Tanos
di FILIPPO FIORINI E PAOLO GALASSI
Pangea News – America Latina Quotidiana
Argentina: un club nomade e battagliero abituato alle serie inferiori, eredità dei tanos partiti per trovare l’America e rimasti su quella sponda d’oceano tra echi di tango e bottiglie di vermouth.
Buenos Aires, Ciudad Evita, dipartimento di La Matanza, zona ovest del Conurbano Bonaerense, l’infinita periferia che circonda Buenos Aires schiacciandola contro il Rio de la Plata.
Dal 10 ottobre 2005 lo stadio Republica de Italia è la casa definitiva dello Sportivo Italiano. Club della quarta divisione argentina, è nato negli anni '50 da un torneo amatoriale per emigrati sponsorizzato dal liquore più bevuto di queste latitudini: la fantomatica, eppure verissima, Coppa Fernet Branca.
Le origini: parlare con piedi
Secondo la tradizione iniziata con gli esuli mazziniani a metà '800 e proseguita ciclicamente per quasi un secolo, tra il 1946 e il 1950 tre quarti degli emigranti italiani che fanno rotta verso le Americhe sbarcano a Buenos Aires: nell’emisfero australe esiste un’altra Italia, variegata e frammentata come l’originale.
Il 9 maggio 1949, l’antifascista genovese Ettore Rossi, emigrato nel ’30, fonda il Corriere degli Italiani, settimanale orientato al superamento del conflitto tra fascisti e antifascisti.
In Argentina questo scontro si inasprirà proprio nel secondo dopoguerra con l’approdo di una folta schiera di transfughi repubblichini, presto assorbiti dall’apparato statale di Juan Domingo Perón che tanto aveva attinto da Mussolini.
Conflitti ideologici, identitari e generazionali complicano il processo di integrazione, sia all’interno della comunità italiana sia nel contesto adottivo, a sua volta attraversato da forti tensioni sociali e politiche mai del tutto risolte.
Urge una lingua semplice e comune capace di coniugare vecchie e nuove tendenze, un rituale che col senno di poi potremmo definire primitivo — in quanto obbliga la maggior parte dei partecipanti a usare i cari vecchi arti inferiori a scapito delle mani — e felice, perché ludico. In una parola, il pallone.
Un giornale, un pallone e un Fernet
Ettore Rossi invita i rappresentanti delle associazioni italiane di Buenos Aires alla redazione di via Lavalle 1400 per discutere la creazione del primo “Campionato degli Italiani sotto la Croce del Sud”, il cui atto fondativo sarà l’1 a 1 tra le improvvisate "Juventus" e "Liguria", in maglia rossoblù.
Con lo sponsor dei Fratelli Branca, ignari del successo che avrà il loro amaro d’erbe stia per diventare il liquore più bevuto d’Argentina, tra il 1950 e il ’55 la Coppa Fernet Branca vive un vertiginoso crescendo di pubblico e squadre di diversa matrice.
I colletti bianchi del Banco de Italia y Rio de la Plata scelgono il motto unitario Pro Patria; agli azzurri del Corriere, di memoria antifascista, si oppongono gli ex camerati della Roma Simbolo; l’orgoglio regionale rivive con i ramarri del Friuli, i veneti della Serenissima, i lucani del Volture, i savonesi del Letimbro, l’Etruria, la Tirrenia, i ciociari dell’Ausonia e i Galletti della Boca, temuta formazione di marinai baresi dal gioco duro, ma spesso assenti per improrogabili impegni di lavoro in alto mare.
Con il tempo, a Triestina, Venezia, Milan, Inter, Spal, Fiorentina e Napoli si aggiungono poi Trevisana, Molfetta e Ambrosiana, dove fa la sua comparsa l’oriundo Attilio Demaria, campione del mondo nel 1934 e capitano dell'Ambrosiana-Inter dal 1940 al ’43. La Valentino Mazzola e la Virgilio Maroso rendono infine omaggio alle leggende del Grande Torino, scomparso nella nebbia di Superga il 4 maggio del '49.
Il sostegno dimostrato a suo tempo dal River Plate di Alfredo Di Stéfano, con un’amichevole di beneficenza giocata a Torino a meno di un mese dalla tragedia, viene ricambiato dai granata con la partecipazione al cinquantenario del club Millonario, il 29 giugno del ’51.
Prima del match ufficiale allo stadio Monumental di Buenos Aires, le riserve del River — tra cui gioca un adolescente Omar Sivori — battono 8 a 2 gli Emigranti Italiani e cioè selezione dei migliori elementi della Coppa Fernet Branca. È l’alba dello Sportivo Italiano, meglio conosciuto come El Tano.
Orgoglio Tano:
dal tacco di Bettega al battesimo di Batigol
Il 7 maggio 1955, nella sede dell’associazione Liber Piemont, nel quartiere porteño di Caballito, i delegati delle squadre della Coppa Fernet Branca fondano l’ACIA, Associazione Calcio Italiano in Argentina.
Mentre il torneo interno prosegue, una selezione dei migliori elementi del campionato comincia a competere nelle serie minori dell’AFA, la Federazione Argentina del fútbol, con il nome di Sportivo Italiano, maglia azzurra e tricolore sul petto.
Tra loro anche il giovane Silvio Marzolini del congiunto Mirafiori-Fiat, futura bandiera del Boca Juniors (1960/72) e della Selección, eletto dalla stampa britannica miglior terzino sinistro del mondiale '66. Come allenatore, nel 1981 farà debuttare Diego Armando Maradona alla Bombonera, nell’unico campionato vinto dal Pelusa con la camiseta xeneize.
Proprio alla Boca, lo Sportivo gioca uno dei match più ricordati della sua storia, il 25 maggio 1978: un’amichevole pre-mundial con la Nazionale di Enzo Bearzot, decisa a 20 minuti dalla fine da un tacco galeotto di Bettega, che il 10 giugno si sarebbe ripetuto contro i padroni di casa.
Sulla panchina locale c’è l’istrionico Elmer Banki, allenatore ungherese sbarcato a Buenos Aires nel ’59 e diventato famoso per stravaganze come invertire gli abbinamenti nome/numero per confondere avversari e stampa e obbligare i propri uomini a lanciare rose al pubblico al momento di scendere in campo.
Affiliato all’AFA nel ’59, lo Sportivo Italiano ottiene la sua prima promozione l’anno seguente, battendo 1-0 Defensores de Almagro in casa dell’Argentinos Juniors, che oltre al campo deve prestare agli azzurri, sprovvisti di divisa alternativa, anche le proprie casacche rosse.
È dal quartiere La Paternal dunque — su quello storico rettangolo delimitato dalle vie García, Boyacá, Gavilán e San Blas, oggi intitolato a Maradona — che comincia la scalata del Tano al calcio argentino. Dalla quarta divisione all’ambita serie A, conquistata nel 1986 sfoggiando una storica divisa adidas con sponsor Alitalia, a spese del blasonato Huracán, alla sua prima retrocessione. Era il 24 giugno, giorno non casuale da queste parti, data di nascita di Fangio, Riquelme, Messi e della morte di Carlos Gardel.
Il legame con il calcio nostrano raggiunge l’apice nel gennaio dell’89, quando le giovanili dello Sportivo partecipano al Torneo di Viareggio. Incassato il niet del Rosario Central per il prestito di un ventenne José Chamot — di lì a un anno sarebbe passato al Pisa — i dirigenti del Tano bussano alla porta del Newell’s, che per l’occasione gli concede un ragazzino biondo e un po’ paffuto. Gordòn, l’avrebbe definito il suo tecnico dell’epoca, Marcelo Bielsa. È il battesimo italiano di Gabriel Omar Batistuta, a secco nell’esordio contro il Milan difeso da Antonioli — nel quale militano anche degli sbarbati Albertini, Pessotto, Porrini e Toldo — ma autore di una tripletta al CSKA Sofia.
Le cronache lo descrivono in lacrime il 1° febbraio 1989, giorno del suo ventesimo compleanno, dopo aver sbagliato il rigore decisivo ai quarti contro il Torino di Benny Carbone. Come ricordo — e forse premonizione — una foto, nella hall dell’Hotel Caribe di Viareggio, abbracciato a Maradona, di passaggio per la semifinale di Coppa Italia, Pisa-Napoli, giocata quella sera.
Coincidenze o segni del destino, due giorni prima, domenica 29 gennaio, i ragazzi erano stati portati in gita all’Artemio Franchi di Firenze, per assistere al 2 a 2 tra Fiorentina e Roma.
L’altro fútbol:
passioni di periferia nella città col volto di donna
Oggi lo Sportivo Italiano milita nella Primera C, la quarta divisione del fútbol argentino, appartenente a quel mare magnum chiamato ascenso — letteralmente 'promozione', 'ascesa' o 'risalita' — in cui rientra tutto ciò che sta al di sotto della Primera División.
Un limbo fatto di spedizioni nelle zone più aspre di Buenos Aires e dintorni, trasferte in Patagonia su campi battuti dal nevischio o nei deserti di pietra del nord, con arbitri che potrebbero dirigere armati come il William Brett Cassidy di Soriano.
Allo stadio Republica de Italia si respira l’aria dei campi di provincia nostrani. Una macchia azzurra al bordo dell’autostrada che collega la capitale con l’aeroporto di Ezeiza, l’immancabile griglia o parrilla, con chorizos e churrascos da mettere in mezzo al pane tra un tempo e l’altro, bambini aggrappati alla rete, tifosi di vecchia data che soffrono in silenzio con il volto paonazzo.
Viene inaugurato nel 2005 al margine di Ciudad Evita, costruita nel 1947 sul modello delle garden-cities inglesi e oggi immersa nell’infinita periferia porteña.
Vista dall’alto, la “città con il volto di donna” regala l’immagine di Eva Duarte detta Evita, prima moglie del generale Perón, con i capelli raccolti e il profilo severo con cui dal balcone della Casa Rosada apriva le braccia alle masse dei poveri e degli “scamiciati”, come usava definirli.
Un’icona popolare invisa all’oligarchia e ai militari, che hanno sempre cercato di cancellarne la memoria. Il suo cadavere imbalsamato, sequestrato e fatto sparire durante il golpe del ’55, troverà pace nella tomba di famiglia solo 20 anni più tardi, con l’inizio dell’ultima dittatura militare.
Se l’inizio del tormento di Evita coincide cronologicamente con la nascita del Tano, l’errare inquieto della sua salma sembra richiamare l’odissea burocratica e giudiziaria vissuta dal club e dalla sua gente per trovare una casa propria, mezzo secolo di battaglie per ottenere un pezzo di terra e un barrio dove affondare finalmente le proprie radici.
Oggi, sul prato di Ciudad Evita, corrono anche tutti quegli sconosciuti, i cui cognomi resistono nei ritagli di giornale dell’epoca, che in un qualche momento degli anni '50 cominciarono a formare squadre in base ai loro dialetti e a calciare un pallone per non dimenticare le proprie origini.
Ringraziamenti
Si ringrazia lo staff dello Sportivo Italiano per la collaborazione e l’ospitalità, Mauro Salvatore e Francisco Muzzupapa per aver condiviso materiali fotografici e memorie del club, Esteban Bekerman di 'Entre Tiempos' per la consulenza storica sul calcio argentino.
PAOLO GALASSI
Si proclama romagnolo pur essendo nato a Trieste e cresciuto in Friuli. Di Forlimpopoli come Pellegrino Artusi e asmatico come Che Guevara, vive a Buenos Aires, dove frequenta bar con pochi giovani e molti vecchi e scrive di fútbol, cucina e miracoli. È redattore dell’agenzia Pangea News – America Latina Quotidiana.
FILIPPO FIORINI
Già skater e rocker calcarese, alle elementari intitola un tema di italiano 'Reagan si droga' e così imbocca la rotta via del giornalismo. Proprietario di una penna d’acciaio cromato e una reflex nera, adora gli esseri umani almeno quanto stenta a credergli. È direttore dell'agenzia Pangea News – America Latina Quotidiana.
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