Alessandro Paganessi, il campione che non era


di CHRISTIAN GIORDANO ©
IN ESCLUSIVA per Rainbow Sports Books ©

Fino Del Monte (Bergamo), giovedì 15 marzo 2018

- Alessandro Paganessi, per chi non ti ha visto correre: che corridore sei stato?

«Mah, come corridore ero abbastanza… Più in salita, così. Mi mancava un po’ lo spunto veloce, capito? E magari ho perso tante corse, arrivavo in due e facevo secondo in tre. Come al campionato italiano, lì a Camaiore [nel 1983, nda], che ha vinto Argentin, secondo Battaglin, terzo [io]… Siamo arrivati in tre. Il mio difetto era sempre aspettare a partire, capito? Però arrivavi a duecento metri, quello che parte magari diventa poi difficile da superare, aspetti, aspetti e…».

- Però uno che vince il Val d’Aosta, fa secondo al Giro Baby... Come sei arrivato al professionismo, con l’etichetta di…?

«Bene, di una buona speranza. Perché uno che vince quelle gare lì... Ripeto: a cronometro non andavo male, in salita non andavo male. L’unico spunto che mancava un po’ era la velocità, le volate, così, però... Poi mi sono anche abbastanza inserito…».

- L’impatto col professionismo com’è stato? Per qualcuno il salto è stato difficile.

«Sì, il salto è un po’ così. Però ho avuto la fortuna di passare alla Bianchi. La base era qui a Seriate, lì da Piero Piazzalunga [storico meccanico di Gimondi e della nazionale, nda]. Ci si trovava lì con gli svedesi [Tommy Prim e Alf Segersall], [i fratelli Gaetano e Gianbattista] Baronchelli, [Serge] Parsani, che era un faro, cioè, capito? Era un personaggio così… Son passato [professionista] a settembre, dopo le olimpiadi dell’80, e [in Bianchi] fino all’83. Mi trovavo».

- Prima eri stato un PO, Protetto Olimpico?

«Sì. Son stato nella lista dei venti. Brutto anche così, perché potevo passare, capito? Son stato dentro la lista. Poi però era un percorso non troppo duro, e han scelto gente come, non so, Cattaneo, che aveva anche spunto veloce…».

- Marco Cattaneo: miglior italiano, 14° a 8’49” dal vincitore Sergei Sukhoruchenkov e gli altri mostri dell’Est dell’epoca…

«Sì, sì. Io ero nella lista. Non so se era dei quindici o venti, però poi sapevo già che non [sarei andato]... Però c’era il blocco, no? E son poi passato a settembre. Ho cominciato col Giro del Piemonte. A settembre dell’80».

- Mi dicevi – off the record – che per te quando sei passato professionista è cambiato qualcosa, anche dal punto di vista logistico, per gli allenamenti, rispetto a quando eri dilettante. Mi spieghi?

«Sì, a Vertova, così, ero molto più vicino al ritrovo. Al ritrovo col gruppo, perché lì, al rondò di Bergamo, c’era sempre... Alle nove ci si trovava, certe volte, in dieci-quindici… Però è importante anche trovarsi un bel gruppettino. Sai, tante volte, da solo diventa poi duro. Poi qua piove anche un po’ di più che giù [a valle], fa più freddo, così il problema è stato un po’ anche quello».

- Anche i bresciani della Carrera – Bontempi, Leali, Visentini... – si allenavano così: ritrovo all’edicola del fratello di Boifava e poi facevano il percorso insieme.

«Certo, certo. Sembra che magari si stan raccontando le cose... Però, sai, tante volte parti da solo, fai fatica anche a trovare il ritmo: meno ritmo, più duro, il vento, una cosa... Vedi che non vai, magari non dico che ti lasci un po’... Magari invece di fare la tabella che hai, duecento chilometri, centocinquanta, quello che è, vedi che fai fatica e magari perdi quella mezzora, un’ora, che poi alla fine fa la differenza, no? Capito? Invece col gruppo riesci… Un po’ parli e così…».

- Andiamo in ordine: Bianchi-Piaggio, che tipo di realtà hai trovato? Direttore sportivo…

«Ferretti, grande allenatore, non ti lascia mancare niente, preciso. Cura tutti i particolari, molto… No, no, mi son trovato bene, capito?».

- È stato quello il momento più brillante della tua carriera, quegli anni lì?

«Sì. Dopo ho avuto ancora degli sprazzi così, un po’ alla Murella-Rossin, lì è stato un po’ un anno... Nell’85, sai, che dopo hanno anche smesso, con Garbelli. Il problema grosso lì, è uscita l’èra della mountain bike, l’inverno, così. E avevamo Aldo Sassi, era lui il preparatore. Però noi eravamo tutta gente – Pollini, Pedersen… –, tutta gente magra, così, che non devi anche “caricare”… [Sassi] ci faceva fare di quegli allenamenti…».

- All’inizio ha faticato un po’ a trovare le misure, no?

«Le misure per la mountain bike. Noi abbiamo fatto un po’ – scusa il termine – da cavia. Perché facevamo di quegli allenamenti…».

- Qualcuno è andato in sovrallenamento, per sovraccarico?

«Poi siamo andati in Norvegia, perché [in squadra] c’era Dag Erik Pedersen, a far degli allenamenti pazzeschi. Quando nevicava… Sai, quando nevicava, nell’85, lì dalle montagne veniva giù… Non giravano le macchine. Noi, in mountain bike, facevamo tanti di quei chilometri. Ripetute. Si partiva dal Ventolosa, per dirti, col 53x13, e non avevi più l’agilità. Io ero uno che cercava sempre di sfruttare l’agilità, perché con l’agilità – quando poi metti il rapporto – hai il cambiamento di… Invece lì eravamo tutti… tutti appesantiti. Infatti ho fatto il Giro d’Italia, ho fatto dieci giorni poi ci siamo… L’han finito in tre, i giovani. Giro d’Italia dell’85, [alla decima tappa, nda] mi son ritirato. Vuoto... Vuoto».

- L’anno dopo invece ha fatto dodicesimo.

«Dodicesimo. E lì ho avuto qua in casa, quella che arrivava su a Foppolo. Mi sono…. Ho avuto problemi a venire su da dietro, come si chiama quella lì, la… Da Sondrio che viene su e poi veniva giù, andava… perché se non prendevo quei cinque-sei minuti lì, nei [primi] cinque-sei in classifica arrivavo».

- Facciamo un passo indietro. Perché avevi lasciato la Bianchi per la Sammontana?

«Eh, lì, una vittoria, una cosa e l’altra, mi davano un po’ di più di ingaggio, capito? Poi puntavamo anche al Giro, una cosa, ero un po’ più…. Ero un po’ più libero, capito? E alla Sammontana invece che differenze hai trovato rispetto alla Bianchi, anche come organizzazione, come direttore sportivo?

No, per quello sempre squadra alta gamma. Per quello, mi son trovato bene. Logico: che anch’io, con un po’ più di responsabilità, se non parti subito bene in primavera o così, gestirti… un coperto è essere coperti da due o tre capitani com’era nella Bianchi, così, ti salvi. Qui invece, sai, dovevo puntare… All’inizio sembrava di dover fare la spalla di Argentin, lui dopo ha fatto terzo quell’anno lì e io invece dopo, va bè, gli ho dato una mano. Però non ho fatto quel…».

- Lì il diesse era?

«[Valdemaro] Bartolozzi».

- Hai fatto un anno alla Murella e poi sei tornato in Sammontana. Giusto?

«Sì».

- E che cos’è successo, lì? Perché sei andato via e poi sei tornato?

«Eh, son andato via perché è stato un po’ anno un anno così e dopo c’era Garbelli che mi voleva a tutti… Voleva fare ’sta Murella, capito? Voleva fare ’sta Murella e… e allora, cioè ho detto…».

- Però non è andata bene, un anno…

«No, è stata tutta ’sta preparazione. Cioè noi leggeri così, anche Pedersen, così, siamo corridori… devi stare in bici, poi ripeto: tanto – ripeto quello che ho detto prima – tanto stoi esperimento su ste mountain bike. Capito? Tante con Sassi che anche lui non dico che noi siamo stati le cavie, però era anche lui il primo anno che faceva una preparazione su certi atleti. [Per] lui è stato un bell’esperimento e ha capito un po’ gli sbagli, però per noi corridori che non siamo… non abbiamo un motore… Moser, il Prim, cioè quei motoroni – parliamo di un “500” – magari sei solo un “350”, un “400” però… scusa il termine se parlo così però ti distrugge. Arrivare al Giro d’Italia, dopo dieci tappe, che potevi fermarti anche prima perché eri vuoto. Vuoto, capito cos’è la preparazione… cioè perché dicono che le corse si vincono in primavera-estate, però la base la butti in inverno. Capito? Perché se tu ti alleni bene d’inverno, tah-tah, passettini alla volta…».

- Quanti campioni del mondo, vinta quella maglia lì, pesante, tra feste inviti che devi onorare, sponsor, la festa del paese…

«La rovina».

- La rovina perché intanto la testa parte…

«Sì, sì. Anche perché tu parti la sera poi magari non dico se vai in Veneto, vai in Piemonte così, non è che rientri, magari rientri all’una, a mezzanotte-l’una, però la mattina devi partire… cioè… e lo sport della bicicletta secondo me non sarà il più duro ma è uno dei più duri perché quando fa freddo, perché fa freddo, quando andavi a Pescara, a Camaiore, che magari adesso non ci sono più che trovavi 35 gradi, se non sei a posto, di stomaco, di tutto, cominci a berti la coca cola, l’aranciatina, perciò è veramente…».

- I trasferimenti, il recupero, la gente non sa o sottovaluta quanto sia importante recuperare bene... Basta una notte che dormi male, ed è finita.

«Sì, sì. Basta un poco che il fisico per portarlo a un certo livello magari ci vogliono mesi. Per distruggerti, o per crearti dei problemi, ti basta un giorno o due, una dissenteria, un vomito… E veramente devi stare, devi cercare veramente di… Sono sacrifici bestiali, eh. Bestiali».

- Dopo la Murella sei tornato in Sammontana: che differenza c’era rispetto alla prima esperienza lì?

«Sì. A dirti la verità, un po’ di cose me le ricordo, però non sempre... Adesso non mi ricordo…».

- Non c’era più Bartolozzi come diesse?

«Domenico De Lillo. Grande persona anche lui, grande persona…».

- Invece in Murella il direttore sportivo chi era?

«Luciano Pezzi».

- E nonostante l’esperienza di Pezzi è successo tutto quel caos?

«Eh, ma dopo lì c’era dentro tanta gente che… C’erano Pezzi, Garbelli, Sassi… Tutti che dicevano… Luciano, quel periodo lì, faceva… Grande persona, lui era un confessore, una persona che veniva lì: “Dai, teniamo duro…”. Era un padre, una persona veramente… Luciano era un personaggio… Se siamo arrivati alla fine di quell’anno lì, è stato per lui, guarda… Un grande, una persona, il Pezzi… Però c’era lì lui, c’era Garbelli, c’era lì ’sto preparatore e non è che era… Ma troppa gente, poi…».

- Quando avete capito stavate buttando via la stagione, come vi siete comportati?

«Eh, c’era poco da comportarsi. Anche perché lì dopo, mi ricordo, c’ho anche smenato dei bei soldini…».

- Negli anni però Sassi è poi diventato un guru della preparazione.

«Eh, lo so. Mi trovava in giro: Ciao-ciao, di qua, di là, però… Eh, ma è così, come è lui, cos’era, l’85, e lui ha fatto la base. Non dico che noi abbiam fatto… però facevamo… lui non c’era ancora quando noi, poi lui è partito con ’sto Garbelli, con… tah-tah-tah… ’sti allenamentoni. Però bisogna avere anche il motore, cioè non è che io c’ho il motore di Moser…».

- Infatti la personalizzazione è nata dopo, anche per quegli errori lì.

«Lui studiava su di noi. Perché noi quell’anno lì avevamo [il dottor Gabriele] Rosa l’, quello lì a Brescia, tutti i mesi là su ’sta bici, una roba, che quelli lì ti distruggono… Test sopra test, eh… eeeh».

- E dal professor Francesco Conconi siete andati?

«No-no-no, Conconi no, avevamo quel Rosa, lì a Brescia, capito?».

- Conconi mai, quindi?

«Conconi no. No, no, io non l’ho mai conosciuto. Ho conosciuto l’altro, quello famoso…».

- Michele Ferrari?

«Il Ferrari, un pochino, così. Ma andava di più Pedersen. Capito? Però… C’era con noi quel Rosa lì a Brescia. Conconi dopo, sono arrivati tutti dopo…».

- Da Mino Denti siete andati mai?

«No, no, l’ho sentito ma… Erano anni, sai, quando ho smesso…».

- Andiamo all’ultimo anno, passi dalla Sammontana all’Ariostea. Come è successo, ti han chiamato?

«M’han chiamato. Perché lì c’era ancora Ferretti, così. E c’era il patron [Oriello Pederzoli, nda]...».

- Bella squadra.

«Eh be’, i soldi lì, quello delle ceramiche lì... Non è andata male. Però alla fine si aspettavano di più e... Capito?».

- Ma questo “famoso” caratterino di Paganessi, in che cosa consisteva? E intanto ti chiedo se è tutto vero? E che problemi ti ha dato? “Se” te ne ha dati...

[ride, nda] «Ma nooo, ma no. Ma perché non penso che tutti fanno una scelta come la mia, no? Però ero talmente deluso... Perché mi sembrava che mi confermassero all’Ariostea. Non è che volavo però... Capito? Poi tutto in un attimo, si vede che il numero era quel che era e mi han lasciato libero, no? Lì, una delusione… Un conto se te lo dicono… Poi c’era ’sto Boifava e l’altro, e tutti e tre sembrava…».

- Chi era il terzo?

«[Gianluigi] Stanga».

- Altra bella squadra, la Supermercati Brianzoli.

«Certo, certo. C’erano tutti e tre. Io guadagnavo ancora… Cento milioni, settanta-ottanta… E loro, per fare abbassare la cifra… Però anche per me dire: Va bè, è andata male... Quell’anno lì, nell’87, io avevo vinto una corsa [al Giro di Svizzera, nona e penultima tappa: la Scuol-Laax di 145 km, nda]. A dirti la verità neanche ho studiato la parte…».

- Nell’87 però avevi corso un discreto Giro d’Italia, 29° a 42’23”. E l’anno prima addirittura 12°, a 13’ 34”.

«E nell’85 ho vinto quella lì... [la seconda tappa in linea al Romandia, 195 km da Villeneuve a La Chaux-de-Fonds davanti al compagno di fuga, lo svizzero Jörg Müller, vincitore della classifica generale, nda]».

- La tappa al quel Giro di Svizzera l’hai vinta in maglia Ariostea.

«Sì, sì, ’87. Ho vinto una tappa al Giro di Romandia e una tappa al Giro di Svizzera».

- E quella al Romandia, nell’85, in maglia Murella.

«Murella, sì-sì».

- Mi parli del Giro ’87? In quella famosa tappa di Sappada, tu in gruppo ti sei accorto di cosa stava succedendo?

«…’orco cane».

- Non si era mai visto un compagno attaccare il capitano, per di più maglia rosa e campione uscente.

«Certo. Ti attacca. Sì, sì, mi ricordo».

- Raccontami cosa ti ricordi, le tue sensazioni.

«Eh, ti ricordi… Ti ricordi… Sai, vedere certe cose non sta.. [né in cielo né in terra]…».

- Ma voi l’avete saputo da radiocorsa? Tu in gruppo dov’eri?

«È andato via in discesa, no?».

- Prima era andato via Ennio Salvador con Jean-Claude Bagot, poi Roche ha attaccato (ma lui nega) in discesa. Due volte.

«Sulla discesa. Perché io mi ricordo che quel giorno lì ero nei primi venti, nel gruppetto…».

- Quindi l’azione l’hai vista da davanti, in testa al gruppo?

«No-no, l’ho vista da…».

- È stata un’azione nata in corsa o Roche l’ha preparata prima?

«Conoscendo anche Roberto, che è una grande persona, una cosa e l’altra e quell’altra... Però, questo qua, lo sa lui... Bravissimo ragazzo [Visentini], però gli saltano i nervi alla svelta, capito? Uno che sta bene di famiglia. Cioè: non vuol dire che, perché è pieno di soldi, una cosa… Però, come tutti, abbiamo il nostro orgoglio, no? Uno che ti attacca così e dopo… Dopo ti svuoti, ti distruggi».

- Se fosse rimasto freddo magari non avrebbe preso quella botta lì, perché la salita verso Sappada non è durissima…

«Eh, lo so, però ti distrugge anche pensare che un tuo compagno di squadra... Allora me lo puoi dire la sera, ne possiamo ragionare e diciamo: Tu tenti di vincere il Giro, ma anch’io avrei voglia di provare a vincere. Poi se tu sei… Si faceva sempre così, no? Quando… Se tu sei più forte, ti potrò anche appoggiare. Se son più forte io... Ma non facciamoci la battaglia fra di noi? È vero o no? Conta anche essere onesti e dire: Andiamo via assieme. Cioè: poi quello che o la cronometro o la salita dirà, che io sono più forte, o tu sei più forte… Invece farti proprio una cosa così, in discesa…».

- Quindi tu l’hai vista proprio come un tradimento? Anzi, di più...

«Be’, è logico. Dopo lui, quell’anno lì, ha vinto Tour, Mondiale, quello che è. E dopo si salva, una cosa e l’altra…».

- Roche nell’87 è andato forte tutto l’anno: aveva vinto la Volta Valenciana, il Romandia, alla Liegi s’era fatto beffare – con Claude Criquielion – da Moreno Argentin. Aveva una gran gamba.

«Sì, però come immagine, anche d’insegnamento ai giovani, una cosa e l’altra... È un po’ una cosa…».

- Visentini tu lo conosci bene. Siete stati compagni in nazionale al mondiale di Altenrhein ’83. Me lo racconti?

«Sì-sì. Persona molto semplice, molto. Dopo, una volta l’avevo chiamato, eravamo lì sul lago [di Garda], non so con chi ero, non so se ero là con Paolo Lanfranchi con gli juniores. Ma non ci siamo più visti. Non è venuto neanche a Casazza [cronosquadre organizzata per beneficenza dall’ex professionista Ennio Vanotti, nda]… E lì è veramente un ritrovo bello, perché vedi tanti ex, no? Magari…».

- Perché secondo te Roberto non si fa più vedere? Basta come spiegazione il “tradimento” di Sappada? O lui proprio non ne vuole Più sapere? E perché?

«Nooo. Ma perché quelle cose lì... Cioè, uno che… No, ma dico: la vita va avanti, capito?».

- Non per lui, però. Non su questo argomento.

«No? È rimasto…».

- È rimasto così ferito che… Con qualche ex compagno però ancora si vede: Bontempi, Chiesa, Bordonali...

«Non mi ricordo più con chi ero quando l’abbiam chiamato che eravamo lì sul lago, ma penso che eravamo là perché io ho fatto tanto… un po’ anche l’allenatore degli juniores, no? Son stato un po’ con Lanfranchi quando allenavamo [gli juniores]…».

- II “famoso” Lanfranchi di quel “famoso” Mondiale di Lisbona 2001… A proposito di tradimenti...

«Quel famoso là». [ride, nda]

- Si è poi pentito secondo te, perché lì l’ha fatta un po’ sporca…

«Eh, c’ha un carattere Paolo che… Guard,a io con lui son stato lì un po’ di anni fa. Oh, ma se ti fermavi, ti diceva delle parolacce, eh… Dopo, magari, ti… Perché io andavo anche in bici coi ragazzi, così… Un po’ mi attaccavo alla macchina, lui guidava. O viceversa, io guidavo e lui… capito? Però… Un duro».

- Ma tu con Lanfranchi sei amico?

«Sì, sì…».

- Anche lui era uno dei “Mapei”, come Sassi.

«Certo, certo. Non so se ero con lui quando… Perché andavamo sempre lì, a Salò, a fare il ritiro. Non so se poi [Visentini] l’abbiam chiamato».

- Forse eravate lì, perché è a due passi…

«Certo, certo. Lui cos’è, di Gardone? Gardone. Non so se era con lui [Lanfranchi] o con un’altra squadra. Ma penso con lui [Visentini] l’abbiam chiamato e c’ho anche parlato ma era impegnato. E come dici tu, magari, sai… Magari certi ricordi, certe cose…».

- Visentini dice: Ma perché devo frequentare gente con cui… Invece come corridore come lo ricordi? Le sue caratteristiche...

«Forte. Anche perché non è facile trovare uno che va forte a cronometro, va forte in salita. Cioè: averne, adesso, di questi tempi qua... Non dico che farebbe dei sfracelli, però…».

- In volata era fermo, ma per il resto…

«In volata non era…».

- Perché se ne stava sempre in decima-quindicesima posizione a destra o a sinistra? Tutto quel vento in faccia... Aveva paura di correre in pancia al gruppo?

«Eh, magari sei un po’… Lo scalatore puro è così. O come era lui, così, non sei sgamato, scusa il termine».

- Gli uomini di classifica se ne stavano lì, ben protetti dai compagni, lui invece…

«Ma lì erano altri tempi. Adesso invece magari ti creano un castello, per modo di dire. Vedi i gregari cosa fanno, e sei più... Invece magari era lui che gli diceva: Lasciatemi lì tranquillo. Perché anche averne lì tanti...».

- E infatti spesso cadeva.

«Eh, capito? Diventa un… Ognuno magari poi si sente… E magari vuole essere libero di testa, più spensierato, correre tranquillo, magari anche in ventesima posizione».

- E magari prende più vento in faccia ma si sente più tranquillo

«Più tranquillo, magari sente meno lo stress».

- Invece del Roche corridore che cosa ricordi?

«Io non me lo ricordo tanto-tanto…».

- Era uno che limava molto, e si faceva amici in gruppo.

«Sì, era “bello”… Uno che [in bici] era bello… E però è esploso forte quell’anno lì, no? Perché io poi e prima…».

- Aveva fatto terzo al Tour ’85, ed era stato lì che Boifava gli aveva messo gli occhi addosso.

«Sì, dopo l’ha tenuto lì un attimo…».

- Nell’86 ha avuto un anno di infortuni.

«Sì, dispiace. Perché, come ti ripeto, te l’ho detto prima: io se voglio puntare al Giro... Cioè, posso anche dire: se ha fatto terzo al Tour, eh… È che le cose si “creano” d’inverno. Tu punti al Tour, Visentini punta al Giro. E vedere che uno ti attacca in discesa, col carattere di Roberto, che non è cattivo però…».

- ...un po’ fumantino sì…

«No, ma dico: le energie invece te le bruci magari anche in discesa, ma nella testa, cioè pensando: Ma pensa te questo qua… Perché dopo lui ha cercato di inseguirlo, una cosa e l’altra…».

- Anche il giorno dopo, nel tappone di Canazei.

«Eh, capito? Però lui [Roche] andava forte, perché Giro-Tour-Mondiale… Vuol dire che quell’anno lì aveva una gamba… E anche Roberto non era l’ultimo [arrivato], ma se tu sei “cento” e tu dietro ti stai bruciando, ti stai mangiando col pensiero quello che… È vero, perché poi diventa anche una cosa… Non c’è più quel… La squadra».

- Ma voi in gruppo, anche nei giorni successivi, avevate capito cos’era successo? E in corsa, per voi, che cosa cambiava? Tu come correvi, i giorni dopo, in Ariostea?

«Per noi non cambiava tanto, però “vedevi” una tensione…».

- In gruppo si avvertiva?

«Non c’era più quell’atmosfera di quando si parte. Magari, sai, noi magari anche la mezza battutina, uno o l’altro, così. Però, sai, si crea un ambiente che…».

- Roberto il Giro dell’86 l’aveva vinto, e anche in maniera abbastanza netta: è lì che hai visto il miglior Visentini della carriera? Lo vedevi che aveva proprio un altro passo?

«Sì, be’, dopo… Cioè perché lì diventa anche… Sì, ti senti la condizione, ma poi… Il fisico, dopo, la testa... Quando tu ti senti, non dico poi che sei, superiore a tutti, sei così. Però senti che la gamba va. Noi diciamo: il motore è preparato bene e sei in condizione. Poi il morale... Poi quando hai su la maglia… Ah. Io non l’ho mai messa, però sento da tutti che ti dà un morale che... è una cosa… E però poi, viceversa, quando ti senti, come ti ripeto, quelle cose che son successe, che un tuo compagno... Altrimenti diciamo a Boifava, o a chi per lui: Io voglio fare corsa parallela. La facciamo tutti e due, poi quello che andrà più forte, vincerà. Capito? Come nella vita: la sincerità, no? Sarebbe stato meglio che, magari, oh, se tu mi stacchi in salita, pace e amen. Però se a staccarti è uno che ti attacca in discesa…».

- Un tuo compagno…

«Eh, capito? Magari abbiam fatto la riunione il mattino, dopo mangiato, così, al tavolo, stiamo lì, facciamo la riunione e uno dice: Sì, sì, facciamo così, facciamo cosà… Anche perché pure lui... Va bè, come dici te... Io adesso non è che mi ricordo più tutto. [Roche] aveva fatto terzo al Tour, tanto di cappello, però dal Tour al Giro poi le cose cambiano, capito? Ma senza avercela né con l’uno… Questo è quello che, nel mio piccolo, ho visto io, no? Che poi si vede anche nella vita, no? La sincerità. Se siamo amici, non è che dobbiamo fregarci. Ripeto: non solo nello sport, ma anche quando è finito l’agonismo, così. Cioè: la sincerità, e dire quello che è veramente, penso che sia…».

- Come ti sei trovato quando hai smesso? Di colpo, l’impatto com’è stato? Ci sono corridori che fanno fatica a scendere di bici, anche con la testa. Tu come te la sei cavata?

«Sììì. Io ho corso fino a 39-40 anni, dopo».

- C’è però una bella differenza tra correre su strada e in mountain bike. Come popolarità, guadagni eccetera.

«Sì, be’, ma è logico. È logico».

- Quindi per te il passaggio è stato più facile, più morbido, perché comunque continuavi a correre?

«No. Ma all’inizio, sai, ho sofferto tanto perché la passione c’era [ancora] e m’avevan richiesto... Però un conto è fare mountain bike o le gran fondo, e un conto è fare il professionista [su strada], no? Cioè, dentro di te ti senti sempre… E dopo vado avanti col pensiero a dire: dopo, quando m’ha chiamato Ferron, non è che poteva chiamarmi dieci volte…».

- T’ha chiamato, e cos’è che t’ha fatto dire di no? Eri un po’ disilluso?

«La delusione che avevo dentro, dell’ambiente...».

- Perché comunque Ferretti t’aveva cercato, quindi magari...

«Sì, però prima, capito? Mi cerca magari a gennaio, a metà gennaio…».

- Hai l’impressione che ti avesse cercato magari pensando: tanto non mi può dirmi di no, e così gli do di meno…

«No, no, per quello no. Ma io ero… Quando sai che a settembre-ottobre non hai firmato e non ti cerca nessuno, questi qua, anche Stanga, Boifava… Per me non era la cifra, mi andava bene anche il minimo…».

- T’ha dato fastidio il modo?

«Il modo. Cioè: il modo di comportarsi, capito? Cioè: me lo potevano anche dire, invece ti cercano in tre... E anche là: potevo pure rimanere, poi alla fine sei lì, così… Ma non perché ti senti un nessuno, però dici: Ditemi il modo, così... Invece sembrava di dire: non lo prendiamo nessuno, crolla la cifra… Va bè, ma a me la cifra…».

- Si poteva anche discutere...

«No, ma anche se mi dai il minimo... Come poi Ferretti mi ha offerto a gennaio, quando mi fa: Ti do il minimo, e più dieci milioni [di lire] a vittoria. Tu stai a fianco a Moreno [Argentin], no? Perché io correvo con Moreno, mi trovavo bene, anche in pianura, le salite, così... Finché riesci gli stai vicino, e io gli ho detto: ’scolta, adesso ci penso. Ma ero talmente… Poi, sai, noi, noi montanari, così…».

- ...orgogliosi…

«L’orgoglio. Ti senti ferito, ti senti una delusione, capito? Che poi, ripeto, andando avanti, dopo due-tre mesi mi son sentito di dire: porco can, cosa ho buttato... Mi son pentito perché avevo ventotto, andavo per i 29 anni, ventinove, trenta, trentuno, trentadue... Avevo ancora quattro-cinque anni. Anche perché, dopo un’esperienza così, magari non trascuri più la “piccolezza”, cioè… Sono insegnamenti. Sono cose che ti… Però tante volte, in quell’anno lì, c’ho pensato... La stupidata che ho fatto. Ma non per orgoglio, proprio ero deluso... Dopo ho cominciato a correre lì e…».

- Hai detto che con Argentin avevi un buon rapporto. Sai che invece tra Visentini e Argentin non c’era tutto ’sto amore, no?

«Sì-sì-sì».

- Visentini aveva sempre la battuta pronta, a volte anche caustica. E al via del Giro ’87, a proposito di un Argentin tra i favoriti, Roberto aveva detto: “Sì, quest’anno per Argentin ci vuole la sveglia...”, per irriderne il ritardo in classifica generale. E nella tappa di Sappada, Argentin – me l’ha confermato lui stesso un mese fa, quando l’ha visto in crisi, gli ha detto: “Te la do io la sveglia”. Ha chiamato a raccolta i suoi gregari e li ha messi a tirare a tutta, alleanze in gruppo comprese, per dargli una bella suonata. Tu te le ricordi ’ste cose qua?

«Eh, sai, che non…».

- ...che non si prendessero è notorio. Ma non è che Moreno Argentin ha un po’ esagerato nel ricordo?

«No, no, per quello non è che…».

- Quella della “sveglia” era carina, però.

«Sono battute così, sai. Perché trovi le giornate che va forte uno, e tu magari per salvarti devi stare là, no? E invece accade… Capito? È tutto una volta a me e una volta a te, diventa una ruota, soprattutto i Giri lunghi, così, di tre settimane…».

- Volevo sapere se eri fra quelli che Argentin aveva messo a tirare, per quello te l’ho chiesto.

«Beh, non mi ricordo».

- Invece del mondiale dell’83 cosa ti ricordi?

«Eh, l’83, è stato bello però abbiamo sempre dovuto tirare. Io, Luciano Loro, quei cinque o sei… Ma poi è andata via una fuga e non so se c’era dentro nessuno di noi. Il circuito, lì, ad Altenrhein, su-giù, su-giù, e poi alla fine non so dopo quanto… Mancavano due o tre giri, ci siam fermati noi, Luciano Loro, adesso non mi ricordo, quei cinque-sei…».

- Greg LeMond era il più forte quel giorno. Anche tu hai avuto quella sensazione?

«Sììì, aveva proprio… Anche perché è arrivato “facile”, cioè veramente… Lo vedi subito. Hai visto quando [a Goodwood ’82] ha vinto Saronni, capito? Cioè: li vedi subito, poi, lì, il modo di… Perché sono giornate, come il mondiale, l’Italiano, quelle corse lì di una giornata…».

- Il piano-gara del Ct Alfredo Martini qual era? Come dovevate correre e per chi? Chi erano i capitani?

«C’era ancora Argentin, e chi c’era ancora? Saronni e Moser, erano sempre quelli, però… Sì, quelli lì, perché quando è andata via la fuga... Adesso non mi ricordo quanti erano ma avevano un bel po’ [di vantaggio]... Perché era tutta salita-discesa…».

- Tu dovevi chiudere il buco subito?

«Eh, noi poi ci siamo distrutti. Eravamo in cinque o sei. Avevo anche una foto di chi… Non so se c’era anche Amadori con noi davanti, o se tirava coi cinque o sei lì, che abbiam tirato... Poi mi ricordo bene Luciano Loro perché... Ma ci siamo distrutti. Perché poi recuperare dopo ’sta salita... Il percorso era veramente duro. La salita era di tre-quattro chilometri ma dura».

- Togliamoci l’ultimo dente: che cos’è successo tra te e Silvano Contini alla Tre Valli Varesine ’83 che hai vinto? Eravate compagni nella Bianchi.

«Eh, lì è arrivato incazzato…».

- Poi vi siete chiariti?

«Sì, l’ho trovato ancora… Quando correvamo, il figlio fa il giudice di gara. L’ho trovato ancora… E poi anche qua, gira sempre. Io e lui abbiamo un anno di differenza. Però quell’anno lì, quel periodo lì, avevo una gamba… Capito? No, ma tanto per dire. So che il capitano era lui, però siamo lì e… Capito? Ma io magari neanche pensavo di vincere, l’ho fatto [quello scatto] anche per dire: io parto, qualcuno mi verrà dietro».

- Invece no. Mi hai fatto pensare a Roche e Visentini, perché Contini era il tuo capitano però tu avevi gamba e sei andato.

«Sì, ma io, a dirti la verità, non ho pensato: vado e vinco. Vado… Adesso non so quanti chilometri mancavano, ma pochi: due-tre chilometri…».

- Silvano però se l’è presa molto, anche perché correva in casa. Vero?

«Eh sì, eh». 

- Fosse successo in un’altra corsa magari…

«E poi non so se lui l’ha vinta la Tre Valli o no, se gli mancava nel palmarès [Contini ha fatto terzo nell’80 dietro Beppe Saronni e Pierino Gavazzi; e secondo nell’83 dietro appunto Paganessi e davanti allo svizzero Serge Demierre, nda]. Forse era per quello, perché era lì, aveva una gran gamba, una cosa e l’altra... Cioè: il mio pensiero, ho detto: parto, mi vengono dietro, tirano la volata anche a lui, no? Invece poi è andata che nessuno ha tirato. Però, il diesse [Giancarlo Ferretti, nda], quando sono arrivato, non è che mi… Era incazzato nero, però, sai, va bè…».

- La corsa però l’avevate vinta voi della Bianchi, quindi più di tanto Ferron non poteva prendersela…

«Sììì. Però c’è anche la foto...».

- Qual è il corridore con cui ti sei trovato meglio, col quale hai più legato? Capitano o non capitano che fosse.

«Per dirti la verità, quando smetti, dopo tanti anni… Io poi sono uscito da giovane, così, capito? Però con Baronchelli, quando ci troviamo, anche lì alle feste…».

- Sai che è uscito il suo libro adesso?

«Sì, m’aveva detto qualcosa, l’ho visto questo inverno, siam andati a mangiare con [Giovanni] Bettineschi, quello lì della tappa del Giro, lì per andare in Selvino…».

- Anche il Tista è molto cambiato. Quando ancora correva era una specie di Visentini, e una volta smesso non ne voleva più sapere dell’ambiente.

«È una gran persona, guarda. Nell’83 andavamo sempre su in albergo, qua, si chiama Albergo Marino. Andavo sempre su io, lui, il dottor [Valter] Polini, in tre o quattro in una stanza, che facevamo degli allenamenti…».

- E con Prim invece? Non c’erano troppi capitani in quella Bianchi?

«Sì, però sai, c’era spazio per… Forse, sai cosa?, era una squadra, quella lì da – adesso – Giro e Tour, capito? Magari, invece di dodici-tredici, di venti corridori, no?».

- Tu hai corso in grandi squadre: Bianchi, Ariostea…

«...Sammontana».

- ...Sammontana. Grandi squadre, e tutte dello stesso livello. Rispetto alla Carrera, c’erano differenze? So che in Carrera non hai mai , però avrai parlato con...

«Erano tutte sullo stesso piano».

- Non c’era una squadra che si staccava dalle altre?

«Io ho visto [come lavorava] Ferretti, ma poi tutti... Ferretti però era… Una grinta, una roba… Anche organizzativa…».

- È vero che nelle riunioni pre-gara si metteva in un angolo, e magari saliva su una sedia, con voi tutti intorno, e per lui era come andare in guerra, e voi eravate i suoi Marines?

«Ma no, lì aveva… Però lui ti trasmetteva grinta, no?».

- Ma voi avevate la sensazione che la Carrera fosse più avanti?

«Mah, ti ripeto: Bianchi, Carrera, Supermercati Brianzoli, quelle... Non è come adesso che…».

- Adesso c’è il Team Sky che se ne sta lassù, e poi giù-giù tutte le altre. C’è troppa distanza ora, no?

«Quegli anni lì, quelle tre... Adesso non mi ricordo più, però non erano più di tre-quattro [grandi] squadre».

- E all’estero? L’olandese PDM, in Francia la Renault di Cyrille Guimard. Quali erano gli altri squadroni dell’epoca?

«Be’, quelle che hai detto tu. Son passati talmente tanti anni, però ce n’erano… Adesso vedi degli squadroni… Però, ripeto: tornando al discorso dell’inizio, così però sono soldi, ragazzi, che… Secondo me, io non lo auguro a nessuno, però si andrà a tornare…».

- Perché tante corse italiane sono scomparse? Solo una questione di soldi?

«Costan troppo. Ti arrivano quegli squadroni lì, ti vogliono l’albergo, una cosa e l’altra, magari i viaggi… Come fa, uno sponsor? Come fa, uno sponsor, ad accontentarli?».

- Pensa, per esempio, al Giro dell’Appennino: Baronchelli ne ha vinti sei consecutivi, era una gran corsa, all’epoca. E durissima, oggi neanche esiste più…

«Bellissima. Erano delle corse, ma . La Bocchetta, lì… Ma corse super, così è un problema. È che anche loro, magari hai disponibili, non so, sette e non riesci ad arrivare a nove-dieci, cosa fai? Gli sponsor, poi, adesso non so se c’è ancora il gioco del mi dai tot e la fattura… Però se non hai la liquidità…».

- Il ciclismo lo guardi ancora?

«Ma io vivo di ciclismo».

- E a guardarlo ti diverti?

«Scherzi? No, no, a me piace tutto lo sport. Però il Giro d’Italia o così o quello che c’è non [me lo perdo]… Se è possibile, che non sono in giro indaffarato, così… Tu nasci con nel sangue, come dicono, la passione del ciclismo no? Tu anche se… Anzi, uno che magari non riesce a dimostrare tutto quello che poteva magari gli rimane qualche rammarico...».

- Per te è così? Anche per Baronchelli è così.

«No, ma… Per lui magari al cento, io magari sarò al cinquanta, ma qualcosa ti manca. No, per modo di dire, capito? Perché lui ha fatto secondo al Giro, però ha vinto tante belle gare. Però, è logico, qualcosina…».

- La cilindrata, il motore del campione l’aveva, almeno per il fisico, forse gli mancava qualcosa sul piano mentale.

«Non per vantarmi ma io vedevo che in salita non andavo male. L’unico periodo che arrivavamo su, non so, andare in Presolana, è una salita che son dieci chilometri da dov’è che va su, e l’unico anno è stato l’83 che non mi staccava. Ma aveva un motore, una cosa... Anche di testa, e poi faceva una vita... Avevamo ’sta camera a tre, tutto lì, massaggi lì, tutto lì. Eh be’, se vuoi fare il campione devi fare una vita, la “vita” proprio…».

- Uno invece con cui non ti prendevi? Il tipo di carattere con cui non legavi, come direttore sportivo o come corridore?

«Mah, guarda anche il Miro Panizza, poveraccio, gran persona, magari ti sgridava…».

- Come Moser con Beccia. E invece tu con gli sceriffi? Moser, Saronni, Hinault…

«Ma no, ma no. Ma anche con Moser e Saronni non…».

- E con "Felicione" Gimondi invece come andava?

«Ma io, Felicion, sai che non…».

- C’era in Bianchi come figura di riferimento…

«Sì, c’era in Bianchi come figura però… Come quell’anno, sai, che girano i soldi... Poi, quell’anno lì, quando ho vinto la tappa, è bello anche non lasciarsi…».

- Quella di Arabba, dici?

«Eh, perché lì mi aveva detto che c’eran via i due spagnoli, no? Quando son partito io, sul Sella, m’ha detto: “Eh, dai, dammi una mano, eh. Invece son stato bravo, perché tante volte ti lasci… Son partito, son andato sui due spagnoli, in discesa li ho staccati e… te capi’? Perché anche loro son tutti aiuti… Dopo ho vinto ugualmente perché… Però è dura e... capito? Ti può succedere, sai, se non hai la squadra, allora gli dai una mano, magari ti prendono anche in squadra o… È bello anche dire: oggi provo a vedere dove arrivo, no?».

CHRISTIAN GIORDANO

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