MAESTRI DI CALCIO - Rappan, reazione a Catenaccio


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di CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo

Buon difensore e poi allenatore di successo, è stato l'inventore del Verrou, modulo che scatenerà miriadi di imitazioni all'insegna del difensivismo più spinto, con e senza licenza di attaccare. In Svizzera, lui austriaco, vinse tutto e da Ct portò gli elvetici a tre Mondiali. Dirigente appassionato e creativo, promosse il torneo estivo per club chiamato inizialmente Coppa Rappan e poi diventato Intertoto 

Harry Lime (Orson Welles) si sbagliava quando, nel film di Carol Reed “Il terzo uomo”, diceva che 500 anni di democrazia e pace in Svizzera non hanno prodotto altro che l’orologio a cucù. Tanto per cominciare l’hanno inventato i tedeschi; in secondo luogo, gli svizzeri hanno vinto più premi Nobel e registrato più brevetti pro-capite di qualsiasi Paese al mondo. Ma se è loro la paternità di müsli, DDT, assicurazioni sulla vita e conti correnti, nel calcio molto di quel che sono (e hanno) lo devono a un austriaco. 

Karl Rappan nasce a Vienna il 26 settembre 1905. Comincia la sua onesta carriera di mediano - che all’epoca di significa terzino - destro di buon fisico (1,76 x 75 kg) e discreta tecnica in squadrette locali quali il Donau SV (1920-22) e lo Strassenbahnen (1922-23). La massima divisione la assaggia in un piccolo club della capitale, il Wacker, nel quale milita dal 1923 al ’28, poi si trasferisce alle due società viennesi più note, l’Austria (1928-29) e il Rapid (1929-30). 

Nel 1927 le sue due presenze in nazionale. L’ex giornalista Hugo Meisl lo fa esordire il 10 aprile, davanti ai 45mila del Prater, nel 6-0 ai “cugini” ungheresi. Rappan lo ripaga segnando al 29’, su assist del più celebre Ferdinand Wessely, il gol del 2-0, prima di uscire, al 61’, per infortunio e lasciare la squadra in dieci. 

Già professionista, e complice la bancarotta dell’istituto bancario viennese Kredit-Anstalt che scuote dalle fondamenta parte dell’economia europea, l’ex impiegato commerciale alla Società generale di sorveglianza si trasferisce nella Ligue Nationale A (LNA), la prima divisione Svizzera. Il 26 aprile 1931 Teddy Duckworth, tecnico inglese del Servette, lo fa debuttare nel derby ginevrino contro l’UGS (Urania Genève Sports): 1-1. 

Karl si cala in fretta nella nuova realtà e già a partire dalla stagione ne assume il controllo, come allenatore-giocatore. Da allora, il calcio non sarà più lo stesso. «Ho ideato il Verrou perché, secondo me, corrispondeva alla mentalità degli svizzeri. Lo svizzero è riflessivo, prudente, nei pensieri e nei gesti. È reticente e non ama assumere rischi. L’ho inventato attorno al ’32 (in altre interviste dirà di aver avuto l’ispirazione l’anno prima, assistendo, da giocatore, alla sconfitta per 4-2 del suo Rapid contro il Grasshopper, ndr). Allenavo il Servette e in squadra, oltre agli svizzeri, avevo giocatori di varie nazionalità: italiani, austriaci, spagnoli. Dovevo trovare un sistema per riunire mentalità tanto diverse. Così nacque quel modulo». Questo - luoghi comuni compresi - il Rappan-pensiero sulla paternità che quasi universalmente gli viene riconosciuta; anche se il tecnico, per ovvi motivi, amava glissare sulla atavica pochezza tecnica delle squadre elvetiche, il motivo principe della rivoluzione tattica prossima ventura. 

Dotato di grande senso pratico, Rappan mette a punto un dispositivo difensivo semplice quanto efficace piazzando un uomo “libero” (da marcature) in linea con i terzini. Il sistema fu presto adottato con qualche correttivo anche in Italia. Con un distinguo ideologico: per Rappan era una questione di sopravvivenza, da noi divenne una forma d’arte. 

Al Servette, l’austriaco applica in prima persona il nuovo Verbo scalando a turno con Marad. Con questo sistema a 4 marcatori fissi (con i centrali che si spostano lateralmente per andare a raddoppiare sull’attaccante avversario), nel ’34 i ginevrini vincono il campionato - il secondo consecutivo - e centrano la finale di Coppa di Svizzera schierando 11 nazionali, gli svizzeri Séchehaye (in porta), Guinchard (convocato anche nel basket: altri tempi), Loichot, Lörtscher, Laube, Passello, Kielholz e Georges Aeby e gli austriaci Rappan, Marad e Tax. 

Travolto dai debiti, il club subisce un drastico ridimensionamento delle ambizioni. Il 30 giugno il presidente della commissione di gestione, Gabriel Bonnet, chiude in attivo il bilancio e annuncia la cessione di Tax al Saint Etienne, avvenuta «a condizioni estremamente favorevoli per il Servette». Perde però Rappan, peraltro reduce da un’infezione polmonare che lo aveva costretto a un delicato intervento chirurgico. L’austriaco, la cui carriera di giocatore sembra compromessa, non accetta la riduzione di 300 franchi dai 1100 che prendeva di stipendio. La campagna di austerità si farà, ma senza di lui. L’anno dopo, ad accoglierlo a braccia aperte c’è il Grasshopper. 

In 13 anni con i zurighesi, arrivano 5 campionati e 7 Coppe nazionali, più la panchina rossocrociata. Con lui Ct - in carica per quattro periodi - la Svizzera raggiunge vette fin lì impensabili, comprese tre partecipazioni mondiali. Già a Francia 1938, Rappan schiera i suoi in modo inedito: dietro i tre marcatori in linea (i mediani Sprinter e Lörtscher ai lati e il terzino sinistro Lehman al centro), agisce in versione “spazzatutto” il terzino destro Severino Minelli. Con questa tattica la piccola Svizzera elimina, negli ottavi, la “grande” Germania fresca di Anschluss hitleriana, nella quale sono confluiti anche i migliori talenti austriaci. «Per me il successo sulla Germania fu dovuto al grande equilibrio della squadra formata da blocchi: 6 giocatori del Grasshopper, 4 del Servette più Amadò del Lugano».

Al Parco dei Prìncipi, il 4 giugno, l’1-1 (gol del tedesco Gauchel e di Abegglen III) resiste pure ai supplementari. Cinque giorni dopo, il Ct teutonico Sepp Herberger cerca di correre ai ripari limitando la presenza “austriaca” a tre elementi, il portiere Raftl, l’interno Strohl e il centravanti Hahnemann, nella speranza che il ritmo e la potenza fisica dei tedeschi riescano a non farsi irretire dalla trappola di Rappan. è una débâcle. La Germania chiude il primo tempo avanti 2-1 (Hahnemann, autorete di Lörtscher), ma poi una doppietta del genio contropiedista Abegglen III firma lo storico 4-2 svizzero. Solo l’Ungheria, 2-0 nei quarti, avrà ragione della ostica truppa assemblata da Rappan. 

Che quella squadra non balli una sola estate lo dimostrano altri successi di assoluto prestigio come, in quello stesso anno, le due vittorie sul Portogallo (2-1 nelle qualificazioni e 1-0 in amichevole); il clamoroso 2-1 (Georges Aeby, Abegglen III) all’Inghilterra nell’amichevole del 21 maggio all’Hardturm Sportplatz di Zurigo; exploit ripetuto nello stesso impianto il 18 maggio ’47 (1-0 dell’ala Jacques “Jacky” Fatton); il 3-1 (Monard e doppietta di G. Aeby) rifilato il 12 novembre 1939, sempre a Zurigo, all’Italia campione del mondo e imbattuta da 30 partite e cinque anni. 

Per non parlare delle imprese a Brasile 50 (storico il 2-2 contro i padroni di casa al Pacaembú di San Paolo, doppietta in contropiede del solito Fatton, che quasi costò l’eliminazione allo squadrone di Flavio Costa) e nel torneo iridato organizzato in patria, in omaggio al cinquantenario della Fifa, quattro anni dopo. Gli elvetici, dopo aver battuto due volte i “cugini” italiani” (2-1 a Losanna e 4-1 nello spareggio di Basilea), si arresero (7-5, punteggio-record per un Mondiale) negli ottavi a quelli austriaci. 

La seconda parte della carriera Rappan la spende tornando al Servette (1948-57) e come direttore tecnico, prima al Losanna (1964-68) e poi di nuovo al Rapid Vienna (1969-70). Che non si tratti di cimiteri per elefanti si capisce dalla bacheca, rimpinguata da 2 Coppe (’49 e ’64) e altrettanti campionati svizzeri (’50 e ’65). Al quoto fanno 20 trofei in oltre 35 anni di carriera, e scusate se è poco.

Lasciato il calcio “attivo”, oltre a godersi la famiglia (una moglie, una figlia e un figlio), promuove un torneo estivo interclub, inizialmente chiamato Coppa Rappan, che dal 1995 è l’attuale Intertoto. A trovare i finanziamenti è l’amico Ernst B. Thommen, ex tesoriere della Federcalcio svizzera nel frattempo divenuto direttore generale della società che gestiva il Totocalcio locale. Thommen nel ’61 divenne vicepresidente FIFA e con Hermann Neuberger, futuro presidente UEFA, ottenne l’appoggio delle società dei concorsi pronostici nazionali (da qui il nome del trofeo) e, in seguito, dell’Euro-Football Pool. Come per incanto, nello stesso anno la competizione ottiene il via libera dell’UEFA. 

Dal ’70 al ’75 Rappan è Dt del Dipartimento tecnico della Association Suisse de Football che finanziariamente tanto lo aveva fatto penare: a lungo, da Ct, l’ASF gli aveva riconosciuto solo il rimborso spese, poi 24000 franchi l’anno e finalmente, dopo Cile ’62, quando un giornalista francese lo definì «il Charles de Gaulle del calcio elvetico», un aumento di 300 franchi mensili più 4000 di gratifica. Pochi, in rapporto ai meriti: «Sono un imbecille, con il calcio non si diventa ricchi». 

Ma è per l’enorme contributo dato da allenatore che il viennese, spentosi a Berna il 2 gennaio 1996, sarà ricordato. «Sul piano del gioco, la Nazionale che nel ’38 eliminò la Germania fu una delle più forti che la Svizzera abbia mai avuto. La gioia che invase il Paese fu qualcosa di straordinario. Non ho mai lavorato con tanto entusiasmo come allora», disse. 

E senza quell’entusiasmo, la Svizzera - anche nel calcio - sarebbe rimasta prigioniera dei luoghi comuni: orologi e cioccolato (arrivato nella Confederazione un secolo dopo che fu importato da spagnoli e portoghesi), Heidi e lo jodler, banche e burocrazie internazionali (anche del pallone: l’Uefa a Nyon, Ginevra, la Fifa a Zurigo) e una popolazione che lo stereotipo vuole bionda, ordinata, pulita e di precisione... svizzera. Sì, Harry Lime si sbagliava. Grazie, Karl. 

CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


DI BANAS IN MEGLIO 
Verrou in francese, riegel in tedesco, cerrojo in spagnolo, door-bolt o chain in inglese. Chiamatelo come volete: è Catenaccio (meglio: chiavistello, per il movimento “scorrevole” dei terzini centrali), e a partire dagli anni 30 ha rivoluzionato il calcio, il modo di intenderlo, giocarlo e giudicarlo. 

Helenio Herrera ne fece la testata d’angolo dell’Inter euromondiale degli anni 60, aiutato da una super difesa che davanti al libero Picchi schierava due marcatori puri (Burgnich e Guarneri) e, a sinistra, Facchetti, il primo fluidificante moderno del nostro calcio. 

Nel Verrou, dal quale il Catenaccio deriva, la difesa è assicurata da due difensori d’ala e due centrali (che si alternano sul centravanti avversario); e protetta da almeno uno dei due centrocampisti, chiamati a fare da raccordo in una sorta di 4-2-4 ante litteram. Una delle migliori interpretazioni la diede la Svizzera a Brasile 1950. 

In Italia, già dagli anni 20 predicava calcio l’ungherese Josef Banas. Ex centromediano metodista di Cremonese, Milan, Venezia e Padova (dove ebbe come allievo il giovane Nereo Rocco), da allenatore riteneva che il WM, importato dall’Inghilterra e in rapida diffusione continentale, fosse destinato a scontrarsi con i colpi di coda del gioco danubiano, ancora troppo radicato. 

Nel contempo aveva intuito che, soprattutto da noi, in attacco si cercava subito di verticalizzare la manovra e quindi serviva rafforzare la retroguardia, magari a scapito del centrocampo. Fu tra i primi a tentare il cosiddetto “mezzo sistema”, una sorta di anticamera del Catenaccio. 

Esigentissimo, specie con gli apprendisti, l’ungherese viene ricordato ancora oggi da chi lo ebbe come maestro. Luigi “Cina” Bonizzoni, futuro tecnico, sotto la supervisione di Gipo Viani, del settimo scudetto milanista (1958-59), raccontava che un giorno, durante una partitella (si era negli anni 30), Banas lo beccò mentre, palla al piede, in mezzo al campo, girava su stesso anziché servire subito un compagno smarcato: Banas lo punì per la «inutile giostra» spedendolo subito negli spogliatoi. Chissà cosa avrebbe detto o fatto, oggi, davanti a certi ghirigori di una star come Zidane o il primo Ibrahimovic. Quello (pre-Capello) che non segnava mai.

Nel 1946-47 Viani allena la Salernitana, squadra sul piano tecnico modesta promossa in A (che abbandonerà l’anno dopo, per un punto) grazie soprattutto al Vianema. In quel modulo un finto centravanti, il marcatore Alberto Piccinini (padre del Sandro telecronista e conduttore Mediaset) che, da mediano, avrebbe poi vinto uno scudetto con la Juventus, controllava il centravanti avversario, permettendo così al difensore centrale, Ivo Buzzegoli, di trasformarsi in battitore libero. 

Resta un mistero se il primo libero del calcio italiano sia stato Buzzegoli e non Blason, che Rocco impiega nello stesso modo nella Triestina, seconda nel ’47, e al Padova, promosso in Serie A nel 1954-55. Un rebus irrisolvibile se si tiene conto del “campionato di guerra” del ’44. Lo vinse, contro il grande Torino, la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia. L'allenatore era l’ex secondo di William Garbutt al Genoa nel ’38, Ottavio Barbieri, che schierò da “ultimo uomo” Wando Persia e fece marcare a uomo Valentino Mazzola. 

Stratagemma, questo, al quale non ricorrevano soltanto le piccole. Anche la Juventus campione d’Italia 1949-50, allenata dall’inglese Jesse Carver, dirottava il mediano Giacomo Mari sul centravanti avversario, trasformando di fatto in libero l’acrobatico centromediano Carletto Parola. Quello della rovesciata in copertina nell'Album delle figurine Panini.

Ma la più famosa interprete del Catenaccio fu un’altra Inter, quella che Alfredo Foni condusse a due scudetti consecutivi (1953 e 1954): Blason dietro la maginot Neri-Giovannini-Giacomazzi, per spazzare la propria area, e la finta ala destra Armano arretrata a centrocampo. La squadra perdeva un attaccante e guadagnava un difensore, ma là davanti Skoglund-Lorenzi-Nyers bastavano e avanzavano. Come premio, Foni fu esonerato. Perché non divertiva. Già vista-letta-sentita? 

(chgiord)


La scheda di KARL RAPPAN
Nato: 26-9-1905, Vienna (Austria); deceduto il 2-1-1996 a Berna (Svizzera) 
Nazionalità: austriaca 
Ruolo: mediano (difensore) 
Club da giocatore: Donau SV (1920-22; 1923-24), Strassenbahnen (1922-23), Wacker Vienna (1924-28), Austria Vienna (1928-29), Rapid Vienna (1929-31), Servette Ginevra (allenatore-giocatore, 1931-34); Grasshopper Zurigo (allenatore-giocatore, 1931-34) 
Palmarès da giocatore: Campionato austriaco (Rapid, 1930), Coppa dell’Europa Centrale/Mitropa (Rapid, 1930) 
Presenze (reti) in Nazionale: 2 (1)
Esordio in nazionale: 10 aprile 1927, Vienna, Austria-Ungheria 6-0 (1 gol) 
Club da allenatore: Servette (allenatore-giocatore, 1931-34), Grasshopper (1935-48), Servette (1948-57) 
Palmarès da allenatore: 8 campionati svizzeri (3 al Servette, 1933, 1934, 1950; 5 al Grasshopper, 1937, 1939, 1942, 1943, 1945), 8 Coppe di Svizzera (Grasshopper, 1937, 1938, 1940, 1941, 1942, 1943, 1946; Servette, 1949) 
Club da Dt: Losanna (1964-68), Rapid Vienna (1969-70) Palmarès da Dt: 1 Coppa di Svizzera (1964); 1 campionato svizzero (Losanna, 1965) 
In nazionale da Ct: Svizzera (1937-38; 1942-49; 1953-54; 1960-64) 
In nazionale da Dt: Dipartimento tecnico della ASF (1970-75) 
Partecipazioni ai Mondiali: 1938, 1954, 1962.


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