MAESTRI DI CALCIO - Shankly, la Kop sei tu




«Some people believe football is a matter of life and death,
I am very disappointed with that attitude. 
I can assure you it is much, much more important than that.»

«If you are first you are first. If you are second you are nothing.»

«Liverpool was made for me, and I was made for Liverpool.»

di CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo

Non c’è niente da fare. Impossibile parlare di lui senza riportare (magari incompleta) la più citata delle sue celebri massime: «Certa gente crede che il calcio sia questione di vita o di morte. Questa mentalità mi delude. Vi posso assicurare che [il calcio] è molto più importante». Nella frase c’è parecchio di Shankly, il primo grande manager del Liverpool e l’uomo che è riuscito a fare di un piccolo club di seconda divisione un «bastione di invincibilità». 

William (Bill) Shankly nasce il 2 settembre 1913 nel villaggio minerario di Glenbuck, Ayrshire (Scozia sud-occidentale), all’epoca settecento anime che se non ci fossero nate mai vi si sarebbero avventurate. Il football, il penultimo dei dieci figli di John e di Barbara Gray Blyth, ce l’ha nel sangue. Da parte di madre. Lo zio Robert aveva giocato con i Glasgow Rangers e poi nel Portsmouth, del quale sarebbe divenuto presidente. Un altro zio, William, aveva militato nel Preston North End e in seguito nel Carlisle, dove sarebbe diventato club director.

Nessuna sorpresa quindi se i 5 figli maschi di casa Shankly (Alec, Jimmy, John Jr., Bob e Bill, nati in singolare alternanza con le femmine Netta, Elizabeth, Isabel, Barbara e Jean) sarebbero diventati calciatori. Il più bravo è Bill, che nel 1932 firma con il Carlisle United e, l’anno successivo, per 500 sterline, approda a Deepdale, casa del Preston North End (II divisione) con il quale conquista subito il secondo posto e la promozione, poi due finali consecutive di Coppa d’Inghilterra: 1-3 dal Sunderland e 1-0 all’Huddersfield Town. Come accaduto al primogenito Alec e, in misura minore a Bob, anche la promettente carriera di Bill, già 5 volte nazionale, viene interrotta da una Guerra Mondiale, nella fattispecie la Seconda (durante la quale colleziona 7 delle cosiddette wartime international caps, le amichevoli del periodo bellico). 

Quando, nella stagione ’46-47, il calcio professionistico britannico riparte, Shankly ha 33 anni e la sua parabola agonistica è prossima al tramonto. Un duro colpo per uno come Bill che, secondo Tom Finney, suo celebre compagno al PNE, «davvero non conosceva il significato del termine “sconfitta”». Shankly però non è tipo da darsi per vinto e allora “decide” di diventare il migliore allenatore di tutti i tempi. Non ci riuscirà, se non altro per l’oggettiva impossibilità di stilare simili giudizi di merito, ma di sicuro scriverà la storia.

Quando si siede sulla panchina del Liverpool, dal primo dicembre ’59, allena già da un decennio, ma senza particolare successo. La sua seconda carriera era iniziata al Carlisle United, club nel quale, 17 anni addietro, da calciatore, aveva cominciato la prima. Dopo aver guidato Grimsby e Workington arriva all’Huddersfield, dove fa debuttare il 16enne Denis Law. A parte l’ultima sono esperienze deludenti per Bill, che aveva lasciato Brunton Park e Blundell Park sbattendo la porta e denunciando la mancanza di impegno finanziario dei dirigenti e sentendosi esasperato da gente che sentiva meno coinvolta di lui. Intanto, sette anni dopo il titolo ’47 e tre dopo aver sfiorato la sua prima FA Cup (nel ’50 l’Arsenal di capitan Joe Mercer vinse 2-0 con doppietta di Lewis), il Liverpool retrocede in seconda divisione. è il ’54, e ci vorranno otto anni perché il non ancora glorioso club dei Reds torni in auge. 

L’uomo del destino è, ovvio, quel giovane manager che si sta mettendo in luce all’Huddersfield. Il presidente del Liverpool, Thomas Valentine Williams, e il dg Harry Latham lo contattano quando la sua squadra sta giocando contro il Cardiff. «Ti piacerebbe guidare il miglior club d’Inghilterra?» gli chiedono. Shankly, fingendo stupore, replica: «Perché, Matt Busby ha forse deciso di lasciare il Manchester United?». Sembra fatta, ma all’ultimo momento altri dirigenti spingono per un nome più altisonante e così, nel ’56, come successore di Don Welsh viene scelto l’ex capitano Phil Taylor. Non funzionerà: il suo sarà l’unico Liverpool mai presente in prima divisione e così, tre anni dopo, Williams può far firmare il suo vecchio pallino. 

Quella di Anfield è per “Shank” una sfida enorme quindi affascinante. Per rifondare la squadra comincia dall’attacco investendo 60.000 sterline per prelevare il centravanti Ian St John (Motherwell) e il centromediano Ron Yeats (Dundee United). A costo zero trova invece il portiere, Tommy Lawrence, reclutato dalla formazione riserve. Nel primo anno con “Shank” al timone, i Reds segnano 90 gol e arrivano terzi. Nel 1961-62 vincono la Second Division e la promozione viene festeggiata con due nuovi arrivi sull’out sinistro: l’interno Willie Stevenson (per 27.000 sterline dai Rangers) e, l’anno dopo, dal Preston North End, per la cifra-record di 40.000 sterline, l’ala Peter Thompson. Nel ’65-66, trascinato dai 30 gol di Hunt, il Liverpool, è campione d’Inghilterra con soli 14 giocatori, due dei quali in campo per una manciata di partite.

E in Coppa delle Coppe, cui partecipano per aver vinto la FA Cup (2-1 ai supplementri al Leeds United), si arrende solo a 11’ dai rigori, 2-1 contro il Borussia Dortmund. La stagione successiva debutta in Coppa dei Campioni, corsa finita con la storica rimonta interista di San Siro (3-1 Reds ad Anfield, 0-3 al ritorno) ma anche della prima FA Cup del club: 2-1 ai supplementari al Leeds United (Hunt e St John replicano al gol di Bremner) di fronte ai 100 mila di Wembley.

Dopo la prima vittoria in F.A. Cup (1965), il Liverpool esporta in Europa il suo stile di gioco pratico ed essenziale fatto di fitti passaggi che suscitano presto l’invidia degli osservatori. In mezzo a tutto questo, spicca la dominante figura di Shankly, gran mogol di Anfield e ormai un tutt’uno con la Kop, la celeberrima curva di estrazione popolare e da sempre il cuore pulsante della tifoseria, che in quel condottiero figlio della working class vede se stessa.

Il declino dello squadrone degli anni 60 vede la nascita del secondo grande Liverpool di Shankly. Partiti Hunt, St John, Yeats e Lawrence e arrivati Keegan (per 33.000 sterline), Heighway, Lloyd e il portiere Clemence, comincia un nuovo ciclo di vittorie, di cui però il Grande Oratore - soprannome dovuto alle eccezionali doti di motivatore e alla massime elargite in quantità industriali - sarà protagonista parziale.

Nel 1973 il successo in campionato fa pandant con il primo alloro europeo (la cui conquista, per il boss, era diventata un’ossessione), la Coppa Uefa, stavolta superando l’altro Borussia, il Mönchengladbach: 3-0 Reds all’andata (due gol di Keegan e uno di Lloyd), 2-0 tedesco (doppietta di Heynckes) al Bökelbergstadion. L’anno successivo, la FA cup ritorna ad Anfield: 3-0 al Newcastle United. Nessuno lo sa, ma per Shankly è il canto del cigno, perché due mesi dopo, in luglio, come un fulmine a ciel sereno, arrivano le sue dimissioni-choc.

A quasi 61 anni, Bill sente che è ora di dedicare più tempo alla sua famiglia, la moglie Ness (Nessie), che non sta bene, e la figlia Jean. Per Shankly, che senza calcio non sa stare, comincia il difficile. Si aggira pateticamente ad Anfield, dove tutti continuano a chiamarlo “boss”. I dirigenti, timorosi che la sua figura tolga credibilità tecnica al successore che egli stesso aveva individuato, Bob Paisley, arriva a vietargli l’ingresso.

L’Uomo tranquillo, come Paisley sarebbe passato alla storia, non aveva quel carsima, ma conosceva il gioco ed era un ottimo “gestore” e con lui il Liverpool, seguendo il solco tracciato da Shankly, vinse ancora di più. Mentre Shankly prova a rientrare nel calcio dalla porta di servizio collaborando nelle giovanili dell’Everton, ma i ruoli defilati non gli si confanno. 

Il 29 settembre ’81 un infarto si porta via il corpo, non lo spirito di un nome ancora oggi presente, ad Anfield, nei cuori e nei cori della Kop e negli Shankly Gates, sui cancelli in ferro situati all’angolo fra la Main Stand e la Anfield Road Stand, svelati dalla vedova Nessie, deceduta nel 2002. E soprattutto su un piccolo, grande luogo di culto pagano che ne testimonia la grandezza ben più delle innumerevoli e colorite “uscite” sul suo modo

, duro e leale, di intendere il calcio e la vita, che per lui sono sempre state la stessa cosa: «il primo è primo, il secondo è niente»; «se giocassi contro mia moglie magari le romperei una gamba, ma non la tradirei (doppio senso, ndr) mai»; «gli arbitri conoscono il regolamento, ma non il gioco». È la sua statua in bronzo, realizzata da Tom Murphy e posta nel ’98, che lo ritrae nell’immagine che lo ha reso immortale: con la sciarpa sociale al collo, a braccia aperte tese a salutare i kopites, che lo adoravano, ricambiati. Avvicinandovisi, si legge una frase che non lascia indifferenti: «He Made The People Happy», ha reso felice la gente. Ancora una volta il Boss aveva visto giusto: «il calcio non è solo questione di vita o di morte: è molto più importante».
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


SUO IL PRIMO LIVERPOOL EUROPEO
Neanche a dirlo, il primo successo continentale dei Reds ha la firma di Bill Shankly. Nel 1972-73 il Liverpool conquista la Coppa Uefa schierando una squadra tosta e compatta, con un forte tasso atletico che permette ai giocatori potenza e mobilità e impreziosita in attacco dal fuoriclasse Kevin Keegan.

In porta, la garanzia Ray Clemence. Quattro difensori in linea, Chris Lawler e Alec Lindsay esterni e Tommy Smith e Larry Lloyd coppia centrale imbattibile nel gioco aereo e pronta a rovesciarsi in avanti nei calci piazzati. A centrocampo, “Crazy Horse” Emlyn Hughes assicura copertura e percussioni, Peter Cormack (segnalato da Bob Shankly) detta i tempi. In attacco, la classe delle ali, “King” Kevin a destra e Ian Callaghan, anello di congiunzione tra i due cicli, a fare da pendolo a sinistra, fornisce rifornimenti agli avanti, l’intelligente e dinamico centravanti gallese John Toshack e la seconda punta Steve Heighway.

L’ossatura della squadra è la stessa che Bob Paisley, altro gran conoscitore del gioco, guiderà alla vittoria nella Coppa dei Campioni 1976-77. Neal e Jones sono i nuovi terzini, l’ingresso di Ray Kennedy in mediana al posto di Cormack fa retrocedere Hughes a regista difensivo e libera spazio al duo Case-McDermott. Ne consegue un modulo a una punta (Heighway) ma più prudente solo sulla carta. Il telaio e la mentalità restano quelli, “vincenti”, imposti da Shankly e mantenuti fino al breve interregno (1983-85) di Joe Fagan, altro suo storico assistente. Dall’innovatore ai conservatori. (chgiord)


La scheda di BILL SHANKLY
Nato: 2 settembre 1913, Glenbuck, Ayreshire (Scozia); deceduto a Liverpool (Inghilterra) il 29 settembre 1981 
Ruolo: mediano/mezzala destra 
Club da giocatore: Carlisle United (III Division North, 1932-33), Preston North End (II Division, 1933-48) 
Presenze (reti) in campionato: 16 (-) al Carlisle Utd, 297 (13) al PNE 
Palmarès da giocatore: 1 promozione in First Division (1933-34), 1 FA Cup (1937-38), Northern Regional League (1940-41), 1 Coppa di Lega (1940-41) 
Esordio in Nazionale: Wembley (Londra), 9 aprile 1938, Inghilterra-Scozia 0-1 (British Championship) 
Ultima gara in Nazionale: Hampden Park (Glasgow), 15 aprile 1939, Scozia-Inghilterra 1-2 
Presenze (reti) in Nazionale: 5 (0) 
Club da allenatore: Carlisle United (1949-51), Grimsby (1951-54), Workington (gennaio 1954 - novembre 1955), Huddersfield Town (coach, dicembre 1955 - novembre 1956; manager novembre 1956 - dicembre 1959), Liverpool (dicembre 1959 - luglio 1974) 
Palmarès da allenatore: campionato Division Two (1961-62), 3 campionati inglesi (1963-64, 1965-66, 1972-73), 2 FA Cup (1964-65, 1973-74), 1 Coppa UEFA (1972-73), 3 Charity Shield (1964 e 1965 ex aequo; 1966)


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