L’ultima crociata di re Diego
(Christian Dellavedova)
25 novembre 2020
Il 25 novembre 2020 Diego Armando Maradona è morto nella sua casa di Tigre, alla periferia di Buenos Aires. Aveva da poco compiuto 60 anni. Questo articolo è uscito sul numero 1355 di Internazionale.
Fondamentalmente questa è una storia crepuscolare: un vecchio idolo del calcio soccorre una squadra modesta e quasi destinata alla retrocessione. Ma chi ha letto il titolo avrà già capito che le cose non sono così semplici. Non lo sono mai quando si parla di Diego Armando Maradona. E neanche quando si parla del Gimnasia y Esgrima, la squadra di calcio più antica d’America, con una storia che trabocca di leggende e una vetrina con pochi trofei. Forse è nello stadio El Bosque, che lega Maradona e il Gimnasia, che si nasconde uno di quei nervi segreti che fanno dell’Argentina l’Argentina. Nel bene, nel male e nel peggio.
“Sono cresciuto in un quartiere povero di Buenos Aires. Un quartiere senza acqua, senza luce e senza telefono”.
Appena s’insedia alla presidenza della repubblica, il 10 dicembre 2019, il peronista Alberto Fernández invita Diego Armando Maradona. Quella foto gli fa comodo. Lui sarà presidente per qualche anno, Maradona sarà re per sempre. Ormai nessuno lo mette più in dubbio. Nonostante la droga, la violenza contro le sue donne, i figli illegittimi, le innumerevoli follie che hanno segnato la sua esistenza, l’uomo di Villa Fiorito è circondato da un’aura riconoscibile da qualsiasi argentino. Se lo spirito di questo Paese enorme e ineffabile si riassume in ciò che è popolare, come ha ammesso perfino il raffinato Jorge Luis Borges, Maradona è ciò che è popolare.
Ma Maradona non si presenta subito alla Casa Rosada. Alberto Fernández deve aspettare fino al 26 dicembre. Quel giorno Maradona arriva in giacca, pantaloni corti e scarpe da ginnastica bianche. È accolto con tutti gli onori, e il palazzo presidenziale è blindato. Fernández lo aspetta ai piedi della scala, come per una visita di stato. Il segretario generale della presidenza Miguel Cuberos e l’avvocato Víctor Stinfale sorreggono l’ospite, perché ha difficoltà a camminare. Il ministro del tesoro, Martín Guzmán, esce dal suo studio e corre da Maradona con una maglietta per farsela firmare. Finalmente lui si affaccia al balcone che dà su plaza de Mayo, il famoso balcone di Perón ed Evita, e grida: “Siamo tornati!”. A molti antiperonisti sarà venuto il mal di pancia, ma parliamo di Maradona, la “faccia sporca” di Villa Fiorito, il bambino che è uscito dribblando da uno dei quartieri più poveri dell’area metropolitana di Buenos Aires e che ha spinto il pallone fino alla porta dell’Inghilterra. Bisogna prenderlo così com’è.
“Io amo il Boca, ma il mio cuore ama il tripero”.
Il Club de Gimnasia y Esgrima La Plata, il più antico d’America, fu fondato il 3 giugno 1887, appena cinque anni dopo la nascita della città della Plata, su iniziativa di un gruppo di funzionari e commercianti, persone benestanti e rispettose dell’ordine. Uno di loro era Ramón Lorenzo Falcón, il capo della polizia più sinistro di Buenos Aires, ucciso una prima volta nel 1909 da un anarchico e una seconda volta nel 2018 da una bomba anarchica esplosa sulla sua tomba nel cimitero della Recoleta, tutte cose che danno un’idea della sua fama.
In un primo momento il club restò estraneo al calcio, un gioco che all’epoca stavano cominciando a importare professori e ferroviari britannici. Ma il calcio diventò presto popolare. Nel 1903, il Gimnasia y Esgrima aveva già due squadre. Venticinque anni dopo, era il club dell’immigrazione europea di massa: tipi rozzi, operai, manovali, molti dei quali lavoravano nelle celle frigorifere di carne di Berisso, per questo li chiamano triperos, trippai. Il proletariato della zona preferì il biancoazzurro del Gimnasia al rossobianco dell’altro club di La Plata, l’Estudiantes, e le cose sarebbero rimaste così. Per i triperos, il Gimnasia è la squadra del popolo. Quella che sa soffrire. Quella che non si arrende.
Un destino comune
Non c’è bisogno di dire che Gimnasia ed Estudiantes non vanno per niente d’accordo. L’Estudiantes ha vinto sei volte il campionato argentino; quattro volte la Copa libertadores, la versione sudamericana della Champions League europea; una volta la Coppa Intercontinentale, che vede sfidarsi i vincitori di Champions e Libertadores. Il Gimnasia vinse il suo ultimo campionato nel 1929 e la coppa Centenario nel 1994, l’unico anno in cui si svolse. La differenza del palmarès non fa che aumentare la disuguaglianza tra gli uni e gli altri.
“Lasciamo stare i titoli, quello che importa è che siamo il club più amato a La Plata, il più popolare, quello che rappresenta meglio la gente”, afferma Mariano Berón, ex dirigente, che oggi coordina l’instancabile tifo tripero.
Forse Maradona e il Gimnasia erano destinati a incontrarsi. Nella memoria dei triperos resta impresso un fatto che all’epoca poteva sembrare banale. Nel 1984, mentre stava passando dal Barcellona al Napoli, Maradona si presentò all’improvviso a una partita del Gimnasia, che giocava contro il Tigre. Quell’anno il Gimnasia tornava a giocare nella Primera división, la massima serie argentina. A Maradona mancavano ancora due anni per salire in cielo con i Mondiali in Messico. Comunque, Maradona andò allo stadio El Bosque. Neanche lui ricorda perché. Al Gimnasia non lo dimenticarono.
“Il grande capitano sono io”.
Nell’agosto del 2019, Diego Armando Maradona è un uomo spezzato. Ha abbandonato alcol e cocaina, ma è convalescente da un’operazione al ginocchio destro (gli hanno messo una rotula artificiale), soffre di una grave forma di artrosi, si trascina una vecchia lesione alla spalla, ha il cuore debole e la pressione alle stelle. È un uomo di 58 anni che è stato sul punto di morire almeno due volte e che ha abusato molto del suo corpo. I medici gli prescrivono riposo assoluto fino a ottobre.
Maradona è stato un genio in campo e poi è diventato una star della televisione argentina, con programmi come La noche del 10 e De zurda. Ma fino a questo momento come allenatore ha avuto una carriera mediocre. Dodici partite e una sola vittoria con il Mandiyú (1994), undici partite e due vittorie con il Racing di Avellaneda (1995), eliminazione ai quarti di finale del Mondiale del 2010 con la nazionale argentina, nessun titolo con l’Al Wasl degli Emirati Arabi Uniti (2011-2012), la promozione alla serie a degli Emirati Arabi Uniti non riuscita con l’Al Fujairah (2017), due finali per la promozione perse con i Dorados del Sinaloa in Messico (2018-2019).
(Christian Dellavedova)
Nonostante l’ordine di riposare e la sua scarsa carriera da tecnico, l’agente Christian Bragarnik propone i servigi di Maradona a diversi club argentini. Ad averne più bisogno è il Gimnasia y Esgrima, ultimo in classifica, ultimo nelle statistiche, quasi spacciato dopo appena cinque giornate. Maradona sceglie il Gimnasia. I dettagli del suo contratto non saranno mai resi pubblici. Certamente non vede i 17 milioni di dollari l’anno che guadagnava negli Emirati Arabi Uniti, neanche da lontano. Riceve uno stipendio variabile, in base ai ricavi che garantirà alla società. “Maradona si ripaga da solo”, dice Mauro Coronato, ex vicepresidente del club che ha partecipato alle trattative per il suo ingaggio. In effetti in tre giorni il numero di abbonati passa da 30mila a 33mila; gli sponsor bussano alla porta; le magliette con la scritta Maradona e il numero 10 si vendono a migliaia (a quasi cinquanta dollari l’una); il modesto Gimnasia y Esgrima della Plata è citato da tutti i mezzi di comunicazione del mondo.
“Non ho paura che mi cada la corona”.
Maradona fa la sua prima partita da allenatore del Gimnasia y Esgrima domenica 15 settembre davanti a una delle sue vecchie squadre, il Racing di Avellaneda. È il delirio. Nel piccolo stadio El Bosque, ufficialmente chiamato Juan Carmelo Zerillo (farmacista e presidente del club un secolo fa) non entrerebbe neanche un tifoso in più. L’impianto è stato costruito nel 1924, ha un’aria modernista e include anche una piscina semiolimpionica, campi da tennis e sala da pugilato. Le gradinate, montate su una struttura metallica, accolgono fino a 25mila persone. El Bosque, con il suo giardino e gli alberi all’esterno, quando è vuoto sembra quasi bucolico. Il 15 settembre 2019 è una pentola a pressione. Ci sono le televisioni di tutto il mondo. Anche i dirigenti dell’Estudiantes, il grande rivale, si sentono in dovere di mandare una delegazione per rendere omaggio all’idolo.
Il Gimnasia perde 1-2. Ma l’entusiasmo non si smorza. Quel giorno, la squadra scopre cosa vuol dire avere a che fare con Maradona e la sua corte. “Attorno a lui si muove sempre una folla”, spiega il giornalista Facundo Aché, che da 28 anni segue il Gimnasia y Esgrima. La dirigenza istruisce i tifosi: non devono avvicinarsi a Maradona, non devono toccarlo, non devono dargli fastidio. Viene fabbricata una mascotte gigante con le fattezze di Maradona (riuscitissima) all’interno della quale, durante le partite, suda Gustavo, che fa parte del club dei tifosi che porta il nome dell’allenatore. Il pupazzo di Maradona è il protagonista dei momenti di animazione insieme alla mascotte tradizionale della squadra, un lupo (perché il club vive nel bosco, El Bosque), che resta però sul lato opposto della panchina: non bisogna infastidire il re.
Né io né quasi nessun altro giornalista possiamo parlare con Maradona. “Bisogna superare molti filtri per arrivare a lui, poi dipende dal suo umore”, ammette un dirigente. L’allenatore non lavora tutti i giorni. Di solito la sua settimana va dal mercoledì alla domenica. È il suo vice, Sebastián Gallego Méndez, a occuparsi della gestione quotidiana. Quando Maradona si presenta a un allenamento, i giornalisti se ne devono andare. “Da quando è arrivato ci ha permesso di vedere solo un allenamento, e non abbiamo avuto nessun contatto con lui”, spiega Aché. Maradona vive ancora a Bella Vista, una lussuosa zona residenziale a nordovest di Buenos Aires, e ogni giorno fa duecento chilometri all’andata e duecento chilometri al ritorno per andare a El Bosque. Sembra che stia finalmente per affittare una residenza a Campos de Roca, un complesso residenziale sorvegliato vicino a La Plata.
A dicembre, tre mesi dopo il suo arrivo, Maradona mostra chi comanda. Ci sono le elezioni per la presidenza del club e Gabriel Pellegrino, l’uomo che dirige il Gimnasia dal 2016, rinuncia a ripresentarsi: la squadra è in una pessima situazione finanziaria e resta inchiodata in fondo alla classifica. Maradona, però, decide che Pellegrino, il presidente che l’ha ingaggiato, deve restare. “Se resta Pellegrino, resta Maradona”, dice. I tifosi entrano nel panico davanti al rischio che il loro idolo li abbandoni. Pellegrino si presenta all’ultimo momento e stravince.
“Da qui mi dovranno portare via con la forza”.
Maradona ha i suoi impegni personali e politici. Il 22 gennaio, quando il calcio argentino sta per ripartire dopo la pausa estiva natalizia, l’idolo zoppicante va a Caracas a salutare Nicolás Maduro e a esprimergli il suo “sostegno politico”. “Il Venezuela è un esempio di dignità per tutti”, proclama.
Al suo rientro, la tournée trionfale prosegue: ogni campo che il Gimnasia visita rende omaggio al re con targhe commemorative, ovazioni e cori. Al Marcelo Bielsa, lo stadio dei Newell’s Old Boys (dove Maradona giocò per un breve periodo nel 1993), lo fanno sedere su un trono. Anche nello stadio del Bosque ha a disposizione un trono con le sue iniziali. La gloria del mister non ha grandi effetti sulla squadra, che resta in fondo alle statistiche che sommano i risultati di varie stagioni e decidono chi retrocede.
I tifosi del Gimnasia non si lasciano scoraggiare. Questa tifoseria è chiamata “la 22” perché ha avuto come capo spirituale Gustavo Amuchástegui, per tutti il Loco Fierro, ucciso dai colpi di pistola della polizia di Rosario nel 1991. Il loco (matto) nelle carte dei tarocchi è associato al numero 22. La 22 è stata protagonista di eventi tellurici (il 5 aprile 1992, un gol contro l’Estudiantes è stato festeggiato con un’intensità tale che l’osservatorio dell’università della Plata ha registrato un lieve movimento sismico), imprese discutibili (nel 2013 ha celebrato la promozione bruciando una bandiera lunga cento metri rubata ai rivali dell’Estudiantes) e innumerevoli risse di strada. Per il club dei tifosi di Maradona ogni partita comincia presto, con un asado, il tipico arrosto argentino, su un terreno a Los Hornos, un quartiere popolare della Plata, annaffiato da abbondante alcol; le strade sono chiuse e gli autobus deviano il loro percorso. “Arriviamo a El Bosque già caldi”, spiega Nano Oliver, capo del club di tifosi. “A volte facciamo cose che non dovremmo fare, ma fa tutto parte del folclore del calcio”, dice scusandosi.
Nell’intervallo della partita si canta l’inno nazionale: “Siano eterni gli allori che riuscimmo a conquistar”. Ogni occasione è buona per rivendicare la sovranità argentina sulle isole Malvine (isole Falkland). Per Oliver, il Gimnasia è indiscutibilmente un’istituzione “molto nazionalista” e questo “piace a Maradona”.
L’armonia immune alle sconfitte sembra venire meno il 16 febbraio, quando la squadra sfida il Rosario Central nel suo stadio, il Gigante. Maradona ha giocato nel Newell’s, rivale cittadino del Central, per cui la tifoseria di casa si mostra ostile nei suoi confronti. Per la prima volta, anziché ricevere omaggi, il mister è accolto da fischi e grida di disapprovazione. E il Gimnasia perde di nuovo, 1-0. Il re si altera: “Ho voglia di piangere, ma non piango”, dice. “Ho parlato con le mie figlie perché sono preoccupate, hanno paura che m’impicchi. Non m’impiccherò, tranquilli”. E subito dopo lancia un’inattesa sfida al presidente del club, l’uomo che l’ha ingaggiato e che è stato rieletto grazie al suo aiuto: “Nessuno abbandona la nave, io sono il capitano e vengono tutti con me. Sarà meglio che al presidente del Gimnasia non salti in mente di cacciarmi, perché sarò io a cacciare lui per primo. Voglio rinnovare, voglio stare con i miei ragazzi”.
Ma la vita prosegue. Con il campionato argentino sospeso per il covid-19, il Gimnasia resta nelle parti basse della classifica e rischia di retrocedere. Maradona mantiene la sua gloria. Il giornalista Andrés Burgo, autore insieme ad Alejandro Wall del libro El último Maradona, dà una definizione pragmatica, potenzialmente estendibile a tutto il paese, della simbiosi tra il Gimnasia e il suo mister: “Si uniscono una squadra in agonia e l’immagine in agonia di Maradona, una squadra in retrocessione e un allenatore che ha difficoltà a camminare”. La prospettiva dal Gimnasia è diversa: “Si è creato un grande legame sentimentale tra il Gimnasia e Maradona. Qualsiasi cosa succeda, la tifoseria gli sarà sempre grata”, dice Facundo Aché.
Sul terreno di Los Hornos un gruppo di triperos, lattina di birra in mano, lo spiega con altre parole: “Non importa se perdiamo, non importa se retrocediamo, ma avete capito che con Maradona entriamo nella storia?”.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
Questo articolo è uscito sul numero 1355 di Internazionale. Era stato pubblicato sul supplemento domenicale di El País.
Commenti
Posta un commento