso, mmmhhh... Con l’evoluzione che c’è stata delle riprese tv, di tante cose, dei social, si deve stare molto attenti a come ci si comporta. Le radioline su tutto. Le radioline…”. 

- Ecco allora ti chiedo, e la domanda è immediata: nel ciclismo degli srm, delle radioline, della tappa interamente ripresa come successo quest’anno al Tour, può succedere una “Sappada” trent’anni dopo? 

“Potrebbe succedere è successo nel giro di… non una “Sappada” ma un mezzo disastro sì, L’Aquila 2010, con Vinokourov che va in fuga con cinquanta corridori e noi nella squadra [la Liquigas, nda] rischiamo di perdere il Giro d’Italia senza ragione. Poi grazie all’avere in squadra uno forte come Nibali e uno che andava fortissimo come Basso sono riusciti a ribaltare la situazione. Per cui anche nell’era delle radioline ci può sempre stare un’incomprensione oppure quest’ano come la mondiale è successo, diceva Cassani, che c’erano due radio che non andavano. Non lo so, può succedere sempre tutto. Certo che con l’ausilio delle radio l’errore, il non capirsi si riduce sempre di più, perché tu comunque prima dovevi andare in coda parlare con l’ammiraglia, trovare i tuoi compagni e spiegare, oppure l’ammiraglia veniva all’altezza di metà gruppo, ti parlava, ma non sempre era facile, perché il percorso non lo consentiva. Non sempre dall’ammiraglia riuscivano a dare le informazioni che dovevi. La lavagna era la madre della situazione in corsa: tre minuti, dieci corridori. Poi l’ammiraglia se non veniva lì, ti dovevi inventare qualcosa, allora c’erano i capitani alla Argentin diceva: Ragazzi, non so cosa succede dietro ma oggi tiriamo, no? Si prendeva la responsabilità, perché non sempre riuscivi ad andare a parlare con il direttore. Oppure quando arrivava il direttore, ormai avevi già assunto una posizione in corsa o preso una decisione e anche il direttore dice: meno male che ci siete arrivati. È quello che dovrebbe succedere ogni tanto, no? Ogni tanto mi dicono: Ooohhh, Alberto, ci sono venti corridoriii [grida imitando la voce di un suo corridore in corsa, nda]. “Ma ragazzi non me lo dovete dire, chiudete subito. Non c’è nessuno di noi? Non aspettate, perché a me alla radio le comunicazioni non è che me le danno in tempo reale”. Al Tour, nei primi trenta chilometri non danno mai comunicazioni, eh. Proprio per dare vivacità alla corsa. Per cui se vedete che ci son venti corridori…”. 

- Penso alla fuga di Roberto Conti all’Alpe d’Huez al Tour del ’94: partiti dopo 14 chilometri. Lì non c’è radiolina che tenga. 

“Eh. Per cui devi avere anche un se on necessariamente l’Argentin della situazione, ma in un gruppo di nove uno scaltro che dice: adesso prendiamo noi questa iniziativa qua, al di là di quello che ci dice l’ammiraglia, perché l’ammiraglia non ci comunica perché è indietro, perché è lontana, perché non arriva la comunicazione-radio. Per cui, sotto questo aspetto, adesso le radioline hanno dato tanto, però per i corridori a volte non si assumono le responsabilità, i capitani, come Petacchi per esempio, fosse stato per lui non avrebbe mai voluto tirare, perché “no, non mi sento bene”, mancavano duecento chilometri all’arrivo e dico: Ci son cinque ore di corsa, adesso non ti senti bene ma fra due ore vedrai che le cose miglioreranno. Allora facevamo tirar la squadra e dopo lui vinceva. Ma fosse stato per lui non avrebbe mai fatto tirar la squadra. Mai. Un po’ come Gianni [Bugno]. La fotocopia di Gianni Bugno. Uguale. Non avrebbe mai fatto tirare la squadra. Invece, chi era in ammiraglia, dice: No no adesso tiriamo, perché voi siete i più forti. Ce la giochiamo sul traguardo”. 

- Poi dipende qualcosina forse anche dal polso e dal peso che ha il direttore sportivo, no? Ti faccio due esempi: Tour 20102 Froome che scatta in faccia a Wiggins per fargli vedere che è lui che ha più gamba in salita oppure al Tour 2017 con Landa e lo stesso Froome con Brailsford che ti prende per un orecchio e magari ha potere decisionale, no? 

“Sì, sì, sicuramente sì, be’ è chiaro che in tutti i lavori, in tutti i mestieri come [anche] il ciclismo, esiste un capitano carismatico, deve esistere anche, ci sono, direttori più o meno carismatici, gente che parla poco ma si fa capire, a fronte di poche parole dette ma sono sagge. E dice. Ragazzi, oggi non ci dobbiamo sbagliare, così così così e lì è una cosa innata, devi trasmettere nei corridori la certezza, devono sapere che chi è davanti è una persona autorevole che ti dà pochi consigli ma utili e non ti devi sbagliare”. 

- Tu hai avuto Ferron, no? 

“Sì”. 

- Ecco: una "Sappada" gestita o non gestita da Ferron, che cosa sarebbe potuto succedere. 

“Lui odiava innanzi tutto le corse a tappe. Per far classifica. Infatti, se tu guardi negli ultimi anni non è mai più andato a un Giro d’Italia, a partire dalla Ariostea, forse l’ultima classifica fatta da Ferron, un podio al Giro d’Italia, credo che risalga ancora alla Bianchi-Piaggio, con De Muynck o Contini dove lì si… con Baronchelli se la giocavano. Ma proprio memore di quelle esperienze…”. 

- Quindi il tuo primo anno da pro’? o prima ancora? 

“No, prima ancora”. 

- De Muynck, quindi stiamo parlando del '78… 

“Parliamo del '75-76 per arrivare all’81-82, c’erano Contini, Baronchelli, Prim: la famosa triade che non si sapeva mai chi era il capitano. Lui lì s’è sfavato [s'è salvato, nda], perché comunque chi vinceva… A lui non piaceva arrivare terzo o quarto, o vinceva Hinault, o vinceva questo… Per cui i suoi eran sempre piazzati. Da lì in poi non ha più voluto corridori di classifica. O se li ha avuti, ha avuto solo una grande sfiga, io non posso stare qui in balia venti giorni per arrivare terzo al Giro, io preferisco le tappe. E lui preferiva sempre le tappe. Infatti la sua corsa era una corsa d’attacco perché non gliene fregava niente della classifica. Si vince la tappa, poi della classifica ne parleremo l’ultima settimana. E per cui Ferretti in quella situazione si sarebbe… si sarebbe incazzato parecchio, ma credo si sarebbe più incazzato con Roche che non con Visentini perché per lui avere la maglia rosa fino a che non crolla, fino a che non dà segnali la maglia rosa di cedimenti, un compagno non deve mai attaccare il proprio compagno se è in maglia rosa, questa è una regola, no? Però ti ripeto: io sono dalla parte di Visentini perché molto onesto, però alla fine la storia ha detto che ha avuto ragione Roche perché alla fine chi vince ha ragione”. 

- Ma tu nella tua carriera ti hanno sempre descritto come una sorta di gregario-gentiluomo, tu nei panni di Schepers o magari penso al giovane Chiappucci che era appunto un giovane, veniva da un incidente grave quindi non poteva molto mettersi a discutere le scelte del ds, ecco tu come ti saresti comportato? Avresti fatto una scelta alla Schepers o invece magari come i giovani Cassani, Chiappucci ti saresti messo a disposizione del capitano su strada? 

“Sì, sì. Era una situazione imbarazzante, perché tu prova a pensare: Roche un tuo compagno ti attacca, questo in maglia rosa e cosa faccio? La decisione va al direttore sportivo. Ma nel dubbio se non parlo col direttore sportivo, io tiro per la maglia rosa. Devo difenderla. Devo difenderla, non ci sono storie”. 

- Perché lui la maglia poi alla fine l’ha presa per cinque secondi. Quindi se quei cinque secondi non fossero bastati… 

“Cambiava tutto. Probabilmente cambiava tutto. Ma in quel frangente lì, io mi immedesimo nei corridori, nell’essere corridore, se nona vessi avuto una dritta dal mio direttore sportivo, che in quel caso era Boifava, avrei detto okay, difendo la maglia rosa, perché la maglia rosa comanda in gruppo, la maglia rosa è rispettata, non solo dai compagni ma da tutto il gruppo. Da tutto il gruppo. La maglia rosa quando si ferma il Giro d’Italia, scusa, a far pipì, il Giro si ferma tutto. Lascia stare quest’anno l’episodio di… Non puoi, a 35 km dall’arrivo, loro non hanno attaccato, hanno continuato nell’azione. È come la storia dei falli, no? Capello diceva: se uno è a terra, e ha preso il fallo, se non fischia l’arbitro, noi continuiamo con l’azione. Capisci? Non è così di facile interpretazione. Io non sono… sono per vedere caso per caso, perché se uno prende un pestone forte, è più forte di me, la palla la tiro fuori. Però se uno ha simulato, io l’azione la continuo”. 

- Mi tratteggi i due corridori al punto di vista tecnico e, per quello che hai avuto modo di conoscerli, dal punto di vista umano, caratteriale, sia Roche sia Visentini? 

“Be’, sicuramente Roche atleticamente più forte di Visentini perché era un corridore a livello internazionale più competitivo. Andava alle Liegi,. Arrivava davanti e ha vinto uN tour, ha vinto un campionato del mondo. Come bagaglio tecnico più forte Roche, come persona preferisco sicuramente Visentini”. 

- Questa caratteristica di Visentini che aveva un po’ non so se paura, comunque non gli piaceva correre nella pancia del gruppo, tutti dicono che correva decima posizione a destra, prendeva tanto di quel vento in faccia: ti risulta? 

“Sì, sì, sempre da solo. No, assolutamente, lui arrivava la sera che aveva le scarpe piene d’erba perché stava sempre giù dalla strada. Aveva paura a stare in gruppo e lui non so – un po’ alla Bugno – quante volte andava su, poi non riusciva a limare, e andava indietro, poi ripassava. O comunque stava sempre all’esterno del gruppo e non era come adesso che ti dedicavano due corridori. Perché lui comunque non due corridori non ci stava. Era uno che mangiava un sacco di vento. Mangiava un sacco di vento”. 

- Infatti c’era la battuta che diceva, me lo raccontava anche Maini: ah, è forte a cronometro, i corridori dicevano certo che è forte, per lui ogni corsa è una cronometro. 

“Eh sì, è una cronometro. Io dico che Visenta era onesto come ragazzo, molto onesto. L’altro hanno parlato i risultati per lui. Cioè non è…”. 

- È vero che Roche era molto bravo, non soltanto un maestro nel leggere la corsa ma anche nel tessere le alleanze in gruppo… 

“Sììì, più scaltro”. 

- Bravo a vendersi anche con i media. 

“Sì, sì più scaltro. Sì, sì, sicuramente. Il fatto che poi adesso faccia non so se fa ancora il telecronista…”. 

- È testimonial della Skoda al Tour poi fa l’opinionista. 

“Hai visto che anche dopo che ha smesso di correre, è uno più portato alle pr, uno più portato al contatto con la gente. Visentini si è chiuso nel suo orticello, finita lì. lui è uno molto bravo a… veramente come dici tu a essere un “politico” in gruppo. Era uno che riusciva ad avere tante alleanze”. 

- Ma secondo te basta un episodio come Sappada, o magari non so se lui ha pagato anche questo mettersi contro gli sceriffi Moser e Saronni, andare contro Torriani, che disegnava i Giri ad hoc magari per le due superstar del ciclismo italiani, e magari un po’ l’ha pagato in carriera. Ma tutto questo è servito ad allontanarlo o magari era proprio una cosa sua? 

“No, era una cosa sua. No, no…”. 

- Cioè tu dici l’avrebbe mollato lo stesso il ciclismo... 

“Sì, sì, sì. Lui viveva di ciclismo perché gli piaceva andare in bicicletta ed era forte, era un talento. Perché Visentini era un talento. Probabilmente gestito in un’altra maniera sarebbe diventato anche un corridore extra-Italia perché comunque fuori dall’Italia non ha fatto tantissimo. Se andava al Tour andava sfavato, andava alle classiche non ci andava forse neanche, per cui… era uno che piazzava la sua botta alla Tirreno-Adriatico, alla Sanremo magari si faceva vedere e il Giro d’Italia. Poi il resto non era un corridore che usciva tanto dai nostri confini. Mentre Roche tra la Parigi-Nizza, il Tour, i campionati del mondo, era uno super presente a livello internazionale. Oppure era uno che al Lombardia è arrivato lì per vincere, io appena passato il Lombardia, Roche era lì a giocarselo con Hinault, con Mottet, con Tommy Prim, cioè era un corridore di una certa caratura. Il fatto che lui ha smesso e si è allontanato credo che non è perché si è messo a fare la guerra o con l’Rcs o con i colleghi o perché è uscito in malo modo dalla storia di Sappada. No. Credo che comunque quella era la strada che voleva seguire lui. Era uno molto distaccato, anche nel vivere le corse. Lui la sera andava a letto, finita la tappa, la mattina si alzava e nella riunione prima di partir la corsa fa: oh, ma che tappa c’è oggi? Ma oggi c’è salita. Cioè lui non era un programmatore, era un po’ naif. Ma questo non te lo racconto io perché lo diceva a me. Ogni tanto captavo queste sfumature, ma me lo dicevano i suoi compagni, Mario Chiesa, Chiappucci: ma questo qui non sa neanche domani che tappa c’è. Ah, ma domani si arriva in salita? Non sapeva neanche”. 

- Cassani mi ha detto: il garibaldi? Ma quale garibaldi, ero io il suo garibaldi. 

“Sì, sì: lui non sapeva niente. E forse era il modo per affrontare il suo lavoro in maniera da non caricarsi troppo con la testa, secondo me”. 

- Ma questa cosa che lui fosse benestante di famiglia, bella, le fuoriserie, le ragazze, intanto ti chiedo se è vero o se è stata un po’ ingigantita magari dai media? O se c’era dell’invidia in gruppo verso questo predestinato che forse non aveva quello stimolo della fame atavica dei corridori? 

“Invidia, in gruppo non ce n’era verso Visentini ma c’era… Con Visentini si rideva. Con lui quando si metteva in coda al gruppo poche battute ma era uno cordiale con tutti, non c’era nessun tipo d’invidia. Chiaro, era sotto gli occhi di tutti, che era un benestante si poteva permettere la Ferrari, era anche un bel ragazzo, non è che potevi pensare che potesse non sfruttare il suo status di persona benestante, carino, anche famoso. Poi comunque questo status gli dava anche la possibilità dio mandare a quel paese Torriani o Castellano perché tutte le mattine ne aveva per Torriani, diceva: eeehhh, vedrai che prima o poi muori. Cioè, va bè, tutte queste battutine qua, però non avrebbe cambiato il dopocorsa di Visentini. No, non avrebbe cambiato. Secondo me, no”. 

- Perché dici invece che lo ritenevi per alcuni paradossalmente per altri no, più adatto alle corse all’estero, quindi anche a certe classiche dure, e anche allo stesso Tour dove invece lui o non andava o andava di malavoglia, e diceva tra le sue battute dissacranti, ma perché non vai al Tour, tre funerali, mi sono pagato il Tour…”. 

“Sì. Ma appunto per quello. Probabilmente lui era appagato dal giocare il campionato italiano di calcio e non giocare in Champions che non gliene fregava un cazzo, cioè… scusami il termine, non gliene fregava proprio niente. Ma probabilmente la squadra era strutturata in maniera tale che al Tour ci andava quando c’era Roche con Roche per vincere il Tour, con Bontempi che gli garantiva le tappe, con Leali che comunque era un cavallo, che dopo c’era Ghirotto, poi è cresciuto Chiappucci per cui lui viveva nella sua campana di vetro. E sono sicuro che, “esportato”, Visentini avrebbe comunque fatto dei buoni risultati, probabilmente non c’era programmazione. Era figlio di un ciclismo vecchio, dove in Italia, la Carrera andava all’estero ma a lui stava bene così, non gli cambiava niente. Io non ricordo… forse pochissime volte, di averlo visto alle partenze di una Liegi-Bastogne-Liegi [unica partecipazione: nel 1982, ritirato, nda], di un Gran Premio di Zurigo. O a memoria non credo che neanche abbia mai fatto risultati in quelle corse lì”. 

- Questa internazionalità del marchio Carrera, intanto non era il classifico mobilificio, ti faccio la battuta di Saronni che diceva per il mio patron Scibilia, il Giro di Puglia vale più del Tour, e quindi la Carrera già era un altro tipo di mercato… 

“…di dimensione, certo”. 

- …di filosofia, andava a pescare corridori all’estero, uno su tutti Roche… 

“Zimmermann…”. 

- Zimmermann e gli altri svizzeri, Mächler che quell’anno vinse la Sanremo e indossò per sei giorni la maglia al Tour prima di Roche… 

“Beat Breu e tanti altri…”. 

- Era proprio una squadra diversa: si può parlare, e qui chiedo il tuo aiuto, di una sorta di Team Sky con trent’anni di anticipo o è una forzatura? 

“Sì. Con proporzioni e con tempi… però sì. Però sì”. 

- Un altro esempio che ti faccio: loro insieme alla PDM, alla sono stati tra i primi ad avere il pullman, non avevano il furgoncino (alla Ferretti) o solo le ammiraglie. Quindi in questo senso ti dico se erano il Team Sky dell’epoca, diciamo ante litteram. 

“Sì, assolutamente sì. Era in Italia che potevano sbarcare al Tour, il punto fisso per l’Italia era la Inoxpran e poi Carrera per cui avevano giù un timbro internazionale diverso, un’impostazione internazionale. Poi la campagna acquisti la vedevi, no? Cioè, andava a prendere già anche tanti corridori che già sapevano di poter contare al Tour per cui sì, sicuramente in quei… in piccolo era già una squadra da World Tour già allora. Anche la Bianchi era così, con certi corridori. Ma la Inoxpran ha continuato questo negli anni. Perché la Bianchi, salvo gli anni di De Muynck, di Gimondi poi già quando c’erano Contini e Prim un po’ meno, invece l’Inoxpran e la Carrera hanno continuato sempre anche con Chiappucci, poi vabbè, per un ventennio [in realtà 13 stagioni, nda] o giù di lì, quant’è durato, a essere una squadra da campionato e da Champions. Sempre”. 

- Facciamo questo parallelo tra i grandi team dell’epoca come la Carrera e visto che oggi tu ne fai parte di uno di questi grandi team di oggi, quanto costava o che cosa comportava un’organizzazione come le grandi squadre in cui eri tu da corridore, la Gewiss che comunque era una grande squadra, e la Carrera. E invece un gruppo, una multinazionale come quella in cui sei tu oggi, o come il Team Sky o come è stata l’Astana eccetera? 

“Be’, è un po’ come fare il paragone della Formula Uno di vent’anni fa e la Formula Uno di adesso…”. 

- Però la forbice tra una squadra medio-piccola… insomma i 35 milioni di euro di budget annuo del Team Sky sono un pianeta a parte. 

“Sì, sì adesso cioè… Prima eravamo molto più vicini”. 

- La forbice era molto meno allargata no? 

“Sì, sì la differenza che c’era tra la squadra di Boifava o la Panasonic che aveva non lo so due-tre miliardi di budget e altri ne avevano 500 milioni, adesso…”. 

- Bruno Reverberi, che è sempre stato famoso come una specie di Atalanta del ciclismo che produce giovani e poi li rivende ai grandi team, mi diceva che costava cinquecento milioni. Quindi si è passati, in trent’anni, da 1/15 a 1/35. 

“Ti faccio l’esempio. Adesso magari 100 milioni in più cento milioni in meno, la Château d’Ax di Bugno o dov’ero io, la Gatorade, gli anni dopo, si parlava di un budget di due miliardi e mezzo [di lire]”. 

- A fronte dei 500 milioni di lire delle piccole? Quindi cinque volte tanto… 

“Sì. Seicento, perché parlavamo… Adesso no”. 

- Adesso di quant’è la forbice? 

“Adesso, credo che… Boh…” 

- Cioè tra una “Bardiani” e un “Team Sky” o un team come il vostro, o la UAE di Saronni? 

“Tra una Bardiani e una Sky, boh, non lo so, una quindicina, sì-sì”. 

- E lo stesso vale per l’Astana, per voi… 

“Dai quindici si scende ai dieci-undici, la forbice si è ingigantita. Sì, sì. La nostra che è una di quelle che non ha un budget altissimo, siamo intorno ai 19-20 milioni [di euro]. Se pensi alla Bardiani che ne costa due… Sono dieci volte”. 

- Quindi oggi il ciclismo dei Tacchella sarebbe semplicemente improponibile. 

“Improponibile, sì. Sarebbe improponibile, sì, loro là investivano due miliardi e mezzo, e chiaro che adesso per fare il World Tour ce ne vogliono venti milioni di euro che sono 40 miliardi che sono… cioè adesso, veramente è diventata una cosa… Va bè, Sky… Lasciamo stare Sky, no? 'Voi' siete quelli più ricchi, e non lo dico per sviolinare perché… I più bravi. Qualcuno, sì, dice: 'Ma Sky…”. No, Sky: ce ne vorrebbero quattro di Sky nel gruppo, come forza'...”. 

- Come capacità organizzativa e budget… 

“Sì, chiaro. Come budget e come forza organizzativa perché comunque a fronte di trenta milioni che hanno a disposizione, però Brailsford ha messo in campo il meglio che si poteva scegliere: preparatori, nutrizionisti, scienziati, galleria del vento, ricerche, investimenti sui materiali. Cioè non è solo la squadra fine a se stessa, cioè tu devi costruire tutto un qualcosa intorno, perché…”. 

- Tra l’altro ha puntato molto su eccellenze italiane, nei vari settori. 

“Assolutamente sì. Bicicletta, per dire, l’abbigliamento e comunque. Per cui non è solo avere i soldi, bisogna avere anche le idee e le persone giuste. Per cui io dico ci vorrebbero veramente più di una Sky in gruppo. Perché comunque daremmo un po’ più di livello anche agli altri. Purtroppo mancano gli sponsor, mancano…”. 

- Perché secondo te – dico Ferretti perché l’hai avuto e perché comunque è una sorta di esponente della vecchia guardia, di un certo modo anche di concepire il ciclismo, perché è così critico invece con il Team Sky? 

“Non sono d’accordo”. 

- Spiegami perché. 

“Ho discusso con [Matteo] Tosatto, ho discusso con colleghi, ho letto la sua intervista, tengo buono il 30%, il 70% nel cestino. Ti dirò di più. Leggendo la sua intervista, e ti posso mandare una foto, mi son preso degli appunti…”. 

- Che cosa condividi e che cosa no? 

“Su quello che lui ha detto e io normalmente ci parlo e gli dico: su quello che hai detto, il 30% son d’accordo il 70% no. E se mi chiedo dove non son d’accordo gli spiego dove, il perché e il come. Alcune cose a livello personale che comunque condivido anche coi miei colleghi non puoi dire che la Sky è la rovina del ciclismo. Perché tu…". 

- Però anche Saronni ha detto le stesse cose. 

Aaargh. Ha dette delle fesserie. Scusami, eh. Io non sono di parte, guarda, io sono proprio fuori dalla…”. 

- Mi viene da pensare, perché Saronni oggi non è più al team Lampre dove magari poteva essere… 

“Eeeeh bravo! Bravo”. 

- Adesso è una sorta di… come Astana, come Team Sky… ha fatto il saltino, ecco. 

“Bravo. Però rispondigli a Ferretti che non più di in là di dodici anni fa anche noi dominavamo quando avevamo Petacchi in testa al gruppo invece delle maglie nere Sky c’eran le maglie bianche. E ti dico adesso da appassionato, da… non rinnego niente di quello che è stato fatto, non rimpiango niente, rifarei tutto quello che ho fatto, quando c’era la Fassa. Ma vincere nove tappe al Giro d’Italia con Petacchi è di una noia mortale”. 

- Allora però non si lamentava, il buon Ferron

“Bravo. E lì avevamo… è vero che avevamo rispetto a Rabobank, rispetto a tanti altri avevamo un budget un po’ inferiore, ma comunque noi ci comportavamo così. Ma se io avessi Froome o Wiggins o Landa… Là si tirava per far vincere una tappa a Petacchi, qui si tira per vincere cinque Tour de France. E farei la stessa cosa, e gli stringo anche la mano, alla fine. Perché il Froome è stato anche un mio corridore, alla Barloworld [nel biennio 2008-2009, nda]. Io farei la stessa cosa. Cioè io voglio bene a Ferron, come idee, come… diciamo come grinta, come… però non può più essere figlio di questo ciclismo”. 

- Ma credo che lui ne sia anche consapevole di questo o no? 

“Va bene, comunque nell’intervista che ha fatto secondo me, no, perché io ho detto ho preso appunti, e ne parlo con lui. Anche se sono diciamo il suo discepolo, non so come dire, però non ho vergogna di dirglielo: guarda, su questo, questo e questo non son d’accordo. Assolutamente. Non ho vergogna a dirlo, tanto, cosa mi cambia? Non mi cambia la vita. Non sono uno yesman – sì, no – Se mi dici qualcosa che io son d’accordo ti posso dire sì, ma non posso essere sempre d’accordo con tutto perché magari è stato il mio maestro. E io su quella di Sky non son d’accordo”. 

- C’è una cosa nel Team Sky che forse – e forse è quella un po’ la “salvezza” un po’ delle corse – i giornalisti britannici quando parlano del Team Sky dicono questo: per loro il plan – il piano è sacro, il plan conta su tutto. Tutti devono lavorare per, e seguire quel piano…
 
“Certo”. 

- Il “problema” è che il ciclismo si fa su strada: nel plan se c’è un granellino che si incastra nel meccanismo forse lì il Team Sky ha dimostrato dei limiti. Sei d’accordo o no? 

“Sì, però chi lavora commette degli errori. Loro sono molto quadrati, vanno sempre dritti per la loro strada però mi dispiace i risultati parlano per il loro favore. I risultati parlano a loro favore. Sai quante squadre commettono tanti errori ma non sono sotto i riflettori come Sky, e passano inosservati? Sai quanti? Tantissimi. Non è vero che si inceppa perché io so che lì dentro ci sono dei bravissimi tecnici, delle bravissime persone. Li ho visti poche volte incepparsi”. 

- In difficoltà… 

“Secondo me sì. Alla fine cioè cosa si…”. 

- Allora come spieghi invece che diciamo quelli che sono un po’ meno irreggimentati, cioè un po’ meno controllabili, penso a Landa, penso a Cavendish, penso a un ragazzo molto intelligente e sensibile magari anche con una vena estrosa, gli piace disegnare, è uno molto attento, come Cataldo, stanno lì un anno, due anni poi però devono cambiare. Questa cosa come te la spieghi? Ci hai mai fatto caso o no? 

“Però sai in un ambiente ci sta anche quello che giocava l’anno scorso alla Juventus che è andato via sbattendo la porta…”. 

- Dani Alves?
 
“Dani Alves. E guarda quanto campioni ha invece lì la Juventus e vanno d’amore e d’accordo”. 

- Ma tu questa cosa la cogli o ti sembra un’esagerazione? 

“Secondo me è un’esagerazione. Secondo me è un’esagerazione, perché comunque i corridori non sposano magari la filosofia ma non è detto che sia tutta colpa della squadra”. 

- Ma tu credi che in questo incida magari il grosso stipendio? Cioè: mi faccio andar bene tutto, guadagno bene due o tre anni, faccio… pensa a uno come Kwiatkowski, no? Che ha vinto corse di tutti i tipi, dal mondiale alla Sanremo… 

“Ma lui ha il suo spazio…”. 

- E lui nei grandi giri tira come l’ultimo dei gregari. 

“Sì, però nelle corse che contano ha il suo spazio. Ma il valore aggiunto di una squadra è avere al servizio corridori di qualità. Se tu riesci a mettere a disposizione la qualità, la qualità… ottieni dei grandi risultati. È chiaro che non vedrai Froome che viene alla Sanremo ad aiutare Kwiatkowski o alla Liegi-Bastogne-Liegi, ma Kwiatkowski sa che andare a un Giro d’Italia, a un Tour de France è… è giocoforza che si deve mettere a disposizione, sennò gli dice: no, io il Giro di Francia non vengo a farlo. Ma se ti pagano due milioni e mezzo, tu vieni a fare la seconda punta. Dybala che gli piaccia o no, vien a fare la seconda punta e gioca dietro a Higuain. Se sta bene è così sennò prendi e vai a giocare da un’altra parte. L’ha detto Allegri tante volte: Alla Juventus funziona così, al Palermo probabilmente giocavi a cinquanta metri dalla porta ti facevano fare la punta, ma giocavi a cinquanta metri dalla porta. Se vuoi giocare nel Team Sky, queste son le regole, e ti pagano anche bene”. 

- Però ammazzano le corse: sei d’accordo? 

“No”. 

- Spiegami perché. 

“Perché ammazzano le corse?”. 

- Perché, ti dicono i detrattori, io non sto né di qua né di là: ma questi tirano in salita… una volta c’erano… per esempio tu volevi vincere dalle tue parti? A te, non ti avrebbero mai fatto andar via nella tappa che poi ha vinto a Como Rosola. Non ti facevano andar via per il semplice fatto che tu volevi vincere a casa tua. Perché? Perché tirano la corsa a cinquanta di media e controllano da davanti e impediscono a chiunque anche solo di tentarla la fuga. Anche se uno non è un uomo di classifica. 

“Ma non è vero io vedo che nei grandi giri che ha vinto Froome le tappe non le vincono solo [gli] Sky. Sky in un Giro di Francia vince tre tappe. La cronometro che ha vinto Froome, i due arrivi in salita, ma le altre diciotto tappe le vincono…”. 

- No nel senso che loro vanno a caccia della vittoria di tappa, è che… 

“Danno poco spazio. Ma dipende anche chi c’è in fuga, eh. Dipende anche chi c’è in fuga. Io, avessi Sky, mi comporterei esattamente come si comportano loro”. 

- E tu faresti una squadra di corridori che sarebbero capitano i quasi in tutte le altre squadre? 

“Sì. Sì, perché noi alla Fassa avevamo la stessa cosa. Avevamo Cancellara, Pozzato, Bartoli, Casagrande, Basso. Poi per citartene cinque, ma se guardi dopo il poster della Fassa Bortolo era impressionante. Avevamo l’eccellenza italiana ma non solo. Avevamo dei grandissimi corridori. Non avevamo magari la punta alla Froome che poteva vincere un giro. Ma anche noi eravamo dei tiranni. Non volevamo lasciare niente a nessuno. Abbiamo vinto ieri. No, ragazzi: tiriamo anche oggi perché vogliamo vincere anche oggi. È la stessa cosa, la stessa cosa. se non inculchi nei corridori questa mentalità qua, poi c’è oggi… eh oggi abbiamo vinto be’ domani… no, ragazzi: se possiamo vinciamo anche domani. Non ci ammazziamo ma se possiamo vinciamo anche domani perché non ti regala niente nessuno. Perché quando uno ha condizione fa così, regali non te ne fa nessuno. E neanche la piccola squadra. Una volta il gruppo era più piccolo, si facevano dei favori. Magari ancora adesso. Dice. Va bè dai lasciamoli andare, tanto cosa ce ne frega, sono in quattro mancano dieci all’arrivo, hanno un minuto. Ma chi ce frega vai dal tuo collega e dici: per noi quelli arrivano, se tirano altri… cioè è per fargli capire, anche Sky è così no? Mi sono trovato più volte ad avere Sagan a Chieti e il direttore Brailsford mi viene e mi dice: Alberto, per noi può star lì a trenta secondi, se vuoi vincere la tappa mettine là due perché noi li lasciamo andare. Vedi? Vedi… Io credo che abbiano anche loro un modo di operare… Loro hanno il loro obiettivo. Poi se nei loro obiettivi riescono comunque a non fare troppi danni nei confronti degli altri, lo fanno, non sono così stupidi come possono apparire da fuori. Io personalmente il modo di operare di Sky lo condivido quasi totalmente”. 

- C’è qualcosa quindi, visto che mi hai dato tu stesso l’assist, c’è qualcosa che invece non ti piace, faresti in modo diverso, si potrebbe migliorare? Nel loro modo di agire. Una cosa che magari tu vorresti fare nella tua squadra, e non riesci a fare? 

“Be’, comunque stare… un ragazzo che sta in Sky non è solo un fatto di libertà ma è comunque la pressione che è alta, no? Perché comunque parlo con dei ragazzi che son stati lì e dici, fa: guarda, qui non ti manca niente. Se ti serve il latte di gallina, domani mattina ti portan il latte di gallina. Però allenamenti, allenamenti, pressioni, ti mandano a casa il planning, tu devi fare da qui a qui, cioè la pressione esiste. Qualcuno non la regge. Secondo me Landa, grandissimo corridore, ma non è uno che regge la pressione. Secondo me Landa se tu lo fai partecipare a un Giro di Francia come ha fatto l’anno scorso, e dici: tu fai il gregario, va più forte che non a fare il capitano, ci scommetti?”. 

- E il viceversa no… 

“Ci scommetti che lui a fare il capitano rende di meno che non a far la seconda punta?”. 

- Su questo sono super d’accordo con te ma il mio parere conta zero. 

“No, ma è la mia…”. 

- Non abbiamo avuto la controprova sin qui. Quest’anno vediamo. 

“Però abbiamo visto che è venuto al Giro d’Italia, non so perché, problemi, l’ho allenava Michele Bartoli, è stato male, il primo anno il Giro d’Italia è andato come è andato. L’anno scorso ha fatto il Tour e s’è comportato in una maniera che chiunque vorrebbe un ultimo uomo di quel genere lì. e ricordati cosa ha fatto con l’Astana. Non era il capitano ma ha fatto cose stratosferiche. Guarda caso, due episodi – Tour dell’anno scorso e Astana – che non era capitano. Meno pressione, più resa. Voglio vederlo quest’anno se va al Giro d’Italia, o al tour o alla Vuelta come capitano, non lo so… Non lo come reagisce. Perché guarda che caratterialmente poi un campione lo vedi… è lì la differenza, il motore è buono, ma quando arriva troppa pressione uno salta. Froome gli puoi dare tutta la pressione che vuoi, lui è di ghiaccio”. 

- Anche Nibali. 

“Minchia, Nibali… Prima di partire…”. 

- ...dorme. 

“Sì. Alberto, hai visto quel filmino qua come è bello? Sì, è la sua maniera per il Lombardia eh. Vincenzo, tre secondi, chiude la firma, ti faccio vedere ancora ’sto filmino qua. Vincenzo, chiude la firma. Ah sì va bene, allora lo riguardiamo stasera [sorride, nda] Ma sono così, capito? I campioni sono così. Cioè è gente che si mette lì in macchina o in pullman dopo la corsa, uno-due-tre, pum! Dorme. Marco, prima della tappa della Vuelta, ti ho mandato una foto e t’ho detto: guarda lo stress di Vincenzo. Rilassato, dormiva. La sera gli ho detto: hai visto che… e ti ho scritto: “Chi l’ammazza questo?”. Dopo la corsa ho detto: lui li ha ammazzati. È la differenza è questa qua...”. 

- Una cosa che non posso non chiederti, perché tu hai attraversato… parlavamo del ciclismo di trent’anni fa, ci sei stato dentro da corridore dopo la lunga esperienza da direttore sportivo, quindi ne hai viste di generazioni… 

“Certo”. 

- Allora c’è Herrera che a un certo punto li chiamava i culoni, vedeva gente che pesava una volta e mezzo lui e li vedeva volare in salita, e prima magari li staccava… 

“Certo”. 

- Tu hai avuto questa sensazione in gruppo, che cosa provavi… 

“Sì, sì. Sì, rabbia. E anch’io ho pensato di poter smettere, in quel periodo lì”. 

- E tra questi c’era anche il secondo Roche, perché se tu ti ricordi il primo Roche era un certo tipo di corridore, il secondo – che in Irlanda ha avuto un sacco di problemi per questo, i tre pseudonimi nel processo di Ferrara eccetera – tu hai visto queste trasformazioni? Al di là dei singoli, eh. 

“Sì, sì… Però mi viene… che qualcosa che non andava è la storia che sta parlando, però voglio dire questa è la storia dello sport. Questa è la storia dello sport. È una pentola che hanno scoperchiato e che comunque ha toccato tutto lo sport, non solo il ciclismo, senza andar a prendere le discipline, dall’atletica allo sci a… Ha preso tutto lo sport, per cui chi ne ha beneficiato, è stato tutto lo sport e in tutto lo sport c’era anche il ciclismo. E qualcuno per qualche stagione, non per tutta la carriera, e invece di andare come la Osella 2000 andava come la Ferrari. [tira un sospirone, nda] Questa è la storia. Però per fortuna quella è stata una parentesi, adesso lo sport – il ciclismo in particolare – si è dato una pulizia veramente incredibile. Nonostante le medie non lo dicano, però il ciclismo rimane lo sport più controllato di tutti”. 

- Ti chiedo una chiusura per tornare al mostro tema. Ti chiedo se fu tradimento, se possiamo parlare di tradimento a Sappada o se fu semplice – come la chiamano gli anglosassoni – una business choice, una scelta di corsa. E poi, nel caso o nell’altro, ti chiedo la tua scelta di campo: da che parte stai, Stephen o Roberto? 

“Fu tradimento. Con il cuore sto con Visentini, poi alla fine però devo dire che Roche alla fine ha avuto ragione perché quell’anno lì probabilmente anche senza quell’episodio avrebbe vinto il Giro d’Italia. Secondo me. Se non l’avrebbe vinto lì, l’avrebbe vinto a Pila. Con l’arrivo in salita. L’avrebbe vinto a… non so a Chiesa Valmalenco, ah no, scusa…”. 

- O anche la crono dell’ultimo giorno, a Saint-Vincent. È lì che ha messo il suggello, no? 

“Anche la crono… credo di sì. Ti ripeto: col cuore sto totalmente con il personaggio Visentini che ancora abbiamo passato in gruppo fianco a fianco delle giornate magnifiche ridendo scherzando e vedendo un campione straordinario. Per i risultati poi hanno parlato per Roche”. 

- Che cosa ti piacerebbe trovare in questo libro con trent’anni di distanza? E magari finalmente veder raccontato qualcosa del ciclismo che tu sai da addetto ai lavori che però magari i media non raccontano o per incapacità o magari perché non interessa. Che cosa ti piacerebbe trovare: oh, finalmente ho letto questo. Ci hanno messo trent’anni ma l’han capita. 

“Mah, ci sono… puoi parlare di episodi, puoi parlare di situazioni. Il ciclismo ti può far scrivere cento libri, non uno, no? E probabilmente cogliere tutto o pensare di aspettarmi qualcosa di particolare del ciclismo dovremmo raccontarci un sacco di serate, un sacco di aneddoti e magari non basterebbe. Ci sono tante sfumature belle, ricordi di fatiche, di vittorie, di sconfitte – molte di più le sconfitte che non le vittorie – però è stata veramente un bel viaggio di vita nel ciclismo”. 

- Perché secondo te ancora parliamo, oltre trent’anni dopo, di "Sappada"? Perché il ciclismo, in fondo, è la storia… 

“Il ciclismo è sempre stato... Comunque, anche stigmatizzando questo episodio qua, ma anche senza stigmatizzare questo, è sempre stato uno sport in cui, comunque, il tradimento - anche in seno alla squadra - succedeva spesso. Ma succede anche negli altri sport, magari non sono sotto la lente d’ingrandimento come lo è il ciclismo. O i tradimenti nel ciclismo, le parole date e rimangiate… A memoria, dai tempi di Coppi o da che è nata la bicicletta, credo che sia sempre esistito. Questo è stato un episodio eclatante perché probabilmente nell’èra moderna, con la televisione, con… mai mi viene in mente ai tempi di Coppi, di Bartali, quando uno forava veniva piantato là e veniva tradito e non veniva aspettato. Altro che Dumoulin che quest’anno che s’è fermato sotto lo Stelvio. Per cui è veramente una scuola di vita dove ti devi aspettare di tutto, dal libro Cuore al tradimento il giorno dopo”. 

CHRISTIAN GIORDANO

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