DURANTI: LO SCERIFFO VA IN PENSIONE
Superbasket - 31 maggio 1993
PISA - "Per buttarmi giù c'è voluta una sbarra di ferro, questo
per dimostrarti che non ho paura di nessuno", racconta Bruno
Duranti mimando l'aggressione di quel tifoso napoletano che lo
stese come un sacco di patate mentre indicava al tavolo l'autore
del fallo tecnico. "Purtroppo mi venne da dietro, non me ne
accorsi, mi rialzai, Caserta vinse il derby, il campo di Napoli
venne squalificato e l'autore del gesto si fece 15 giorni di
galera", aggiunge l'arbitro pisano come se narrasse di una partita
di carte al bar. Per questo suo sangue freddo, questa sua forza
derivante da un fisico robusto, allenato con 18 anni di
"canottaggio attivo" (ha partecipato a vari campionati italiani e
vinto due regate nel Palio delle Repubbliche Marinare) e da un
carattere semplice ma chiaro, Bruno Duranti ci è sembrato sempre
come "Lo Sceriffo". Invece dello scudetto del CIA abbiamo spesso
immaginato una bella stella di latta di quelle che nelle risse da
far west, come nei play-off, portano immediatamente l'ordine e la
calma. Sperava nel record di designazioni di Fiorito (573), si è
fermato a 571 senza poter concludere la sua gloriosa carriera con
la dodicesima finale scudetto.
In gioventù gioco a basket nel Cus Pisa, nella Virtus Pisa e nel
Pontedera, era un centro basso e tarchiato, passò al canottaggio
"non essendo una gran cima" e ricomparve nel basket a 27 anni. "Come arbitro cominciai tardi. Lessi di un corso arbitri su di un
giornale, mi presentai. Era il '68, cinque anni dopo grazie
all'allargamento della A venni lanciato nel grande giro.
Fu Luglini a scoprirmi, Coccia a volere la coppia con Vitolo",
dice ricostruendo gli inizi di una carriera fra le più importanti
nella storia dei nostri fischietti anche se gli è mancato l'acuto
internazionale.
- Il bilancio di questo lungo viaggio?
"Ho iniziato senza grandi ambizioni, sono stato fortunato ma non
ho lasciato nulla al caso. Ho svolto il mio compito seriamente,
senza mai rifiutare una sola partita".
- Una cosa di cui va fiero?
"Potrei definirmi una persona onesta, che ha lavorato con umiltà,
senza paura di nessuno. Non ho mai detto, come fa qualcuno, io
sono il grande Duranti...".
- Il momento più importante?
"Essere arrivato a dirigere il Dream Team, vivere con loro la fase
di preparazione a Montecarlo, vedere Magic al termine di un
allenamento avvicinarsi a me e dirmi: complimenti ref, hai la
stoffa per arbitrare nella Nba!"
- E quello più brutto?
"Un Caserta-Bologna di anni fa dei play-off. Fischiai un fallo a
Oscar, era invece un intenzionale, Caserta andò ai supplementari e
Bologna perse. Non avevo una buona visuale, lo capii rivedendo il
filmato".
- La sua forza era tutta nel polso...
"Non vorrei peccare di presunzione, ma un giovane potrebbe vedere
la mia umiltà in campo, il lavoro tecnico, la tenuta mentale e la
conoscenza del gioco".
- Quanto è importante la conoscenza del gioco?
"E' fondamentale, ti permette di capire un cambiamento di schema,
di fischiare tutto, di evitare quel grosso difetto che impedisce a
un arbitro di essere un grande: la compensazione".
- Quando si dice Duranti, si pensa a Vitolo-Duranti...
"E' stato il mio primo istruttore, ho mosso con lui i primi passi
in A. Per 15 anni siamo stati una coppia perfetta, poi purtroppo
certe incomprensioni ci hanno portato alla separazione
consensuale".
- Ritiratosi Vitolo, la sua preparazione è scesa.
"Non è vero, non ho mai sentito questa mancanza, anzi la cosa mi
ha rafforzato e ho cominciato a portare in giro i giovani dando
loro un po del mio entusiasmo e della mia esperienza".
- OK, spieghiamo allora perché siete stati la migliore coppia di
sempre.
"Perché eravamo bravi entrambi, perché ci si equivaleva in tutto e
per tutto, tecnicamente e psicologicamente, nel coraggio. Bastava
uno sguardo per capirci al volo".
- Ma c'è chi vi giudica alla stregua dei giustizieri della notte.
"Pensavamo soprattutto al gioco, volevamo che la gente si
divertisse e l'unico modo era far risaltare la tecnica ed evitare
le botte in campo".
- Il giocatore più difficile?
"Tutti quanti dicono Meneghin. Dino cerca in ogni modo e maniera
di fare il suo lavoro, di ricavare qualcosa a suo favore mettendo
di mezzo l'arbitro, è importante che l'arbitro capisca questo..."
- L'allenatore più difficile?
"Uno che con noi ci ha provato sempre era Peterson, ma senza
successo. Sono state battaglie tremende, però ogni volta fuori dal
campo è aumentata la stima reciproca".
- Il campo più difficile?
"Dal tempo dei tempi Pesaro, ma oggi non più. I campi sono
migliori, le società si sono organizzate meglio".
- Gli arbitri devono essere considerati alla stregua dei canestri
e dei palloni?
"Sono d'accordo, non si devono mai vedere, sono lì per far
rispettare le regole, non per fare i protagonisti. Per questo sono
contrario ai voti. Spesso vengono dati da ragazzi, non
giornalisti. Gli unici voti che pesano sono quelli dei
commissari".
- Quella che gli arbitri italiani sono i migliori d'Europa è una
barzelletta o una cosa seria?
"E' una cosa vera, spiacente per i giornalisti. Ho visto gente di
altri paesi che entrava in campo dopo aver mangiato e bevuto di
tutto, pieni di alcool, noi siamo meticolosi in tutto: dalla
preparazione alla tavola".
- Gli arbitri di oggi sono migliori di quelli di ieri?
"Tecnicamente sì, ma pensano di essere già arrivati e vogliono
essere troppo protagonisti".
- E' piu facile o difficile oggi andare in campo ad arbitrare?
"I campi sono meglio organizzati, ma il gioco è piu veloce, duro,
raffinato, bisogna conoscerlo a fondo e fare vita d'atleta. Ci si
deve allenare dai 3 ai 4 giorni alla settimana, siamo dei
professionisti".
- La FIP preme per il professionismo.
"Lo siamo già, il soldo non risolve niente".
Ma ecco brevemente la storia di Bruno Duranti: nato a Pisa l'11
settembre 1941. Lavora come tecnico al laboratorio ricerche
dell'Università di Pisa. Ha diretto 571 partite di A dal '73 ad
oggi, con 11 finali scudetto. In campo internazionale ha diretto
400 partite, fra cui un'Olimpiade, un mondiale, un mondiale
militare, cinque Europei, un'Universiade, un Mediterraneo, tre
preolimpiche, un Goodwill Games, una finale europea femminile.
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