Leali della libertà
Salò (Brescia), giovedì 1° febbraio 2018
- Allora, Bruno Leali, qua vedo una maglia tricolore e la foto capelli al vento, trent’anni indietro, se io ti dico: 1987, per te un anno magico?
«Sì, un anno magico per me perché ho vinto il campionato italiano, ho vinto il Trofeo Baracchi con Massimo Ghirotto, e nell’86-87, i due anni migliori della Carrera. Adesso parliamo di Bruno Leali, ma si sta parlando anche della Carrera, una grande squadra. A quei tempi era la migliore, o una delle migliori».
- La migliore ma non soltanto dal punto di vista tecnico. Eravate all’avanguardia in tante cose, penso ai tanti corridori che andavate a prendere all’estero, uno su tutti Roche, gli svizzeri…
«Mächler, Zimmermann, Mutter, Breu…».
- Mächler che quell’anno vinse la Sanremo…
«Sì. Breu… C’era Zimmermann, che ha fatto secondo al Tour. C’erano corridori forti. Mutter, vincitore di classiche, e poi Roche. Roche e Schepers, dei corridori forti».
- Anche dal punto di vista organizzativo eravate all’avanguardia. Siete stati la seconda squadra italiana ad avere il pullman per i corridori… La maglia: eravate avanti anche nel look, nei materiali...
«Noi soprattutto avevamo dei materiali, avevamo la Descente come abbigliamento, una delle migliori. Abbiamo creato… Cioè: la Carrera ha creato quel famoso pantaloncino che tuttora si vede, a distanza di trent’anni…».
- Nessuno aveva mai visto pantaloncini che non fossero neri, e figuriamoci color jeans.
«Di jeans. Davvero. Di "tessuto" jeans, con tasche addirittura sul sedere, come si dice. Insomma, veramente all’avanguardia. Come, giustamente, siamo stati una delle prime squadre ad allenarci al caldo, a Denia, in Spagna. E tra le prime squadre in tutto, anche ad avere un organigramma consistente, 24-25 corridori, di cui italiani forti: Bontempi, Visentini, italiani poi c’ero io, Ghirotto, Perini... I famosi gregari e poi anche una schiera di stranieri forti».
- Il merito era più di Boifava, di patron illuminati - i fratelli Tacchella - o della struttura? L’idea di essere così all’avanguardia, così avanti, a chi è venuta?
«Credo che l’idea sia stata di Boifava di creare una squadra all’avanguardia, andando avanti, creando anche una struttura per dare il massimo ai corridori. Perché noi, come materiali, come tutto, avevamo... Anche come dottori: curavamo l’alimentazione già allora, le plicometrie, i cardiofrequenzimetri. Siamo stati tra i primi ad avere i cardiofrequenzimetri. E poi, naturalmente, tutto era supportato da uno sponsor come la Carrera, ché loro praticamente volevano "immagine". L’immagine della azienda era quella: noi abbiamo una sede in una villa a Verona (a Caldiero, nda)... E di conseguenza volevano trasmettere quell’immagine anche della squadra. Dare un’immagine, dare un segno che, quando si andava alle corse, si andava in giro per il mondo... con un certo stile».
- Eravate immediatamente riconoscibili anche in borghese. Non mi riferisco solo alle tute ma anche alle divise "di rappresentanza", con quelle famose giacche, tipiche dell’epoca, quell'abbinamento di colori, quel tipo di fantasia.
«Sì. E addirittura ti dico questa. Un anno i Carrera – Tito e Imerio Tacchella – hanno addirittura fatto scegliere a noi corridori la divisa. Cioè: non è che eravamo tutti vestiti uguali. Sì, avevamo il classico vestito di rappresentanza, giacca e cravatta… In jeans, naturalmente. Però, anche quando eravamo alle corse, io potevo scegliere un "tubino" particolare, un maglione particolare. Dopo, naturalmente, al ristorante, quando si andava a tavola, tutti vestiti uguali. Però già quando si andava negli aeroporti, si andava così. C’è stato un anno che han fatto scegliere a noi il completo, ecco. È stata una cosa anche bella, carina, simpatica, ecco».
- Eravate una specie di Team Sky con trent’anni di anticipo o, se preferisci, il Team Sky è la Carrera di quest'epoca?
«Ma sì, sicuramente. Sai, Sky, ha tutt’altro budget, è un’altra cosa. Naturalmente, sì, noi lo eravamo un po’ in forma ridotta…».
- Sì, intendo fatte le debite proporzione, in rapporto a quei tempi…
«Per quei tempi, ecco. Tieni conto che noi, quegli anni là, adesso non voglio dir stupidate però abbiam vinto 45-46 corse un anno e una cinquantina l’anno dopo. Tra cui Giro, Tour e mondiale [nel 1987, nda], cioè: non so che altre squadre, quegli anni là, facevano quei numeri lì».
- Ecco: forse, a differenza del Team Sky, a parte che la forbice con le altre grandi squadre all’epoca era molto più ridotta, voi però non eravate concentrati solo sul Tour, o comunque solo sulle grandi corse a tappe, ma anche sulle classiche.
«Anche sulle classiche, sì».
- Soprattutto: tante corse italiane.
«Sì, noi abbiam vinto tante corse italiane. Nell’86, Guido Bontempi ha vinto cinque tappe al Giro e tre tappe al Tour. Cioè…».
- Il tutto facendo pure classifica, voi come squadra intendo.
«Facendo classifica. Avendo un Roche o un Visentini che facevan classifica. Ecco, tutto sommato abbiam vinto. E io, che ero un gregario, nell’87 ho vinto quattro corse. Cioè: il mio ruolo era aiutare Bontempi nelle volate, aiutare i capitani per la salita. Visentini, Roche e prima ancora Battaglin, e non mi voglio dimenticare di Giovanni che per me è stato un maestro. Come per me è stato un maestro Roy Schuten [suo compagno nella Inoxpran nel 1980, nda]. Mi ha aiutato molto. E gli stranieri. Ma già allora, i primi anni della Carrera, c’era già questo arrivo di stranieri che portavano novità e miglioramenti a tutto il team».
- Mi hai dato due tre assist in fila. Hai citato Bontempi, uno dei tuoi grandi capitani, poi Roche e Visentini. Tu hai fatto dieci anni con Boifava diesse: fra voi c’era un solido rapporto di amicizia che andava al di là del ciclismo?
«Sì, io ho fatto più di dieci anni, perché ho fatto… Son stato dal '79…».
- Sì, intendevo dieci anni in Carrera e, prima, la Inoxpran…
«Sì-sì-sì, ma tuttora siamo amici. Ogni tanto passo dalla sua azienda. C’è un ottimo rapporto, siamo rimasti in ottimi rapporti. Mi ha anche dato dei consigli fuori del ciclismo, ecco. In questo, è stato un ottimo direttore sportivo, un ottimo consigliere».
- Dopo il periodo in Carrera, che cosa ti ha fatto prendere un’altra strada professionale?
«Mah, c’è stato un piccolo... Così, un "riconoscimento" che credevo di meritarmi. Mi sono arrabbiato e sono andato via».
- Ti riferisci a un riconoscimento di tipo economico o di [mancate] gratificazioni in corsa?
«No, economico. Perché io credevo di meritare qualcosa in più. Quando altre squadre mi offrivano molto, molto di più, io sarei stato ancora in Carrera, anche per meno, ma non "troppo" meno».
- Più che comprensibile. Torniamo ai capitani, quelli a cui sei particolarmente legato. Non posso non chiederti cosa successe in Carrera al Giro dell’87. Se ti dico "Sappada", trent’anni dopo, che cosa ti viene in mente?
«Mah, sai, "Sappada"... Trent’anni dopo è venuto fuori, si può dire: l’unico sassolino da togliere è dalla scarpa della Carrera, ecco. Sinceramente ti dico: veramente ancora non so cosa è successo. Sicuramente ci son state delle incomprensioni, o delle mancanze di presa di posizione di qualcuno che, in quel momento lì, non è stato capace di prendere in mano la situazione. Perché sai bene che, con due galli nel pollaio, [sorride, nda] a volte il terzo gode. E noi abbiamo rischiato questo qua, ecco. I patti erano che si arrivava alla crono di San Marino, l’abbiam ripetuto, lo sanno tutti: a San Marino chi è che era maglia rosa diventava capitano. Ecco».
- E lì andò fortissimo Visentini.
«Andò fortissimo Visentini. E dopo quello che è successo a Sappada, sicuramente c’è stato qualche dissapore da parte di Roche nei confronti di Visentini. Roberto che, ripeto, è un mio carissimo amico e tuttora ci sentiamo, e ogni tanto ci si vede. È un tipo molto nervoso, molto… E lui, secondo me, si è fatto prendere... Più che una crisi fisica è stata una crisi di nervi, la sua. Sicuramente».
- E che poi lo ha portato a non alimentarsi, quindi ad andare pure in crisi di fame…
«Arrivato lì, in fondo alla salita, s’è trovato solo. Perché noi avevamo lavorato per lui e di conseguenza si è trovato (giù) di gambe, e più che altro senza "testa"».
- Altri direttori sportivi dicono, ancora oggi: ah, lì però Boifava non doveva andare a dire a Leali di tirare. Ti risulta? È andata davvero così o non è vero che hai ricevuto ordini di quel tipo dall’ammiraglia?
«No. Noi abbiamo fatto quello che in quel momento lì ritenevamo giusto fare. Allora non c’erano radioline, non c’era tutto quanto…. Allora, quando arrivava l’ammiraglia, il gruppo aveva già tre minuti. Noi tiravamo perché Visentini era maglia rosa. E per noi era lui l’unico che poteva… Poi, quando ci ha sorpassato Quintarelli, che è andato sulla fuga davanti…».
- Quintarelli era sulla ammiraglia davanti e Boifava su quella dietro?
«Quintarelli davanti e Boifava didietro. E lui [Quintarelli, nda] è andato davanti e ha detto a Roche di non tirare, e invece tirava. Ma lì si sono messe insieme un po’ di cose e secondo me c’è stata una mezza combine, davanti, con gli stranieri. Adesso non ti so dire se sia stato Roche, che è stato bravo a fare la combine o no, però qualcosa c’è stato. C’è stato».
- Roche, nei suoi tre libri, cambia versione, non è coerente. Una volta scrive una cosa, una volta un’altra, però lui sostiene di essersi agganciato alla fuga di Ennio Salvador (che vedrò domani, nda) e di aver pensato: mal che vada provo a vincere la tappa, poi se i Panasonic (di Breukink e Millar) vogliono muoversi, allora che si mettano loro a tirare o a far tirare. Roche poi ha attaccato in discesa per due volte. E ha dimostrato di avere più gamba. Veniva da una gran Parigi-Nizza persa per una foratura nel finale. Aveva vinto il Romandia e la Volta Valenciana. Alla Liegi lui e Criquielion si erano fatti beffare dalla rimonta di Argentin. Visentini aveva vinto il Giro l’anno prima perònell'87 non è che avesse fatto molto. Roche, invece, dopo un anno di infortuni, si sentiva forte. E poi lui avrebbe dovuto correre per Visentini al Giro e viceversa al Tour, ma Visentini al Tour non voleva andarci.
«No».
- È vera ’sta cosa qua?
«Sì, Visentini non è mai stato amante del Tour, lui purtroppo era un corridore a cui piaceva molto [solo] il Giro d’Italia».
- Diciamo le corse italiane: la Tirreno-Adriatico…
«…la Tirreno-Adriatico e... Ma già la Sanremo, quelle poche volte che l’ha corsa, l’ha corsa malvolentieri. Il Tour lui non l’ha mai digerito, eh».
- Ma perché? Tanti addetti ai lavori, anche tecnici (Cyrille Guimard in primis), pensano che, paradossalmente, il Tour sarebbe stato una corsa più adatta alle sue caratteristiche. O anche classiche del nord tipo la Liegi.
«Mah, allora: la Liegi, ti dico che, conoscendo Roberto, le sue caratteristiche - io ho corso tutti gli anni con lui - e quando c’era da lottare facava fatica. Faceva fatica. E lui aveva bisogno di: o destra, o sinistra; non era capace a stare in mezzo al gruppo».
- È vero che correva sempre in "decima posizione a destra"? Prendeva tanto di quel vento in faccia…
«Sììì, difatti… Difatti, era uno che prendeva tanto vento, non era capace di… E le corse, specialmente al Tour, i primi dieci giorni... Io ne ho fatti sei di Tour, so come sono. C’è da lottare. C’è… Coltello in bocca e via, guardare in faccia a nessuno. Corse in Belgio, idem. Idem. E, secondo me, lui sprecava talmente tante energie, anche nelle posizioni…».
- Orlando Maini mi ha detto una battuta meravigliosa: «La gente dice: "Ah, Visentini forte a cronometro…". Eh, ci credo: per lui ogni corsa era a cronometro». [Ridiamo, nda]
«Sì, sì, ma infatti… Ma anche con noi. Noi ci allenavamo sempre insieme ma lui sempre o a destra o a sinistra, o dieci metri indietro o davanti…».
- Questo perché aveva paura di stare in gruppo, magari di toccare la ruota di quello davanti o che gli toccassero la sua dietro?
«Sì, aveva un po’ paura, lui voleva sempre avere spazio in parte. Poi, era uno che ,specialmente prima del Giro d’Italia... Ma sai, lui era un corridore che aveva grande classe, però, quando arrivava al Giro d’Italia, era (anche) molto determinato».
- Mi tratteggi i due corridori, Roche e Visentini, da un punto di vista tecnico? Analogie e differenze? Perché il motore ce l’avevano tutti e due…
«Sì…».
- In che cosa si differenziavano?
«Roche, secondo me, è un carattere "nordico", forte, duro, abituato a lottare. L’hai detto tu prima, veniva da un infortunio, ha lottato…».
- Aveva lottato anche per diventare corridore…
«Ha lottato…».
- Non dico da emigrante con la valigia di cartone ma quasi, dall’Irlanda alla Francia, senza neanche sapere la lingua…
«Sì-sì-sì. Da dilettante è andato a correre in Francia. No, ma sicuramente. Era come un po’ i russi che vengono da noi adesso, eh…».
- Aveva ancora fame, è questo che mi vuoi dire?
«Sì, sì: ancora fame. Un corridore che, dopo, ha avuto classe. Perché nessuno mette in dubbio la classe di Roche. E, secondo me, come classe, Roche e Visentini erano simili, eh».
- Più completo forse Roche, perché l’altro in volata era zero.
«Sì, bravo. Roche forse un po’ più forte in volata. E, dal mio punto di vista, era un po’ più costante nell’arco dell’anno. Roberto invece mirava le “sue” corse, poi delle altre non gliene fregava niente. Ecco. Ma come classe, come doti, erano simili, eh. Perché sia Visentini sia Roche, fortissimi a cronometro; sia Roche sia Visentini andavano forte in salita. Perché tutti e due andavano forte. E l’unica cosa in cui peccava un po’ Visentini era la concentrazione, lo stare concentrato».
- C’è un altro aspetto, quello del saper leggere la corsa. Roche forse in quello era superiore, come lo era nel concedere favori, crearsi alleanze e simpatie in gruppo, queste cose qua. Magari l’altro era più un solitario.
«Lo stavo dicendo adesso io, mi hai anticipato tu. Roche era più, come si dice in gergo, adesso, nel Duemila, più "politico"». [ride, nda]
- Mi sembra una buona definizione.
«Era capace di sistemare delle situazioni in cui Visentini invece era più diretto…».
- Le sue famose frasi. Per esempio, “Stasera qualcuno va casa», sotto il palco dell'arrivo a Sappada. Tu l’hai sentita? Eri lì vicino a lui?
«Sììì, ero lì. C’ero: "a casa". E qui mia [in dialetto bresciano per "bisogna", nda] mettere in chiaro le situazioni ma anche il fatto, coi corridori, che se uno gli stava sui… lui lo snobbava subito. Insomma, mica andava… Roche invece ti prendeva, ti "girava", o mandava davanti Schepers, o andava da Boifava, o così. Invece lui, Visenta, era diretto».
- Ma nelle riunioni della Carrera c’era questo patto - magari tacito, non scritto - di Visentini capitano al Giro e Roche capitano al Tour. C’era questo patto o no?
«Sì, c’era un patto fra di loro».
- Fra di loro? Quindi non di squadra?
«Tra Boifava e loro. Però è un dato di fatto che al Giro noi siam partiti con due capitani. Ed è sempre stato detto che dopo la crono di San Marino, la squadra si sarebbe messa al cento per cento a disposizione di chi era maglia rosa a quel punto lì. Ecco, Roberto, secondo me, si è arrabbiato molto per il fatto che, se le cose erano così, perché poi…».
- È la mancanza di lealtà che più l’ha ferito?
«Dopo, che le cose siano andate in modo… Bene anche per la Carrera, per noi che abbiamo vinto con Roche, però Roberto ci è rimasto…».
- Quella famosa frase che gli attribuiscono: ah, no-no, io a luglio "sto con le balle a mollo", al mare o al lago, a seconda delle versioni, l’ha detta, non l’ha detta, può averla detta? Tu che lo conosci…
«Per me può anche averla detta. Perché, conoscendo il ragazzo, il suo modo di fare… Poi, magari, lo sentivi ragionare, "riveniva" su sulle sue cose, però era uno che… "Ah, che vuoi che sia...". Ti faccio un esempio. Boifava chiamava me quando non riusciva a parlare con Roberto… Perché io abito a Salò, prima abitavo a San Felice, ci trovavamo sempre a Salò, all’edicola di Boifava che era il punto di incontro e in "Fossa" a Salò. Era l’edicola del fratello di Davide. Il nostro appuntamento era lì. Però ho detto: "Roberto, a gennaio, perché dobbiam trovarci alle otto e mezza, che siamo in un bel posto, alle dieci ci sono dieci gradi, tutti ce lo invidiano... Otto e mezza. No, perché lui faceva: otto e mezza-undici e mezza-mezzogiorno e poi doveva andare a sciare. Ecco».
- Ecco, qua ti voglio chiedere una cosa e tu magari la sai meglio di tutti. Questa cosa dell'avere "alle dodici i piedi sotto al tavolo" perché a quell'ora voleva pranzare, è vera quindi? Alle dodici precise.
«È vera, è vera. Sì, ma guarda che lui... Io ho abitato a San Felice, lui a Gardone: alle otto mezza a Salò, io dovevo partire alle otto e un quarto, otto e dieci, e lui idem. Perché eravamo tutti e due a 4-5 chilometri, e ad arrivare in bicicletta ci vuol quel tempo lì. Poi, d’inverno, non è che… Devi stare anche attento, tempo umido, un po’ bagnato… tutto quanto. Lui, otto e mezza. E ti giuro – ti giuro – che lui non è mai arrivato una volta un minuto in ritardo. Anzi».
- Arrivava prima lui?
«Arrivava prima lui. Io ho anche provato ad arrivare due minuti prima, tre minuti prima, era già là. Era già là. Cioè… Però lui, per mezzogiorno, voleva essere a casa».
- Piedi sotto al tavolo...
«Anche undici e mezzo o mezzogiorno. Anche d’estate, non è che partivamo, non so, alle sette o alle sei… [Giancarlo] Perini diceva: Eh, io, cacchio, abito a Piacenza, parto alle sei di mattina. No: con Roberto, lui, otto e mezza, otto e mezza-nove; una, una e mezza eravamo a casa. Tot. chilometri. Perché poi, dopo, noi allora non ci allenavamo tanto, perché correvamo sempre».
- Duecento giorni l’anno in sella.
«Poi, allora le corse erano di 270-280 [km]…».
- E i trasferimenti non erano certi quelli di adesso. Quanto facevate di allenamento, quattro ore il giorno?
«Sì, al massimo, facevano la nostra sgambatina. Facevamo sempre due-tre ore».
- A ritmo alto però...
«Sì. Sì. Noi avevamo un bel ritmo. Anche quando registravamo sul cardiofrequenzimetro, avevamo sempre 35-36 [km/h] di media. Con le salite, così, andavamo. Magari non tantissimi chilometri, però… Perché le corse nostre, si partiva, i primi 100-120 chilometri si facevano a passo d’uomo».
- Andatura non turistica ma…
«...ma quasi. Allora, di conseguenza, non c’era questo ritmo frenetico. A noi interessava avere il cuore in una certa maniera…».
- In un colpo mi hai spazzato via tutte quelle balle, quelle dicerie… Ah, troppi soldi, troppo bello, le macchine, le donne… Non ha bisogno di guadagnare, non ha fame, non fa vita d’atleta. Le hai spazzate via così, in un sol colpo, perché Roberto la vita d’atleta la faceva eccome.
«Lui durante e prima il Giro d’Italia faceva vita d’atleta. Dopo, durante l’anno, magari si lasciava un po’ andare. Però non crediamo che sia tutto quello che si dice…».
- Ma c’era un po’ di invidia nei suoi confronti? Più che in gruppo magari fuori…
«Mah, sai, c’era invidia perché lui veniva alle corse col Ferrari. Cacchio, veniva a correre sempre con l’orologio, col Rolex, hai capito? Ma veniva da una famiglia benestante, cosa vuoi dirgli?».
- Poi lui diceva: Ah, certi miei colleghi altro che Ferrari, potrebbero comprarsi l'elicottero…
«Sì. Te lo dico io però te lo può confermare anche Boifava, più che gli altri, quelli vicino. Però lui quando c’era da allenarsi, quando arrivava a venti giorni, un mese, prima del Giro d’Italia, pioveva, lui usciva. Io mi ricordo le parole di un altro grande, che era Roger De Vlaeminck - è stato un mio idolo quando ero ragazzino e ho avuto la fortuna di conoscerlo - Allora, mi ricordo che m’ha detto: "Bruno, cacchio, io quando ero a preparare le classiche, io alle otto mezzo-nove uscivo in bici. Perché tanto la domenica il Fiandre alle 10 parte, piove o non piove, la corsa parte". Capito? Questo vuol dire che l’allenamento lo devi fare. Hai capito? E questo era anche Roberto, questo io mi ricordo. A volte, prima del Romandia, quando mancavano venti giorni e… Andava. Usciva sotto l’acqua. E c’era la mantellina, allora non c’erano… Noi che alla Carrera avevamo già il goretex, sotto metteva il sacchetto dello sporco [la spazzatura, nda], perché faceva due-tre ore sotto l’acqua, per allenarsi. Come ho fatto anch’io, un anno, prima del Fiandre, la domenica prima del Fiandre, ciclo di allenamento sotto l’acqua. Una settimana che pioveva, un giorno stai fermo, due giorni fai i rulli, il terzo giorno rifai i rulli, ma al quarto giorno devi andare in bicicletta. Purtroppo il ciclismo è uno sport… Visto che anche te vai in bici, hai provato sulla tua pelle…». [sorride, nda]
- E ho provato pure l'andar per terra… Quello ti apre la mente, se poi il ciclismo devi anche raccontarlo per mestiere.
«Hai capito? Ecco…».
- Per non fartela troppo lunga con ’sta "Sappada", quella sera lì m'immagino l’atmosfera in albergo all'arrivo dei patron Tacchella…
«Han chiuso l’albergo. Chiuso l’albergo, e io neanche riuscivo a parlare con mia moglie…».
- Tu con chi eri in camera?
«Non mi ricordo se ero con…».
- In camera con Visentini c’era Cassani, giusto?
«Sì, con Visentini c’era Cassani. Roche con Schepers. Io non so se ero con Ghirotto o con Perini. O con Ghirotto o con Perini, giravamo noi tre. "I tre dell’Ave Maria" siam questi qua. [ride, nda] I tre moschettieri eravamo noi, ecco. Siam rimasti ancora legati…».
- Eh sì, anche perché abitate tutti qua, in fazzoletto di terra, no? Come distanze...
«Sì, io e Guido [Bontempi] siamo assieme. Guido ha fatto degli inverni qui a casa mia. Veniva su perché di là c’era la neve. Andavamo ad allenarci, al giro del lago [di Garda]. Ecco. Con Perini e Ghirotto son rimasto in ottimi rapporti. Con Ghirotto anche perché abbiamo la stessa passione della caccia. Tutti e tre».
- Domani vado dal "Ghiro".
«Ogni tanto ci sentiamo, con lui, con "Pero". Con Guido un po’ di più perché siam più vicini, poi ogni tanto ci troviamo anche delle cose in comune».
- Guido Bontempi ha la passione della moto.
«Sì, sì, adesso va a fare moto-staffetta. E ma l’ha sempre avuta, lui, la passione della moto, eh. Sempre-sempre. Mi ricordo ancora, quando eravamo in Carrera, aveva sempre avuto la moto».
- Ti volevo chiedere di una curiosità: i Tacchella stavano arrivando in elicottero, ma a Venezia per il G8 c’era Reagan, e non li facevano atterrare. Li han fatti atterrare lontano per motivi di sicurezza e quando sono arrivati a Sappada che ora era?
«Certo, sì. Sì, son arrivati tardi, erano le dieci e mezza-undici, forse undici e mezza-mezzanotte, sì. In realtà, stavam per andare a dormire, so che han fatto una breve riunione».
- Ma l’atmosfera com’era, pesantina?
«Eh, abbastanza pesante, sì».
- E anche il mattino dopo, a colazione, immagino che magari ognuno fosse un po’…
«So che lì di Roche si diceva che non era venuto giù neanche a cena, era rimasto in camera. E noi siam andati giù ma han chiuso l’albergo. Non facevan entrare nessun giornalista. Nessuno».
- Neanche Angelo Zomegnan, che parlava bene inglese e con Roche era in confidenza?
«No, no, no».
- Sai che solo un giornalista pare sia entrato in camera di Roche quella sera? John Wilcockson, un giornalista britannico che adesso vive in Colorado e collabora con la rivista americana Peloton. Pare sia stato l’unico a raccogliere le confidenze di Roche…
«Mah, so che un giornalista che è entrato dentro è [Angiolino] Massolini del [quotidiano Brescia Oggi]… Massolini è entrato, lo so perché…».
- Ma da Roche o da Visentini?
«No, da noi, da noi… A parlarci assieme. E so che [Tito] Tacchella è stato chiarissimo, ha detto: a me non interessa…».
- ...con chi, ma qua bisogna portare a casa il Giro?
«M’importa vincere. Sai, lì, dice: "Io avevo già pronte, non so, 50mila, 100mila camicie rosa. E a me interessa… Se volete prendere gli stipendi fino a fine anno...". Sì-sì, ma è stato chiaro. Chiaro-chiaro…».
- Chiappucci arrivava dalla duplice frattura - piede e clavicola - al Giro di Svizzera dell’anno prima. Era giovane e aveva paura di restare senza contratto: qua ci mandano a casa tutti. Quindi il suo primo pensiero era difendere la maglia rosa, chiunque della Carrera fosse a indossarla, perché sennò saltava tutto quanto.
«Tutto, tutto… Sì-sì. In quel frangente lì, ha parlato più Imerio che Tito. I due che conoscevamo erano Tito e Imerio. Domenico era quello che si occupava dei poderi agricoli che avevano. Tito e Imerio erano i due… Imerio era quello più sul commerciale…».
- Ma quindi c’era una Carrera un po' spaccata o si trattava delle solite esagerazioni giornalistiche? Perché poi, alla fine, voi dovevate difendere la maglia rosa, no?
«No, c’è stato un po’ di… Perché noi avevam capito che Roche e Schepers erano… da una parte, e l’altra parte era più su Visentini».
- Il nucleo italiano era più per il Visenta?
«Noi, alla fine, quello che ci è stato detto l’abbiam fatto. Perché si fa così. Tirar così, l’abbiamo sempre fatto. Fino alla fine. Però, certo, il mio… Io ho sempre puntato, cioè "io"… Noi, come Carrera, Boifava ci ha sempre detto di far gruppo. Eravamo un gruppo molto unito. Molto… Anche se, a volte, nel pollaio qualche galletto c’era, però eravamo molto, molto uniti…».
- Per esempio, tra “Guidone” Bontempi e Chiappucci un po’ di elettricità c’era, no? Anche per i materiali, a volte in Carrera tra i corridori si facevano figli e figliastri…
«Sì, Guido [Bontempi] e Chiappucci, magari c’era qualcosa tra Visentini e Roche. Ma anche un po’ prima di questa… "Sappada", forse, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Però c’è sempre stata un po’... Due galli "simili", così, ecco. Difatti noi abbiam sempre puntato su Bontempi, altri velocisti non son mai venuti a "contrastare". Però, ti dicevo, che noi siamo stati molto uniti in corsa, in allenamento, nel dopo-corsa. Eravamo molto, molto uniti».
- Era anche la vostra forza, no? Al di là del vostro valore individuale come corridori.
«La nostra forza era questa qua. Ci bastava uno sguardo fra di noi e [ci capivamo] subito. Poi, certo, fra di noi a volte ci son stati dei momenti in cui magari… Ma più che altro, sai, quando hai a che fare con i velocisti... Ti racconto questa qua, al di fuori di Sappada. Noi tiravamo e Bontempi non voleva far la volata. No, adesso la fai la volata, noi tiravamo… E poi vinceva, cioè, capito? C’è stata questa unione che praticamente ci… Ci sopportavamo a vicenda, capito? Ma anche perché andavamo d’accordo. Poi se c’era da fare uno scherzo, se c’era da fare una (battuta)… Li facevamo».
- Ecco, questa cosa qua, nel ciclismo di oggi non la vedi, o la vedi meno. Manca un po’ questo cameratismo… Il vostro era forse un ciclismo più pane e salame. O ti sembra una semplificazione.?
«Nooo... Allora, adesso il ciclismo è cambiato tantissimo. Le cose sono andate avanti. Però il ciclismo è rimasto ancora uno sport antico. Antico. Di conseguenza, non c’è più questo rapporto umano fra i corridori».
- Capita anche che non si conoscano tra loro neanche corridori della stessa squadra, perché uno va in Cina… Un altro va… C'è la doppia e anche tripla attività.
«Io ho incontrato dei ragazzi che mi dicono: "Ma io ho visto un corridore alla fotografia (della squadra, alla presentazione ufficiale, nda) poi forse l’ho visto una volta nell’arco dell’anno". Hai capito? Ma poi anche il fatto che noi, una volta, non c’erano tutti questi mezzi di comunicazione, i computer, i cellulari, i telefonini, l’ipad, l’iphone, quelle cose lì. E dopo la tappa ci si sistemava in fondo alla hall dell’albergo, ci si parlava, ci si trovava, c’era Saronni, c’era Moser, c’era Panizza…».
- Al biliardo Argentin e Saronni che si prendevano in giro…
«Bravo».
- Ci credo che sei bravo, ce l’hai in casa. Be’, compratelo anche tu… Queste cose qua.
«Sì sì… Ma come ai mondiali di Montello [nel 1985, nda]. Saronni e Moser si beccavano per l’elicottero [Leali si riferisce alla crono conclusiva di Verona al Giro '84, Moser batté Fignon, si sussurrò, grazie anche alla scia dell'elicottero Rai, nda]: "Eh, l’elicottero va a cosa? Va a metano? Va a gasolio? Eh, ma no sul gasolio si ghiaccia", insomma questo qui… Stupidaggini. Capito? Però sono cose poi che fanno… [ride, nda] E così anche dopo le tappe. Ma io mi ricordo, fuori dell’albergo, seduti sui gradini, si parlava, arrivava Panizza e faceva lo show. E invece adesso questo qua non c’è più. Camera. Scendono, mangiano e vanno su, si chiudono in camera. Ma credo che anche fra compagni: non vanno mai l’uno dell’altro. Noi invece andavamo in camera di quello e di quell’altro».
- C’era un’atmosfera da gita scolastica…
«Sì, un po’ più uniti, ecco. Forse perché, ti ripeto, c’era un blocco di corridori, otto corridori, che facevamo le classiche in Belgio, i grandi giri. Cambiavano i due-tre capitani, i cinque-sei corridori, mettevan dentro Visentini, gli scalatori, con Battaglin c’era [Luciano] Loro, perché eran quelli che andavan in salita. Però con Visentini magari c’erano… Mächler, Bontempi, Leali…».
- Per esempio al Giro dell’86 Visentini aveva Bordonali che fece un lavorone, vero?
«Sì, Bordonali, hai capito? Però…».
- ...lo zoccolo duro era quello lì.
«Sì».
- Al Tour '87 avevate una Carrera ancora più forte rispetto a quella che aveva appena vinto il Giro. C’era un giovane in meno come Chiappucci e rientrò Perini…
«Io quell’anno lì non l’ho fatto il Tour perché avendo vinto l’italiano... Anche se Boifava fino all’ultimo ci sperava che io andassi al Tour. E infatti nell’intervista ha detto: “Se ci ripensa, il posto per Leali c’è sempre». Poi avevo fatto il Giro d'Italia e il Giro di Svizzera, il campionato italiano e, dopo due anni in fila che facevo Giro-Tour, Giro-Tour… Volevo recuperare. E avevo portato su a Cortina d’Ampezzo mia moglie e mie figlie. Però ti ripeto: quell’anno lì, c’è stato un grande Perini. Perché, quell’anno lì, Perini è andato fortissimo al Tour. Io credo che un grosso merito ce l’abbia, Giancarlo».
- Mi racconti la figura di Patrick Valcke? Era il meccanico di fiducia di Roche, ancora non conosceva bene l'italiano e lui, Roche e Schepers vivevano un po' per conto loro. Com’era la triade? Li chiamavano "il Diavolo" (Valcke), "Giuda" (Roche) e "il Ribelle" (Schepers). Valcke era anche un po' un tuttofare e un uomo di fiducia per Roche, che lo aveva avuto alla Peugeot e poi se l’era portato prima alla Carrera e infine alla Fagor.
«Sì, alla Fagor. Sì, è stato l’uomo di… Praticamente il suo autista, faceva il meccanico, autista, massaggiatore. Faceva un po’ tutto. Era quello che, secondo me, ha un po’…».
- ...fomentato?
«Ha un po’ fomentato le cose, sì. Sì. Son quei personaggi che, all’esterno di un grande campione, sono in ombra ma... Alla fin-fine, era molto…».
- Voi come lo percepivate questo Valcke?
«Io so… “So”… Credo di aver capito che lui era molto… Roche ascoltava molto quello che Valcke diceva. Anzi forse…».
- Dici che un po’ lo influenzava, cioè quasi… Non dico che lo plagiasse ma che un po’ lo manipolasse sì?
«Sì, per me sì. Per me lo ha manipolato. Parecchio. E secondo me certi atteggiamenti di Roche erano dovuti anche a Valcke, sì-sì…».
- A Valcke più che a Schepers? Però anche Schepers, come Valcke, Roche se lo è portato alla Fagor. Ti ricordi, al Giro '87, la fuga sul Terminillo? Vanno via Bagot e Schepers, che all'arrivo neanche ci prova a fare la volata. E a Bagot dice: tu vinci la tappa però poi ci aiuti… E l’anno dopo si son ritrovati tutti alla Fagor: loro tre, Millar…
«Sì, certo… Millar che era anche lui in fuga, a Sappada. Sì, per questo ti dico. Sì, infatti anche a noi il dubbio è venuto…».
- E anche i giorni prima, Erik Breukink, capitano di Robert Millar alla Panasonic, al traguardo ai giornalisti chiedeva: "Millar per chi corre?".
«Sì, sì, infatti. È quello che abbiam detto anche noi. Il dubbio è venuto anche a noi: che con Millar ci fosse già un mezzo accordo. Se li è trovati in fuga, però chi mi dice che non fosse già [d'accordo]…».
- E invece Belleri? Era più un dirigente, un team manager, che un addetto stampa. Che figura era, quella di Belleri, all’epoca?
«Belleri era praticamente l’uomo-immagine della Carrera. Era, sì, il public relations della Carrera ma praticamente era il public relations della Carrera Jeans. E poi, in un secondo tempo, è entrato a far parte della Carrera-squadra. Seguiva la squadra, veniva sempre al Tour, era praticamente l’anello di congiunzione tra il team, [il ds] Boifava e la squadra e i Carrera».
- Quindi una sorta anche di team manager, no?
«Sì, più che team manager era un…».
- …una specie di filtro tra la proprietà e la squadra, diciamo così?
«E la proprietà, sì, sì…».
- Tu al Tour ’87 non c’eri ma ti ricordi la famosa tappa di La Plagne, quella dell’ossigeno dato a Roche, che appena tagliato il traguardo era svenuto?
«Sì».
- Ecco quell'impresa lì, avvenuta senza le radioline, perché lui ha fatto questo grande inseguimento che poi alla fine non gli è servito in termini di classifica perché è arrivato a ridosso di Pedro Delgado ma lui aveva dalla sua anche la crono di Digione, alla fine comunque avrebbe avuto un buon margine per vincere il Tour...
«Certo».
- Allora ti chiedo: nel ciclismo dell’SRM, delle radioline, tapponi come quello di Sappada, come quello di La Plagne, oggi avrebbero un senso? Potrebbero accadere? Oppure tutto, come ti posso dire, verrebbe “ovattato”, controllato dall’ammiraglia con le radioline?
«Ma, sai, però… Io sono per le radioline, ecco».
- Tanti ex corridori no, invece.
«Io sono per le radioline perché, a volte, specialmente adesso, col ciclismo che c’è adesso, per me sono importanti».
- Per la sicurezza, dici? Più che per la corsa in sé...
«Per la sicurezza. Poi è inutile che vengano a dirmi che il ciclismo è rovinato per i tatticismi, perché ci son le radioline».
- Se uno ha la gamba, va? Questo mi vuoi dire?
«Io dico una cosa. Lo penso e, se i miei corridori voglion dire la verità, di quegli anni là, se ci fosse adesso una squadra con a capo uno come [Giancarlo] Ferretti, "Ferron", cambierebbe, ecco. Io ogni tanto lo sento, secondo me è stato un grande tecnico…».
- Con i suoi eccessi magari, no? Sempre io-io-io… Alla fine la corsa la fanno i corridori…
«Sì, cioè... Eh, però la fanno i corridori... Però, giustamente, lui dice: io avevo i corridori, però ero capace di stravolgerla [la corsa]… Invece adesso, da quello che vedo io, c’è troppo tatticismo e troppo… Cioè: si adeguano. Cioè: son tutti remissivi, sanno che la Sky è fortissima e nessuno fa in modo di…».
- Però, sai, tanti dicono: questi ammazzano le corse, prendono corridori che sarebbero capitani ovunque, li mettono là davanti a tirare finché non son finiti, a cinquanta km l’ora, e dove vai?
«Sì, però se tu cominci, giustamente… Però non c’è neanche…».
- ...la fantasia di provarci?
«Di provarci. Una volta, secondo me, c’erano più corridori che attaccavano, più squadre che attaccavano».
- Magari anche andando allo sbaraglio, cioè correndo il rischio di saltare. Ma almeno ci hai provato…
«Guarda la Sanremo che ha vinto Chiappa. Chi l'avrebbe detto…».
- Ma lui forse poteva vincerla solo così, no?
«Sì, sì. Però anche quando ha vinto… Chi è che l’aveva vinta, da lontano, Bondue? [No, Alain Bondue in realtà fu secondo, nel 1982, per 10” dietro un altro francese, Marc Gomez, nda] però…».
- Pensa cosa ha fatto al Sestriere, per dire, no?
«Al Sestriere. Hai capito? Però non esistono neanche più corridori come Chiappucci. Hai capito?».
- Però non può essere solo un fatto generazionale. Cioè i "Chiappucci" nasceranno in qualche modo, è che forse vengono inquadrati…
«Certo».
- Quindi tu dici che una “Sappada”, oggi, con le radioline, potrebbe succedere? Se ci fossero i corridori. Una “Sappada” o una “La Plagne”…
«Certo, certo. Può succedere. Per me le radioline per me adesso con le radioline c’è un po’ più di sicurezza, il corridore non deve andare in fondo e con le strade e con il traffico che c’è con tutte le aiuole, le rotonde che ci sono, non c’è più rettilineo, come fa l’ammiraglia ad andare… poi trovi sempre, per l’amor di dio io non ce l’ho coi giudici o coi direttori di corsa, però a volte il direttore sportivo deve andar a parlare col corridore. E dicono: Ah no-no, non puoi andare adesso. E quando vado?! Fra… due minuti è tardi, capito? Invece con le radioline tu sai che è così e dici, no guarda che davanti… C’è Pinco Pallino, Caio e Sempronio, bisogna andare a chiudere e si va a chiudere. Noi… cosa succedeva? Adesso quando c’è tutta la Carrera, eravamo abituati a correre un po’ in avanscoperta davanti e vedevamo. Stavamo attenti e sapevamo che c’erano… Però adesso che quando c’è tutti i corridori qua, non si conoscono fra di loro, noi eravamo centodieci corridori italiani, cioè c’erano… quattro cinque squadre italiane, tre quattro due francesi, due belghe, due olandesi, due-tre spagnole, ma adesso che ogni squadra ha trenta corridori…».
- Di ogni nazionalità…
«Di ogni nazionalità. Ma chi li conosce? Chi li conosce… Allora credo che la radiolina può essere utile ma (anche) solo per il fatto di capire chi c’è. Dopo secondo me si mette la Sky davanti tre minuti, e li va a prendere, ma così è un discorso anche la Carrera. La Carrera era uguale. Io non voglio dire che la Sky, noi eravamo come la Sky…».
- Però le cronosquadre… Nell’87 avete dato una mazzata a tutti sia al Giro sia al Tour. Eravate uno squadrone.
«Sì, per l’amor di dio. Noi eravamo uno squadrone ma potevamo fare… potevamo vincere anche di più però a volte ci accontentavamo, lasciavamo anche vincere, hai capito? Però dico: noi eravamo una squadra, c’era la Milano-Sanremo, noi l’abbiam tirata centottanta chilometri. Senza vincerla. Duecento chilometri. Mi ricordo. Le tappe al Giro tiravano dalla mattina alla sera. Eh, però abbiamo vinto anche die Giuro, abbiam vinto con Battaglin, abbiam vinto con Visentini, abbiam vinto con Roche. E siamo andati vicino anche gli altri anni».
- Avete vinto il Tour.
«Abbiam vinto il Tour., abbiamo vinto le classiche. Abbiam vinto una Milano-Sanremo, eh».
- Eravate mezza nazionale.
«Mezza nazionale, capito?».
- Mi racconti qualcosa di quei mondiali? Ne avete vinti quasi la metà di quelli a cui hai partecipato… tre su sette.
«Eh io, tre su sette… Ma sai il primo, quello di Goodwood [1982] era il primo anno che andavo in nazionale, ho fatto il mio lavoro che m’han detto di fare, ho fatto, è stato un bellissimo mondiale. Quello di Moreno Argentin, il secondo, secondo me è stato un po’ più un più lavorato».
- Anche perché l’avvicinamento non era stato facule, tra quelli che avevano fatto alla Coors Classic e quelli che… si son fatti un mese, quaranta giorni di America…
«Bravo. Argentin, Saronni così e noi invece abbiam fatto tre settimane siamo andati là prima. Però sai è stato un bel mondiale, una bella esperienza e là sinceramente non pensavamo neanche noi di vincere un mondiale così., primo e terzo [Saronni]. Ha vinto Moreno, terzo Saronni che l’ha battuto Mottet. E poi dico è stato un mondiale bello. E poi quello di Renaix con Maurizio [Fondriest]. Quello secondo me è stato quello un po’ più a sorpresa, poi ne abbiam persi altri che potevamo benissimo vincerli. Hai capito?».
- E invece quello di Villach che vinse Roche che ricordi hai lì’ nell’87?
«Eh lì un mondiale come quello lì…».
- Argentin, campione uscente e gran favorito, però era un mondiale per Kelly, però Kelly e Roche non avevano la squadra…
«Avevamo lavorato tanto noi. Se vedi le foto, noi di là sempre davanti noi, io Bombini e anche gli altri italiani, capito? Abbiam sempre tirato tanto, tanto abbiam tirato. Dopo, sai, son mondiali come quelli lì, come quello del Montello, li abbiam corso bene, siamo stati una fortissima nazionale, è mancata la ciliegina sulla torta, però il lavoro lo abbiam fatto noi. Il lavoro grande l’abbiam fatto noi. Noi come squadra italiana».
- E per la tua esperienza quando un corridore vince il mondiale, sai che si parla di questa benedetta o maledetta superstizione della maglia iridata che porta male l’anno dopo o poco dopo ti succede di tutto. Ma non solo in bici, la storia del ciclismo è piena anche di cose extra, ma cosa succede quell’anno dopo? Tu li vedi in corsa in modo diverso? Troppe feste fa onorare, magari un inverno difficile per tanti motivi, in corsa ti marcano di più.
«Ma sai la maglia di campione del mondo è pesante ma io non credo che tutti i corridori che la vincono, perché non c’è mai stato un outsider che l’ha vinta…».
- Be’, però, Rudy Dhaenens, Luc Leblanc…
«[Lo] stavo dicendo io, Dhaenens l’unico…».
- Ma anche Igor Astarloa, se ci pensi…
«Sì, però…».
- Lo stesso Óscar Freire, che ne ha vinti tre, ha avuto una carriera piena di infortuni sembrava una cosa, guariva, vinceva il mondiale, bum!, un’altra volta..
«Ma sai secondo me è proprio le responsabilità e poi gli occhi addosso. Gli occhi addosso. E ci vuol il campione del mondo è campione del mondo».
- Devi aver le spalle larghe.
«Devi aver le spalle larghe dopo, sai, non devi più lasciare più niente al caso. O sei uno come Peter Sagan che…».
- Che la porta con questa leggerezza, come fosse un pigiama.
«Che ha vinto lui dopo torni… Ma è il suo carattere che è così, però…».
- Ti chiedo di fare da bilancio ciclismo italiano e non solo di trent’anni fa e quello di oggi, visto che tu hai anche una lunga esperienza anche nelle under 23 come direttore sportivo. Tu nei panni di Boifava trent’anni fa e invece oggi da direttore sportivo che sensazioni hai in questo ciclismo di oggi e magari se hai qualche sassolino da toglierti.
«Ma sai io son convinto che il direttore sportivo adesso come adesso non sia più direttore sportivo come era ai tempi di allora. Dai tempi di allora, io ho fatto il corridore, ho fatto il direttore sportivo anche degli under 23 e il diesse che sa capire i corridori, che sa risolvere i problemi. Adesso invece nelle grandi squadre io sento che c’è il preparatore, c’è l’alimentarista, c’è questo qua c’è là, il direttore sportivo cosa fa? Cosa fa? Sì fa qualche tattiche di corsa, hanno addirittura anche lo psicologo qualche squadra. Una volta il direttore sportivo era uno psicologo. Io ero mi ricordo che dopo certe tappe… allora non c’erano lavatrici, si lavavano i panni nel lavandino nel bagno, lì seduto, magari sul water, e lavavi le magliettine e veniva dentro Boifava, ti stava un quarto d’ora-venti minuti, il tempo che tu lavavi, ti diceva, ti…».
- Il famoso giro delle camere prima di spegnere le luci, obbligatorio per ogni diesse, tutte le sere.
«Credo che sia una cosa ancora da ripristinare, sennò il direttore sportivo perde. Perde il suo ruolo. Perché allora. Il preparatore non lo fa più, psicologo non lo fa più, alimentarista non lo fa più…».
- Però sai non si può neanche tornare indietro perché il mondo si evolve, va avanti e in questo senso credo che la figura del corridore anche dal punto di vista della cura personale siamo molto avanti…
«No, ma quello deve essere personale però c’è il consiglio…».
- Dopo c’è anche l’eccesso opposto che fissati col rapporto peso/potenza, poi gli anticorpi vanno a quel paese e magari…
«Certo. Poi c’è il discorso che come si dice… una cosa che secondo me il direttore sportivo è cioè diventa un direttore sportivo bravo o meno bravo è il tatticismo di corsa. Questo è una cosa che ce l’ha».
- Ce l’hai o non ce l’hai… Saper leggere una corsa…
«E penso che tanti dicono ma sai ex professionisti fare i direttori sportivi, secondo me invece è un ruolo molto importante che anzi devono renderlo ancora un po’ più di… valore. Perché gli ex professionisti son quelli che hanno un occhio che vede più lontano degli altri. Ma per esempio io quando io vedo delle corse, o anche in televisione, o vado alle corse e vedo guarda quello lì come si mette, guarda come è messo male, però io farei così farei cosà, perché hai l’occhio. Io ho fatto sedici anni il professionista, ho fatto cinque anni nelle categorie minori e ho fatto altri vent’anni nel mondo… direttore sportivo nei professionisti e direttore sportivo nei dilettanti under 23, però l’occhio ti rimane. La passione ti riamane. E la cosa che non riesco a capire è perché adesso direttori sportivi ex professionisti no-no-no cioè… Un professionista secondo me è un ruolo molto importante in questo mondo qua. In queste categorie qua, anche di più ancora a livello dilettante e a livello juniores. È lì dove devono crescere».
- Dove mettere le basi.
«Eh sì. Adesso c’è troppo agonismo a livello giovanile e tanti ragazzi arrivano dilettante e li perdiamo. Li perdiamo. Li perdiamo perché arrivan lì son già stanchi. Sono "attrezzati" dai genitori».
- E poi fisicamente non son pronti per qual salto lì.
«Sì. Tu cominci e fai cento chilometri dietro motori, dietro di qua, su e giù, di qua e di là».
- Li bruci prima ancora che…
«Prima di iniziare. Secondo me ci deve essere un graduale approccio alle categorie. Non come correvo io che facevo il muratore poi andavo in bicicletta. Ma siamo al lato opposto però neanche fare correre i G5 o i G6 o gli esordienti, a volte vado a vedere le orse degli esordienti ruote in carbonio, bici che pesano 6 chili e otto-sei chili… Ma dai. Cioè… facciamoli crescere».
- Quali sono i personaggi che ti sono rimasti, penso ai corridori migliori con cui hai corso, magari che gente che, invece, poteva dare di più e non è riuscita a… ci sono delle figure a cui sei particolarmente legato per un motivo o per l’altro? Che sia un diesse, che siano corridori, compagni o avversari…
«Ma sai, i corridori posso dire un po’ con tutti, sono rimasto in buoni rapporti perché, ti faccio un esempio, due anni, no, quattro cinque ani fa son andato al Tour e mi ricordo che anche i miei ex corridori, ex compagni mi hanno salutato volentieri, da Hinault a Mottet, a [Adrie] van der Poel che era lì con una squadra olandese… ecco. Dopo diciamo che mi trovo con Moser anche con lui, con Saronni c’è stato un buon rapporto fino a qualche anno fa, quando anche suo figlio correva con me. E poi con i mei ex amici. Con i miei ex amici che son rimasto in buoni rapporti che sono Bontempi, Ghirotto, Perini, Visentini, Giovanni Battaglin, che è stato il mio primo capitano. Ed è stato anche compare di matrimonio di mia moglie, testimone di mia moglie. Ma un po’ con tutti. Di direttori sportivi, ti dico: con Boifava t’ho detto prima, ogni tanto mi vedo. Sabato c’è la presentazione della Carrera dovrei andare ma proprio non ci sono perché sono a Vicenza però mi hanno invitato, abbiamo un ottimo rapporto. Ogni tanto passo da Davide. Con Ferretti, con Bombini siamo andati in Spagna due anni fa perché abbiamo un amico su che organizza la Bicicleta Vasca ci ha invitato e siamo andati su tre giorni. E poi ma anche con gli altri, con Reverberi lo vedo alle corse e ci parliamo, ci confrontiamo ancora, anche con Bruno ci confrontiamo, con Savio anche, hai capito? Poi sai magari con Martinelli così non ho più tanti buoni rapporti, non ce li ho più perché lui è andato all’estero e non ci vediamo. Fino a che c’era suo figlio che correva negli under 23 lo vedevo alle corse, ci parlavamo, ci sentivamo…».
- Anche se adesso lui ha un ufficio qui a Rovato, no?
«Non lo so, perché io quando è andato via dall’Italia che è andato all’Astana, l’ho perso un po’ di vista perché ogni tanto… quando era a Mercatone ci vedevamo spesso. E così come è stato alla Saeco, idem, andavo lì dove c’era la sede di Saronni lì a Milano, c’erano anche loro, c’era Bontempi, c’era "Bontempino", c’erano… Piovani. Con Mario Chiesa son molto amico, abita qua, ci sentiamo, ci vediamo. L’anno scorso mi son visto anche con Brent Copeland, che è stato uno dei miei allievi quando è venuto qua con la Nippo, coi giapponesi, sai che ho fatto un anno lì…».
- In Bahrain-Merida.
«In Bahrain-Merida. Con Copeland nel ’97, ’98 è venuto in Italia con i giapponesi, con Hiroshi, Nakano, quella gente lì e praticamente faceva massaggiatore, meccanico e poi si è arrangiato un po’. Ogni tanto ci sentiamo, ci vediamo, capito? Ecco. Ma poi anche con gli altri ragazzi anche più giovani, che so, con Pozzato, con ci si trova ogni tanto alle fiere, così, loro mi conoscono, io li conosco, c’è un rapporto. Ma su questo ho ottimi rapporti, lo dicevo anche prima. Con Ferron ogni tanto ci sentiamo. Anche se io non ho mai corso per Ferretti. Voleva che io andassi con lui ma sono mai andato, ecco. Questo qua…».
- Vuoi toglierti qualche sassolino per la tua storia personale invece? Se non altro perché credo che comunque ti abbia fatto male, no?
«Ma sì, quello sì. M’ha fatto male. M’ha fatto male anche perché mai successo che una persona che… Posso aver sbagliato - dico: posso avere sbagliato – perché son stati accusato, secondo me ingiustamente, per delle dichiarazioni fatte. Che poi le prove non ci sono, ecco. M’han dato quello che m’han dato. Cioè… è inammissibile. Inammissibile. Sto ancora lottando perché voglio…».
- Vuoi fare ricorso?
«Sì-sì-sì. Io lotterò fino alla fine, fino a che avrò la possibilità di lottare, perché lo trovo ingiusto. Poi dopo una volta chiuso dopo dirò anche la mia. Dirò la mia perché non è giusto poi come è successo a me, cioè… radiare un corridore o un direttore sportivo per cosa? quando c’è gente che ha fatto, o sta facendo ancora…».
- E rimane in gruppo…
«E rimane in gruppo, questo…».
- Non riesci ad accettarlo…
«Non lo accetto».
- Ti saluto chiedendoti questo, ma so che rispondere non sarà facile. Ti chiedo intanto se fu tradimento o se invece fu una scelta di corsa, quella di Roche e Visentini a Sappada. E poi, tu da che parte stai? Te la servo lì così, facile facile... [ride di gusto, nda]
«No, t’ho detto: io sto dalla parte di Visentini. Questo, penso, l'hai capito… E secondo me un po’ di tradimento c’è stato, c’è stato… Poi, t’ho detto all’inizio, c’è stata un po’ di incomprensione. O qualcuno ha un po’ ha sottovalutato la situazione. Secondo me è stata sottovalutata la situazione. Perché quando ci siam trovati... Ti dico "quando" perché dentro c’ero anch’io, ecco, ormai la situazione era degenerata. Degenerata».
- Che cosa ti piacerebbe trovare in questo libro? Qualcosa che ti faccia dire: oh, ci han messo trent’anni ma alla fine l’han capita. Qualcosa che non hai mai trovato in nessun resoconto, neanche nelle parole degli stessi protagonisti. Ti piacerebbe trovare che cosa?
«Mah, mi piacerebbe trovare… Mi piacerebbe trovare che dican "la verità", però non è facile».
- Forse, magari, non ce n’è solo una…
«Non ce n’è solo una. Hai capito? Perché tu hai sentito me, t’ho detto la mia versione. Senti Perini, ha la sua. Visentini – non so se ci andrai, te lo auguro… [ride, nda] –, non so, ti dirà la sua… Boifava dirà la sua. Boifava, secondo me, ti dico, lo ammiro, dirà la sua per chiarire la situazione. Perché lui era in una posizione in cui doveva sistemare i cocci, capito? Però non è facile, anche perché, te l’ho detto, io son stato dalla parte di Visentini. Perché, secondo me, un po’ di tradimento c’è stato. Che poi sia stato tutto una pugnalata da parte di Roche... Secondo me qualcosa in atto c’era già, capito? Che poi, perché Roche ce l’abbia avuta [con lui] perché Visentini aveva detto che non sarebbe andato al Tour o via dicendo, questo lo sanno solo loro. Loro. Perché certi accordi io non posso saperli. Io posso sapere di accordi, che c’erano, di tirare per andare a chiudere. E di certi accordi di dire di lavorare per Visentini. E questo te lo dico perché è venuto dall’alto, e l’alto era Boifava. Ecco, questo qua te lo dico».
CHRISTIAN GIORDANO
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