Il Mandela furioso
Icona Nelson Mandela: Jonny Steinberg ha studiato 15 mila pagine
di trascrizioni inedite di suoi colloqui in carcere (William Campbell)
Dietro la maschera del pacificatore: a dieci anni dalla morte di Madiba uno storico sudafricano esplora il lato più nascosto della sua epopea
La capa del suo staff: «Nelson è uno degli uomini più tristi che abbia mai incontrato. E un grande attore»
di Michele Farina
Corriere della Sera - 4 Dec 2023
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«Barbara Masekela, capo staff di Nelson Mandela quando era presidente del Sudafrica, lo descrive come “uno degli uomini più tristi che abbia mai incontrato”. E come “un attore” capace di indossare la maschera giusta al momento giusto. Ecco, la cosa che più mi ha colpito è stata scoprire quanta sofferenza e quanta rabbia ci fosse nel cuore dell’uomo Mandela, sotto la maschera più azzeccata di tutte, quella di maestro della riconciliazione».
Jonny Steinberg, 53 anni, storico sudafricano che insegna a Yale, ha da poco pubblicato «Winnie & Nelson, ritratto di un matrimonio», uno dei libri più belli sull’uomo che ha sconfitto l’apartheid e sulla donna (la seconda moglie da cui divorziò nel 1992) che fu «il grande amore della sua vita». Domani saranno dieci anni dalla morte di Madiba (così veniva chiamato, dal nome del suo clan). Tanto doveva passare affinché la figura di Mandela acquistasse la dimensione più umana, al di là del mito mondiale e della crescente impopolarità di cui gode in Sudafrica. Una figura di patimenti e nascosto furore, riflessa nello specchio di un rapporto durato 57 anni e dieci mesi, dal primo appuntamento all’ultimo respiro.
Steinberg ha lavorato molto sulle lettere scritte da Mandela in 27 anni di carcere e sulle quindicimila pagine dell’archivio di Kobie Coetsee, ministro della Giustizia del regime bianco che nel 1994 si portò a casa documenti poi rimasti segreti fino a tempi recenti: dieci anni di trascrizioni dei colloqui che Madiba ebbe prima della sua liberazione nel 1990 con familiari, amici, politici bianchi che lo spiavano mentre trattavano con lui. «È stupefacente — racconta Steinberg al Corriere — come quell’uomo che stava trionfando con la sua carica positiva contro la diffidenza dei nemici e il sospetto dei compagni ritenesse la sua vita una tragedia. Un settantenne infelice e furioso per ciò che con la sua famiglia aveva dovuto subire».
Per Mandela il più grande fallimento era quello di padre. «Lo ossessionava l’idea di aver abbandonato i suoi cari alla mercé delle persecuzioni. Un figlio morto giovane, uno alcolizzato. La moglie spesso in carcere o al confino. Il dispiacere più acuto è per la piccola Zindzi (morta di Covid nel 2020, ndr): quando lui, convinto che avesse ripreso gli studi, scopre che lei in realtà collabora al gruppo armato creato dalla madre Winnie».
La storia con Winnie è un lungo, reciproco tradimento? Il libro di Steinberg segue il trentenne avvocato Mandela nella Johannesburg degli anni Cinquanta: «Una condotta sessuale insolitamente vorace per l’epoca. La vita familiare lo annoiava. A quel tempo fu un cattivo marito e un cattivo papà. L’erotismo si intrecciava alla lotta politica e ai pericoli del ricercato: non è un caso che la maggior parte delle sue amanti fossero attiviste». Winnie non è da meno: nei giorni in cui il marito a processo nel 1964 rischia la pena di morte, lei porta il giovane amante Brian Somana a vivere nella loro casa di Soweto. La storia scoppia sui giornali quando Mandela è già a Robben Island, i secondini gli fanno trovare i ritagli in cella. Nelson pensa di divorziare, ma i compagni lo convincono che politicamente non converrebbe. Il furore di Mandela riguardava l’immagine pubblica: «Somana era un informatore del regime, e questo danneggiava la causa». Negli anni successivi, Winnie avrà altri uomini, mentre Nelson idealizza il loro legame «congelandolo» nel passato. Quando lui esce di prigione, lei prosegue la relazione con un giovane avvocato. Una notte lui se ne va. Chiede il divorzio. Winnie gli manda un’amica in ginocchio a implorare di non farlo, per poi restare fedele alla sua icona di oppositrice dura dell’apartheid, contrapposta a quella del «sorridente pacificatore».
«Mandela ha scelto di nascondere lo sfacelo della sua vita rubata — dice Steinberg —. Ha messo la maschera della riconciliazione nazionale sopra il volto di uomo triste». Ironia della sorte, «i giovani furiosi e sofferenti che oggi vivono nel Paese più diseguale al mondo con la disoccupazione al 40% ritengono responsabile di questo fallimento Mandela e non i suoi successori», mentre salvano la pasionaria Winnie. La "colpa" di Madiba, in fondo, è aver nascosto la propria rabbia. Anche la minoranza bianca, è l’impressione del bianco Steinberg, ha smesso di amarlo come prima. Quanto a Winnie, se n’è andata nel 2018. Negli ultimi tempi, malato di Alzheimer, Nelson voleva farsi imboccare solo da lei. La divertiva il ruolo di caregiver. Grande è stata Graça Machel, terza moglie sposata a 80 anni, a lasciare loro due soli nella stanza quando Madiba è spirato il 5 dicembre 2013, alle 8 e 50 della sera, nella sua casa di Johannesburg.
STRUGGLE
«La lotta deve continuare»: così titolava il quotidiano sudafricano The Star alla liberazione di Nelson Mandela, avvenuta l’11 febbraio 1990. Fu Winnie ad alzare per prima il braccio con il pugno chiuso; Nelson la seguì. Un’immagine diventata simbolo della vittoria contro il regime razzista dell’apartheid (separazione).
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