Bella, Zio - Bruno Reverberi, una vita nel ciclismo


di CHRISTIAN GIORDANO ©
IN ESCLUSIVA per Rainbow Sports Books ©

Agriturismo Tenuta “Il Cicalino” 
Massa Marittima (Grosseto), lunedì 22 gennaio 2018 

- Bruno Reverberi, sei una bella fetta di ciclismo italiano. Cominciamo col Giro '87, maglia bianca con un tuo corridore, Roberto Conti, secondo anno di professionismo. Che ricordi hai di quel Giro? 

«Eh, mi ricordo per esempio una tappa che si diede una mano a Moser che vinse a Saint-Vincent, o da quelle parti, allora c’erano gli abbuoni di trenta secondi. C’era via una fuga, Moser era interessato a prendere gli abbuoni, aveva la maglia [rosa] mi sembra Fignon. E ci vennero a chiedere se gli davamo una mano a chiudere». 

- Ti riferisci al Giro ’84 che Moser vinse? 

«Quell’anno lì, mi ricordo, si faceva il San Bernardo e poi si arrivava a Saint-Vincent e vinse Moser in volata. Credo che la maglia l’avesse il francese Fignon. E andammo a tirare che poi non mi ricordo se lo vinse il Giro, credo che lo vinse Fignon, mi sembra. Però andammo a dare una mano a Mose per andare a tirare. Il giorno dopo Conti aveva la maglia bianca, il giorno dopo c’era la cronometro. Che Roberto Conti in partenza era talmente emozionato che ha fatto trenta metri ed è andato in terra. E aveva paura. C’era [Zenon] Jaskuła, che era un giovane, ed era secondo in classifica. Dio bon, c’hai due minuti e mezzo una cronometro di venti chilometri non avrai mica paura, eppure nonostante questo era emozionato. Ha fatto trenta metri ed è andato in terra. [ride, nda] Son andato a raccoglierlo, eh: “Pedala, dio bon! Cosa stai lì a pensare”. Che poi [la maglia bianca la] vinse…». 

- Roberto non ha ancora superato il “trauma” per quel taglio al sopracciglio. Fu squalificato per traino ma in realtà voleva solo farsi medicare. 

«Sì, sì». 

- Che ricordi hai della tappa di Sappada al Giro ’87? E perché trent’anni dopo siamo ancora qui a parlarne. 

«Be’, io mi ricordo quel particolare lì che si facevano anche i commenti in macchina. Ma noi sapevamo quello che era capitato. E Boifava disse a Quintarelli, che era davanti, sulla fuga, digli di non tirare, lui ha continuato a tirare. Quintarelli glielo ha comunicato a Boifava. Boifava, per me, ha fatto l’errore di dirlo a Leali: Guarda che quello là sta tirando. E leali l’ha detto a Visentini e lì è saltato tutto. Dopo, non è più riuscito a far tirare la squadra, Boifava, cos’han fatto? Son andati all’Atala e mi ricordo che Vitali, che correva all’Atala, si è messo là davanti a tirare, praticamente è andato a chiudere il buco quasi da solo. Lì saltò di nervi Visentini, che se fosse stato calmo… Ma conscendo il carattere, era difficile farlo star calmo. Avrebbe comunque tenuto la maglia. Perché poi non era un arrivo in salita di quelli micidiali». 

- Sappada era una salita poco più che pedalabile. 

«Era lì che non andava avanti. Si è fatto staccare da corridori di terzo piano, era proprio saltato di testa. Era un carattere così Visentini, andava preso con le molle». 

- Se fosse capitato in una squadra di Bruno Reverberi, che cosa sarebbe successo? 

«Non lo so. Fortunatamente – o sfortunatamente – non mi è mai capitato. Però quando vai a dire a uno non tirare, ti vengo addosso con la macchina. Lì dovevano essere più decisi». 

- La stessa cosa provò a farla Boifava solo che Schepers e Roche si erano messi d’accordo, così almeno dice Roche nei suoi tre libri ma spesso ha cambiato versione. Secondo te fu premeditato o fu un attacco che nacque in corsa? 

«No, io credo che fosse una cosa nata in corsa anche perché diventava difficile poter programmare un attacco del genere. perché quando fai un attacco non sai mai chi ti viene a ruota. Come è formato il gruppetto eccetera. È stata una cosa che è venuta in corsa e lui ne ha approfittato per vedere di risalire la classifica. E poi vinse il Giro, addirittura». 

- Io ti racconto la sua versione poi tu mi dici se è credibile o no. Roche sostiene che si era attaccato alla fuga di Bagot e Salvador perché così i Panasonic gli sarebbero andati dietro per difendere i loro uomini di classifica: cioè Anderson. Breukink Millar. Secondo te è credibile? 

«Ma non credo proprio. Lui è andato dietro la fuga. E se avesse voluto fare quello che tu stai dicendo non avrebbe tirato. Stai lì, controlli la corsa poi vediamo cosa fanno gli altri. Ma hai la maglia rosa in gruppo, un tuo compagno di squadra, non vai a tirare. È stata una scorrettezza. Che poi son cose che possono anche capitare, ma non dovrebbero capitare. Soprattutto a livello professionistico». 

- Che ricordi hai tu da diesse di quella Carrera, di Boifava e si quel ciclismo. Usciamo magari da “Sappada” e raccontami un po’ il ciclismo italiano di quegli anni. 

«Ti potrei raccontare un episodio che c’entra sempre la Carrera. Una tappa che andarono in fuga [Stefano] Giuliani e Zimmermann mi sembra. Zimmermann era terzo in classifica Breukink secondo e la maglia la aveva Hampsten, che poi vinse il Giro [1988, nda]. A un certo punto avevo dentro Roberto Conti, c’era Tomasini, c’ea la guerra per venirci a dire a noi di tirare-non tirare. Perché avevan già sei-sette minuti. C’erano Hampsten e [Davis] Phinney, papà di [Taylor], che tiravano. A un certo punto Boifava veniva da me: Bruno, digli di non tirare. A Tomasini, Bruno digli di non tirare. Tomasini non aveva dietro l’ammiraglia, e veniva a chiedermi cosa dovesse fare. ’scolta, non mettiamoci a fare i dispetti alla Carrera, s’arrangeranno gli americani. Era la 7-Eleven, la squadra. A un certo punto sai com’è a livello professionistico così c’erano anche delle promesse, no? allora ho detto: no, noi non andiamo a far brutta figura verso la Carrera. A un certo punto c’era il titolare della 7-Eleven-Hoonved, [Erminio] Dall’Oglio, ah, venne vicino alla macchina, Bruno, sei un bell’amico, dio bon, dammi una mano, qui e là su e giù, e gli ho detto al suo direttore sportivo: ma scusa, ma chi hai dietro? FA: ne ho tre o quattro, e allora cosa fai tirare a fare? Vedi che perde in continuazione, lui era andato in balla. E ma falli aspettare, vedrai che dopo i Panasonic – i Panasonic erano secondi in classifica, se Zimmermann va all’arrivo si scordano di vincere il Giro – si fermò Hampsten, si fermò. Ha cominciato a calare, calare. E rientrarono. E a tirare si misero la Panasonic e la Del Tongo, che aveva Chioccioli in classifica. E non li han presi. Non li presero ma vinse Giuliani la tappa. Zimmermann secondo, ma arrivarono con un minuto. Mantenne la maglia Hampsten, che poi vinse il Giro. Il mattino dopo Dall’Oglio venne là [sorride, nda]: “Ah, sei un bell’amico!”. Ho detto: “Senti, ti ho fatto risparmiare i soldi. Ha vinto il Giro”. Il suo direttore sportivo mi fa: “Bruno, ti ringrazio per ieri ma io ho perso la testa, non sapevo più dov’ero”. Continuava a far tirare e perdevano in continuazione. Erano andati a nove minuti». 

- Quindi hai fatto il diesse di – almeno – due squadre. 

«E anche tre, quel giorno. Perché poi c’è da dire una cosa. Che quando non sei interessato diversamente, cioè proprio [coinvolto]. La vedi in un modo diverso». 

- Più freddo. 

«Eh, bravo: più freddo. Perché quando lo vedi che sta perdendo un Giro, due minuti, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, questo qui aveva otto minuti i vantaggi e avrebbe vinto il Gir alla grande. Però mancava tanto all’arrivo. Quando io gli ho detto ma fallo smettere di tirare Hampsten, mancano cent chilometri all’arrivo, sarà mica Merckx quello là. Vedrai che lo van a prendere. Si misero poi a tirare Panasonic e Del Tongo perché [i] Del Tongo avevano Chioccioli quarto in classifica. Sistemarono la tappa così e poi si arrivò e vinse poi Hampsten». 

- Hai parlato di Hampsten, quindi Giro ’88, il Gavia, le polemiche. Per esempio, Visentini pagò questo suo andare contro gli sceriffi del gruppo, contro Torriani che annullava lo Stelvio, si disse, per favorire Moser? O secondo te è esagerato dirlo? 

«No, però che tante volte aveva ragione… Io ho visto tante scene, sai com’è un fa finta di chiacchierare con il direttore di corsa poi si attacca all’antenna della radio e sulle Palade, quello là al tornante di sotto vede e s’arrabbia. Lui era un po’ cos’ di carattere, vedeva streghe anche dove non c’erano. Però in quell’occasione aveva ragione». 

- È vero che almeno un paio di Giri avrebbe potuto anche vincerli, oltre a quello dell’86 che vinse? 

«Penso di sì. Qualcosa, qualche Giro l’ha perso anche proprio per il suo carattere. A volte son andate via delle fughe, lui stava là dieto che “dormiva” e non è riuscito a tenere, ma aveva una classe incredibile. Ma tanta classe, poca testa. Almeno da corridor…». 

- Invece proprio da corridore, lui aveva anche fisicamente aveva questo busto molto lungo le gambe molto corte, un brevilineo. Che corridore era, col tuo occhio clinico di oltre mezzo secolo di ciclismo. 

«Uno come lui, intanto fu campione del mondo degli juniores… Una classe immensa. Andava a cronometro, andava in salita, non era veloce però e, come ti dicevo prima, stranamente, sembrava uno che non fosse capace di andare in bici perché timoroso, sempre là in coda al gruppo, da una parte, alla parte destra. Giustamente la gente diceva: questo qui fa tutte cronometro, era sempre all’aria. E questo dimostra che aveva una classe incredibile. L’era un corridore forte, avrebbe – con un carattere diverso – magari vinto qualche Giro in più». 

- Poteva essere anche un corridore da corse dure, penso per esempio alla Liegi, da classiche dure, come caratteristiche sue? 

«Come qualità, come caratteristiche, sì. Era un po’ il suo carattere che lo portava a non essere competitivo in queste corse qui, perché se c’era una corsa che non la sentiva, non la sentiva, stava là in coda al gruppo, se ne fregava. Tutto lì. Ma la classe da poter vincere una Liegi, anche gare tipo il Fiandre avrebbe potuto vincerle perché andava dappertutto, eh». 

- C’era un po’ di invidia in gruppo, in quel ciclismo lì, in quell’epoca lì, per un ragazzo bello, che aveva la passione per le fuoriserie, era di famiglia benestante… Un po’ di invia in gruppo si avvertiva oppure no? 

«No, no. Penso proprio di no. Un’invidia bonaria, non cattiva. L’invidia c’era tra i due big, Moser e Saronni, che poi una parte era stata anche esasperata dalla stampa eccetera». 

- Faceva vendere. 

«Faceva vendere, faceva bene per il ciclismo. Era vera. Quella di Moser e Saronni era vera, poi che sia stata esasperata, e addirittura i tifosi quasi facevan a botte, faceva però bene al ciclismo perché c’era un dualismo e gli sport, sai, soprattutto il ciclismo, quando c’è dualismo – Coppi/Bartali, Gimondi/Merckx, e Saronni/Moser – era interesse di tutti». 

- L’ultima volta che ti ho intervistato eravamo ad Alghero, e la sera e tu saltavi sul divano nella lobby dell’hotel perché avevi avuto una giornata un po’ difficile alla vigilia del Giro [squalificati per positività di Stefano Pirazzi e Nicola Ruffoni, suoi corridori nella Bardiani-CSF, nda] Mi fai un confronto fra questo ciclismo e quello di fine anni 80/inizio anni 90: ti ricorderai Roche e il processo di Ferrara eccetera. Tu mi hai sempre detto: andate voi a controllare i corridori furi dalle corse, se siete capaci. Mi fai un confronto fra le due epoche? 

«Allora controlli ce n’eran pochi, fatti male. Era un ciclismo che veniva da una “libertà” dal punto di vista [del] doping perché prima i controlli “non c’erano”. È cominciato nel periodo di Gimondi quando successe il fattaccio di Simpson [al Tour del 1967] e di [Henk] Nijdam quando non si fermava lì, lo tiraron giù dalla bicicletta al Vigorelli, non so se vi ricordate, al Trofeo Baracchi [del 1965], la corsa che facevano a coppie. E da lì soprattutto negli anni ’90, dal 2000, le cose sono cambiate proprio alla grande. Han cominciato con i controlli a casa. E la gente continuava a dire che era questione di mentalità, di insegnare ai giovani a non farlo eccetera, ma non è vero niente. Il corridore ha solo paura dei controlli. E avendo fatto questi controlli a caso, con l’ADAMS eccetera, casi ne succedono pochissimi oggi. Perché se tu consideri che su 2000 corridori, tutti gli anni, ci son sette-otto casi. Perché i controlli ne fanno tanti. E nel ciclismo - io son quarant’anni, quasi cinquant’anni, che sono in mezzo - il ciclismo pulito come adesso non l’ho mai visto. Perché si andava alle corse, i camioncini pieni di medicine, e anche se non era tutta roba doping, era Flevor e fosfine, di tutto e di più. E oggi si son ripulite le valigie, i camion e tutto il resto. Poi qualche coglione c’è sempre, qualcuno che rischia. Sarebbe come pretendere di eliminare le prostitute e i ladri, insomma una cosa impossibile, eh». 

- Abbiam parlato tanto di Visentini, mi parli invece un po’ di Roche? Di lui che ricordo hai? 

«Be’, io ho un ricordo buono nel senso che un corridore tra l’altro che mi piaceva, poi, t’ho detto ha fatto quell’impresa l’ì quell’anno che ha vinto il Giro, ha vinto il Tour e poi il mondiale, cosa che l’ha fatto solo Merckx. Ed era un gran corridore. Perché aveva classe, arrivava anche nelle classiche. Parlavi prima della gara che buttò via là, se ti ricordi, con Criquielion, che poi arrivò dentro il veneto, Argentin, che gli “fregò” la Liegi [dell’87, nda]. Era un corridore che è stato un campione, ecco». 

- Ma come “spieghi” questa cosa che negli anni dispari gli andava tutto dritto e negli anni pari, tra infortuni, incidenti, guai fisici, tutto storto? 

«Sono fatalità. Sono combinazioni perché è come quello che crede nel 13 o il 17 che porti sfortuna. Un anno credi negli anni pari e stai lì a guardare e se ti succede qualcosa dai colpa subito. E se non capita niente che vai forte, non ci pensi neanche. E sono superstizioni. Non credo altre cose». 

- Mi parli della Carrera? Si può fare un parallelo tra la Carrera di trent’anni fa e il Team Sky di oggi, o è forzato? 

«No, è forzato». 

- Spiegami perché. 

«Il team Sky e la Carrera c’erano altre squadre al livello della Carrera, ce n’erano parecchie – adesso, per dirti, non so, c’era la Renault di Guimard eccetera che era uno squadrone, m ce ne sono state tante altre, la Banesto, erano al livello della Carrera, forse anche qualcosa in più». 

- C’era però meno distanza di budget tra quelle squadre e invece, rispetto a oggi, quella che c’è tra il team Sky – che è un pianeta a parte – e la concorrenza? 

«Sì, è un’anomalia perché già ci sono dei budget alti-alti fuori dal mercato, tra virgolette, questo è oltre. Perché tu pensa che le squadre che vanno dai 17-18 milioni di euro, poi qui parliamo di 35 milioni di euro; quasi il doppio, e si permettono di poter fare… Adesso hanno cercato di tagliare un pochino i partenti alle corse [da 9 a 8 per squadra dal 2018, nda], convinti di tagliare anche un po’ le ali a Sky per creare un pochino… Ma è un errore grande». 

- Che cosa comporta il ridurre di un corridore per squadra in corsa. Ha senso? 

«Da una parte è un po’ più difficile tener la corsa. Però se tu a una squadra le lasci fare otto corridori che sono tra i migliori al mondo, che se fanno i capitani in altre squadre possono vincere Giro, Tour o la Vuelta, è lì l’errore. Allora tu puoi dire, per cercare di creare non dico una parità, perché non ci sarà mai, vuole fare una squadra anche da cinquanta milioni, però tu non porti otto corridori “vincenti”. Devi mettere una limitazione sul punteggio. Allora a quel punto…». 

- Sul punteggio o sugli ingaggi? Perché per esempio Maini dice: mettiamo un tetto agli ingaggi dei corridori iscritti alla corsa. Può funzionare? 

«Non funziona. Perché? Perché io ufficialmente all’Uci faccio vedere che ha un budget da trenta, poi da un’altra parte trovi lo sponsor che ti dà le biciclette ti dà dieci milioni di euro ed è già finita lì. Il tetto lo deve mettere l’Uci sulla partecipazione dei corridori a quella corsa. Se per esempio una squadra in totale ha 20 mila punti, no? Tu non devi partire a un Tour con i 20 mila punti, devi partire con i 6-7 mila punti che equivalgono più o meno ai punti che hanno gli altri. Puoi sempre avere l’uomo vincente ma così non c’è storia. Adesso stiamo vedendo delle corse, va bene, fuga, Sky dietro che tra – abbiam visto il Giro, abbiam visto la Vuelta – e poi te che sei lì a guardar la corsa t’addormenti sul divano. Oppure vai fuori, dici alla moglie o alla fidanzata chiamami quando sono cinque chilometri dall’arrivo, ma non è un bello sport. Che poi a questi qui gli faccia comodo così… ma chi gestisce il ciclismo dovrebbe mettere un freno, da quel lato lì: non coi budget, ma coi punteggi. Tu non puoi portare otto “capitani” a quel livello in una corsa sola». 

- Ma se già parli di otto “capitani” vuol dire che c’è una squadra che può permettersi di ingaggiarli. Tu al Giro ’87 hai vinto la maglia bianca con Roberto Conti, allora ti chiedo: quanto costava gestire una squadra come la tua Selca dell’epoca? E quanta differenza c’era tra le top team dell’epoca? 

«Molto, molto di meno di adesso. Per dirti, una squadra media come la mia, potevi andare a un budget da 500 milioni [di lire] forse anche meno, una Carrera costava un miliardo». 

- Quindi il rapporto era uno a due. Oggi? 

«Oggi se te dici una squadra come la nostra c’ha un budget da due milioni e mezzo [di euro], questi qui han dieci volte tanto, quindici volte tanto: è insostenibile. E talmente insostenibile che il ciclismo attuale è gonfiatissimo. Perché se tu vai a vedere, dove son gli sponsor “veri”? Sky sappiamo chi è, la Uae sappiamo chi è, la Bahrain-Merida sappiamo chi è. Le due Lotto [1] sono statali. La Fdj è statale. L’Astana l’è statale. La Katusha l’è statale. L’Orica è stata statale fino all’anno scorso, perché è una società di Stato che faceva gli esplosivi...». 

[interviene l’allora addetto stampa Paolo Barbieri, oggi alla Trek Segafredo, nda]: 
«La Movistar idem…».

«La Movistar idem – riprende Reverberi – Dove sono gli sponsor veri che investono nel ciclismo? Sono insostenibili i costi di oggi. Perché te fai una squadra ProTour, devi almeno fare una licenza di tre anni perché altrimenti butti via i soldi. Quando vai a chiedere a una società di spendere 70-80 milioni di euro per fare del ciclismo tre anni, ti dicono: “Ma questi qui son matti”. Tu guarda uno come [Patrick] Lefevere [storico patron della Deceuninck-Quick Step, nda], che han vinto di tutto, perché è una squadra tra le più forti, no? Sono cinque anni che cerca lo sponsor per cambiare lo sponsor attuale che hanno che gli dice: se non trovate ci starò io, e Lefevere l’ha detto anche: non si trovano i soldi per fare…». 

[interviene ancora l’addetto stampa Paolo Barbieri, oggi alla Trek-Segafredo]:
«Bmc, la stessa cosa». 

«Bmc, la stessa cosa – continua Reverberi – E poi, nonostante questo abbiamo avuto la fortuna di avere un movimento ciclistico mondiale, come cicloamatori, con delle vendite paurose di bici, no? e che gli sponsor per il 40% sono sponsor tecnici della bicicletta, non sono sponsor diciamo comuni – “di massa”, gli suggerisce l’addetto stampa Paolo Barbieri, nda – Capito?». 

- Quindi mi stai dicendo che in questo mondo a parte, oltre al Team Sky, ci sono tanti altri “mondi a parte”. Mi hai citato almeno sei, sette, otto, nove squadre “fuori del mondo” delle altre, o no? E questo nel ciclismo anni ’80 non c’era. 

«No, non c’erano. Però se tu guardi anche le squadre del Pro Tour, quali sono le squadre competitive che possono essere competitive a tutti i livelli? Quattro o cinque, non son di più, eh. E le altre, quelle - diciamo - le ultime, se vai a vedere, alla fine, sì, fanno tante corse ma poi alla fine vincono tanto come tante squadre Professional, con dei budget diversi. Guarda la Iam, tanto per dire: in tre anni avrà speso 40 milioni di euro e ha vinto quattro o cinque corse. Perché non c’è neanche la qualità atletica da poter sostenere 18 squadre Pro Tour da 24-25 corridori. Dove son ’sti corridori? Ecco perché i costi si son elevati. Un gatto lo pagano come un leone, perché non c’è qualità. Non ci sono». 

- Questo anche nel calcio succede. 

«E sì, eh. È così. Nel calcio, te guarda, dicono: “Eh, perché non fan giocare i giovani?”. E c’è un giovane appena... Guarda [Simone] Verdi, valanghe di soldi. Da noi, dei corridori che qualche anno fa avrebbero… Io non dico guadagnar troppo, attenzione: perché dovrebbero guadagnare molto di più per la fatica che fanno,. Però non avendo nessun’altra entrata, il ciclismo, sono costi insostenibili. Il fatto che in Italia eravamo 17 squadre e siam rimasti in quattro gatti, ce ne sarà un motivo, eh?». 

- Mi interessava un aspetto: quello dei favori in corsa. Roche era bravissimo nel leggere le corse, nel distribuire favori, nel farsi amici in gruppo. Visentini era un solitario, l’hai detto tu stesso. Ma tu in corsa avevi il polso di queste situazioni? Te ne accorgevi? 

«Sì, le vedevi. Le vedevi. Diciamo che oggi son quasi sparite, non ci son più i favori di una volta. Prima di tutto perché correvan quasi sempre assieme». 

- Facciamo un esempio pratico. Al Giro dell’87 nella tappa del Terminillo c’è Bagot in fuga con Schepers. Schepers “rinuncia” anche a poter vincere la tappa e gli dice. Oh, la tappa la vinci tu però poi tu mi dai una mano da qua fino alla crono finale di Saint-Vincent. 

«Diciamo che allora non si limitava solo a questo. C’era anche l’aspetto economico, che oggi è quasi sparito perché oggi troppo è necessario per la squadra fare risultato. Non puoi più permetterti di regalare anche la più piccola possibilità a una squadra. Vai a correre per fare risultato, e ce ne son sempre meno. Difatti ne vedi poche adesso di operazioni di quel tipo. A volte capita che vai a tirare per fare un piacere ma sai intanto c’è la televisione, li vedon subito. Sponsor a casa vedono tutti ‘sti movimenti qui, una volta non c’era la televisione in diretta, cose che non le vedevi. Ma c’era anche un’altra abitudine, era quella lì, che facevi, che qualcuno vendeva anche le corse. Oggi non succede quasi mai». 

- Infatti, in quella tappa di Sappada c’era Santaromita in fuga e Magrini direttore sportivo della Magniflex lo richiama e gli dici stai vicino alla maglia rosa che almeno ci inquadrano in tv. E quindi come ha fatto la Bardiani ad avere la wild card per il giro è un miracolo? 

«No, no. Non è un miracolo, e spiego il perché. Allora, io ho detto più di una volta: perché non dovremmo fare il Giro? Noi siamo la squadra che ha vinto più tappe al Giro di tutte le squadre esistenti attualmente comprese le pro Tour: noi abbiam vinto 27 tappe al Giro». 

- Sai che questo la gente non lo sa? 

«La gente non lo sa. Ma ecco, questo, che la gente non lo sappia, “bene”, ma quelli che invece sono addetti ai lavori lo dovrebbero sapere, allora certe critiche non le accetto nemmeno. Perché… allora abbiam fatto “passare” [professionisti] una miriade di corridori, Alessandro Petacchi, Stefano Zanini, tutta gente che poi ha vinto e poi ha fatto la storia del ciclismo, Giuseppe Guerini, Roberto Conti, Fabrizio Guidi… Abbiam avuto una nostra funzione. Gli ultimi cinque anni abbiam vinto sette tappe al Giro d’Italia con giovani, neoprofessionisti o quasi, no? Quelle squadre che hanno la pretesa di fare il Giro cos’hanno vinto? Faccio, quanto hanno vinto? Niente. Gli ultimi cinque corridori che son andati nel ProTour “passan” da noi. Domenico Pozzovivo, Enrico Battaglin, Sonny Colbrelli, Sacha Modolo, Gianluca Brambilla: da dove vengono? Da noi, dal nostro vivaio. Allora noi dovremmo essere sopra la piramide degli inviti della… ma neanche da discutere. Perché noi addirittura e le quadre dilettantistiche ni tutti gli anni quattro-cinque corridori… Adesso abbiamo in squadra tra i migliori dilettanti quelli che son stati tra i migliori dilettanti. Se poi vai a paragonare alla Fantini, senza voler fare i nomi, che hanno riciclato dei corridori che son lì più da ora di smettere che continuare e aver la pretesa di farci stare a casa dal Giro che abbiam fatto a storia del Giro, dove per esempio la CSF son trent’anni che sponsorizza, avremo qualche diritto? Squadra solo italiana? Solo italiana. Ecco. Eh». 

- Ecco, questo è il Bruno Reverberi che salta sul divano e che riconosco. E qui non hai qualche sassolino da toglierti dalle scarpe, visto anche com’è finita, in tuo favore, la vicenda dei corridori che si diceva pagassero per correre eccetera. Non ce li hai questi sassolini da toglierti? 

«Ma cosa vuoi, sassolini… Io l’ho detto là in Procura, è una cosa che fa ridere. E ci sono degli sport addirittura, molto più importanti dei nostri, che, se non porti là dieci milioni di euro, non vai su neanche sul sedile della macchina, tanto per essere chiari, no? Ma questo qui è sempre successo. Ma quando si è in un ambiente come il nostro, professionistico, che dicono: paga per correre, se un porta lo sponsor che problemi ci sono? Sarebbe diverso se il corridore portasse i soldi e li dovesse ridare indietro, allora è una cosa scorretta. Ma se uno trova uno sponsor che gli dice: “C’ho un corridore che lo voglio far “passare”, ti do centomila euro”, dov’è il problema? Non è che sia un concorso pubblico, il nostro. Ha diritto di correre perché ha i 40 punti, e allora? Le squadre son nostre, son mica della Federazione, siamo noi che decidiamo se far correre… I rischi son nostri e non vedo perché debbano intervenire su queste cose. Che poi alla fine, han dato due condanne per accontentare la Procura, eh, perché [Gianni] Savio e [Angelo] Citracca li han condannati a tre mesi [di sospensione] eccetera per accontentar la Procura, ma avevano più ragione loro che la Procura». 

- Ti ricordi di Paolo Cimini? Dicevano: ah, questo corre perché il padre ci mette i soldi, poi al Giro '87 vinse la tappa di Jesolo. 

«Bravo, bravo. E a volte, ho detto, quelli che han pagato sono quelli che andavan più forte degli altri. Poi, scusate, eh: se un papà vuol pagare centomila euro per mandare un ragazzo a Cambridge, per dire, all’università migliore che c’è, e sarà mica un problema della Federazione? Li tira fuori lui i soldi. Se vuole avere la soddisfazione di far passare un corridore professionista, che ha le attitudini per poterlo fare perché ha i punti, che problema è della Federazione?». 

- Ti ricordi che all’arrivo Visentini disse la famosa frase: «Stasera qualcuno va a casa», poi la sera arrivarono i Tacchella? Voi tra direttori sportivi parlavate di questa cosa qua, di Boifava in difficoltà, come l’avete vissuta? Raccontami qualcosa dal di dentro, tu che carovana c’eri. 

«No, diciamo che naturalmente Boifava era amareggiato per tutto quello che ea capitato, perché è stata un po’ una figuraccia per loro, no? Direttore e vicedirettore [Quintarelli]… Un personaggio come Boifava che non è riuscito a gestire, a far giostrare, la corsa… Se avesse avut in quel momento lì un po’ più di polso, secondo me, t’ho detto, l’erre più grande l’ha fatto di andare a dire Leali che questo non sta tirando. Diceva niente [batte le mani come a dire: e finiva lì], e come ha fatto dopo, ha fatto tirare un’altra squadra – pagando – e son andati a prenderli, perché ti ricordi che li avevan presi, no?». 

- Sì, sì: infatti due attacchi ci son stati di Roche. 

«Eh, li avevan presi. E rimediavano alla faccenda. E invece così, andare a dire: guarda che questo… e quello è saltato di testa. Andava su ai due all’ora, ti ricordi?». 

- Sì, ma c’erano anche della alleanze in gruppo. Non mi dire che Argentin era amico di Visentini, perché non ci crede nessuno. Diciamo che in gruppo c’erano i vari capetti, e Argentin era uno di questi. Com’erano le alleanze in gruppo, le alleanze “trasversali” alle varie squadre: questo con quello, quello contro quell’altro? 

«Mah, ma capitava più che altro da corsa in corsa, non è che si partisse. Poi, per esempio, Moser e Saronni sai che si beccavano, però c’erano le amicizie, uno era più amico di Baronchelli piuttosto che l’altro, ma erano sporadiche. Non è che fosse: questo è schierato per quello e solo per quello». 

- Esempi pratico: quando Contini era in maglia rosa, in tanti erano più contenti, soprattutto i compagni perché – si dice – Contini era di manica (più) larga quando era ora di dividere i premi. Ti risulta? 

«Be’ insomma, eran contenti perché i premi li prendevan dalla Bianchi i corridor… Perché han passato dei momenti che non eran troppo felici e quella tappa che ti dicevo prima, fama, che attaccammo noi, prese la maglia proprio Contini, prese la maglia rosa lui. Era una squadra, sai, ben pagata, allora era la squadra che guadagnava di più in Italia. Direttore c’era Ferretti e…». 

- Io m’immagino una “Sappada” in una squadra di Ferretti – anche in una tua – ma in una di Ferretti, ma che cosa sarebbe successo? Te lo immagini? 

«Mah, non lo so. Perché, sai, dire… T’ho detto, lui forse con il parafango vicino con la macchina ci arrivava sicuro. Capi’? Ecco. Forse. Ecco, se fosse andato magari Boifava davanti, può darsi anche che le cose sarebbe state diverse, invece c’era Quintarelli. Quintarelli era il secondo, era un po’ l’uomo di fiducia di Boifava, guarda che tira, non tira, gli ho detto di non tirare… Fosse stato Boifava che gli avesse tirato due bestemmie, può anche darsi che [Roche] si sarebbe fermato». 

- Ti ricordi qualcosa invece di Patrick Valcke? Il meccanico un po’ tuttofare? 

«Sì, più o meno. Lo conoscevo ma non è che avessi confidenza. Lo vedevo, così, alle corse, qualche volta in albergo. E sai da che parte stava. Eh-eh…». [ride, nda] 

- Che ricordi ha del famoso “Giro del Guttalax”? Col patron della Fir, Giovanni Arrigoni… 

«Mah, mi ricordo su Saronni, fece discutere molto. Se fosse vero… Sembra di sì. Aveva al Giro ’83. Quell’anno lì vinse il Giro con la media più veloce, che buona parte della media l’abbiam fatta noi con la nostra squadra, con attacchi in continuazione. Partimmo da Milano, si arrivava sulla Roncola, abbiam attaccato in partenza ai 49 [km/h] di media. Per dirti, no? Quell’anno lì vinse il Giro. E lì il titolare della Fir, che facevano ruote, che era di Bergamo e sponsorizzava Visentini, ebbe “l’accusa”, via, di aver messo il Guttalax dentro al mangiare di Saronni...». 

- La Fir faceva ruote fantastiche, all’avanguardia, però era un po’ in crisi, allora un amico del patron Arrigoni gli aveva suggerito un “espediente” per far scrivere sulla stampa che Arrigoni e la Fir avevano salvato la maglia rosa. Solo che un cameriere si finse d’accordo e ci fu flagranza di reato. Pensa oggi, sarebbe improponibile. Quel Giro lì, dell’83, senza gli abbuoni lo avrebbe vinto Visentini, come tempi effettivi su strada. 

«Beh, è evidente che Torriani avesse un occhio particolare sia per Moser sia per Saronni perché per loro erano i personaggi. Visentini era il terzo, forse anche il quarto, perché c’era Baronchelli anche». 

- Renato Laghi, su compagno alla Vibor, dice che Visentini è stato sfortunato perché disegnavano i Giri duri quando c’era Baronchelli – e poi magari a vincere era Pollentier – e poi invece quando c’erano i due sceriffi, Saronni e Moser, quelli più leggeri. Sei d’accordo? 

«Sì, da quel lato lì sì perché poi anche il Giro che Moser ha vinto è stato un Giro all’acqua di rose. Poi, se ti ricordi, gli han tolto quella salita là, lo Stelvio, e lì fu la fortuna sua, per la vittoria del Giro». 

- Ma tu ci credi a quello che diceva Fignon, è verosimile che c’era l’elicottero della Rai che faceva un po’ da scia a Moser, le spinte e i traini in montagna… 

«Può anche darsi. Può anche darsi, però vedendo anche i filmati e lui il suo vantaggio l’ha avuto soprattutto per il discorso della bicicletta, delle rute, e poi alla c’erano già certe cose in giro che non stiamo lì neanche a dire. eh. È cominciata da Ferrara e via di seguito, e Fignon l’ha preso in quel posto e ha perso il Giro. Ma lì è più che altro era il mezzo, il mezzo meccanico. Che poi le pale... Io non so neanche bene come funziona, perché le pale dell’elicottero avessero la possibilità di farlo andare avanti [o indietro quell’altro, nda]... E comunque lui a cronometro è sempre andato, e ha "vinto" il record dell’ora quell’anno lì. Sì, alla fine diciamo che Francesco l’ha anche meritato per la carriera che ha fatto, lo meritava di vincere un Giro, anche se non era un corridore da Giro. Però vinceva tappe, era un guerriero insomma. Faceva il bene del ciclismo». 

- Ti saluto con questo. Fai una tua scelta di campo. Dimmi intanto se fra Roche e Visentini è stato tradimento e poi tu da che parte stai. 

«Mah, io sto dalla parte di Visentini, anche se sapevo che aveva un cattivo carattere. Perché non devi tradire un compagno di squadra che ha la maglia. Queste cose non si fanno neanche in mezzo ai dilettanti». 

- Non è che l’ha fatto perché magari aveva capito che l’altro non gli avrebbe restituito il favore al Tour? 

«Ma sai, intanto, per vedere se gli restituiva il favore al Tour, ’spettiamo che facciamo il Tour, invece lui l’ha tradito prima. È vero o no? Lì aveva ragione al cento per cento Visentini. L’ho detto: la cosa è stata gestita male, ma Visentini aveva… C’ho la maglia e un mio compagno in fuga là che tira. C Controlla la corsa, almeno non farti vedere, poi, dopo, se – in base alla fuga – vanno all’arrivo, poi vinci, e vinci il Giro, tutto di guadagnato. Han giocato con due punte. Ma così l’ha tradito». 

- Quali sono gli anni più belli del ciclismo che hai vissuto. Lascia perdere quando eri giovane, cioè esci dal fattore-età, gli anni più belli, non so, quelli con i campioni che più ti hanno emozionato, le corse, quali sono? 

«Beh, negli anni lì, ’86, ’87, ’88, era un bel ciclismo. Un ciclismo di qualità, anche al Giro, anche al Tour eccetera. Noi nell’85 abbiam fatto il Tour che vinse Hinault e per me in quel periodo lì, tra classiche e i corridori che c’erano è stato un bel ciclismo». 

- E qual è il corridore che ti ha emozionato di più, non per forza un campione. E invece quello che magari dici: guarda quello cosa poteva fare e invece non ha fatto neanche la metà? 

«Beh, un che avrebbe potuto fare molto di più di quello che ha fatto, perché era un po’ un fenomeno, era Bugno. Avrebbe potuto vincere tanto di più. Un carattere un po’…». 

- Guarda che glielo dico la prossima settimana quando lo incontro: “Guarda, ha detto Bruno che…”. [scherziamo, nda] 

«No, sicuro: sicuro ma io son sicuro che… andava in volata, era forte in salita, andava a cronometro. Ma in volata batteva i velocisti». 

- E il carattere? E poi quel colpo di pedale… 

«Il carattere, il su problema era lì. A volte si metteva in coda al gruppo come se la corsa non fosse neanche una cosa sua. Avrebbe potuto vincere ma molto di più: classiche… Poi, ha vinto due mondiali, il Fiandre, le corse le ha vinte, non è che non le abbia vinte. Ha vinto un Giro ma ne poteva vincere… Sarebbe stato uno dei corridori più vincenti della storia degli ultimi quarant’anni. Sicuro». 

- Forse era “troppo” sensibile per arrivare a… 

«Non aveva il carattere “completo”. Perché, sai, [per] correre in bicicletta, come in tutte le altre cose, ci vogliono le gambe ma ci vuole anche la testa. Lui non è mica uno stupido ma è un carattere un po’ introverso, un po’… A volte perdeva delle occasioni incredibili ma aveva una classe…». 

- Ti ha ricordato in qualche sfumatura un po’ Visentini? O anche questa è una forzatura

«Beh, no. Era molto più veloce, forse meno forte in salita, meno forte anche a cronometro, ma era molto più veloce. Poi, un corridore scattante. Ha vinto una Sanremo; che c’ha ancora il record, eh. Il record della Sanremo ce l’ha ancora lui, Bugno». 

- Ma caratterialmente, dico: un po’ con queste “amnesie” in corsa? 

«Nooo, no-no: da quel lato lì, no. Non parlava mai, ma era difficile… Ti saluta, corretto eccetera. Invece l’altro [Visentini] era un brontolone e basta. Brontolone, non andava mai bene niente… [sorride, nda] E a volte dicevamo: scusa, se non ti va bene niente, sta’ a casa, no? Era un ragazzo simpatico e difatti hai visto che smesso di correre…». 

- Me l’hanno detto tutti i suoi ex compagni di squadra che era simpatico. 

«Simpatico, quando era ora di scherzare… Ma smesso di correre, non si è mai più visto a una corsa». 

- Dimmi perché. 

«Mah, non lo so. Si vede che ha detto che il ciclismo gli stava sulle palle». 

- Non mi hai detto il campione che ti ha emozionato di più invece… 

«Be’, di quelli che mi ricordo, Hinault. Hinault aveva…». 

- E che cosa ti piacerebbe trovare in questo libro sul ciclismo di quegli anni e che magari non ha trovato da nessuna parte e che tu vorresti mettere come tua voce. 

«Parlare anche non solo dei campioni ma anche dei corridori che sembravano comprimari e che poi han fatto i gregari, han fatto un po’ la storia del ciclismo. Ti faccio un esempio, tipo [Beppe] Guerini che la gente ancora non sa neanche chi è, ha vinto all’Alpe d’Huez, ha fatto due terzi [posti] al Giro. E a volte quello che è il “vizio”, della stampa e un po’ di tutti: sono convinti che si possa parlare solo dei campioni. Ma ci sono tante storie da raccontare, dietro. E che per la gente sarebbero interessanti. Continuano a parlar di [Peter] Sagan, oramai sanno anche dove va a far la pipì, Sagan. Parla anche di corridori che sono di secondo piano che la gente non conosce, che puoi creare anche il personaggio e crei l’interesse. Però va così, ti senti importante se intervisti il campione. Eh. Questo è un difetto vostro». [sorride furbetto, nda] 

Touché. Bella, Zio. 
CHRISTIAN GIORDANO


NOTA:
[1] In Belgio la Lotto-Soudal (ex Davitamon, Predictor, Silence e Omega Pharma), nei Paesi Bassi la Lotto NL (ex Rabobank, Blanco, Belkin e attuale Jumbo-Visma).

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