Colori e misure: regole ferree per chi vince


Vestizione e doveri dei campioni del mondo in 21 pagine di normative

20 Oct 2024 - Corriere della Sera - La Lettura
Di MARCO BONARRIGO

Le medaglie olimpiche hanno vita pubblica breve: terminato l’inno nazionale, scattate le foto di rito sul podio, finiscono quasi sempre in cassaforte o nel caveau di una banca così come gli anelli destinati ai vincitori della NBA o del Super Bowl. Scudetti e stelle di calcio, basket e volley vengono cuciti e confinati in un angolino della divisa, a futura memoria. La maglia di campione del mondo di ciclismo è l’unico trofeo dello sport che diventa tutt’uno con chi l’ha conquistata.

Martedì 1° ottobre, due giorni dopo la storica vittoria a Zurigo con 100 chilometri di fuga solitaria, Tadej Pogacar ha ricevuto nel suo appartamento di Montecarlo tre scatoloni di capi di abbigliamento e accessori. Come un cardinale entrato in conclave in rosso porpora è uscito dal Mondiale in bianco fasciato di iride. Le regole della vestizione del nuovo campione sono minuziose, i suoi doveri protocollati in un documento di 21 pagine approvato dall’Unione Ciclistica Internazionale: codificate lunghezza e altezza delle bande iridate sul petto (in proporzione alla larghezza del busto ma non oltre i 5 centimetri su maniche e collo), colori dell’arcobaleno (Pantone 3005, 186, Black 6, 114 e 361), ampiezza dello spazio dedicato ai marchi degli sponsor e dei fornitori i cui centimetri quadrati di competenza (da 30 a 200) vengono controllati con rigore da un’apposita commissione.

La maglia di campione del mondo va indossata sempre (allenamento, gara, podio, interviste), le bande iridate applicate ovunque (pantaloncini, giubbini, gilet, casco, scarpe, calzini, risparmiando solo le mutande, che i ciclisti notoriamente non vestono) e in un certo senso rimane per sempre: fino a fine carriera gli ex campioni devono applicare un fregio iridato di tre centimetri sul bordino di maglie e pantaloncini per ricordare l’impresa.

L’iride è obbligatoria al contrario dei cerchi olimpici di cui il CIO, gelosissimo, autorizza l’uso al massimo sotto forma di (piccolo) tatuaggio sul corpo, pena diffide e squalifiche. La maglia iridata dura 365 giorni, fino al Mondiale successivo a meno che (come Peter Sagan dal 2015 al 2017) non la si vinca per più volte in fila. Va smessa solo nelle cronometro (che hanno un loro campione) o quando si detiene quella di leader di una corsa a tappe, il che significa che Pogačar — che nel 2024 ha dominato Giro d’Italia e Tour de France — rischia di mostrare pochino la sua.

La maglia iridata ha una storia quasi centenaria e nobilissima: il primo a indossarla fu Alfredo Binda che il 21 luglio 1927 sul circuito motociclistico di Nürburgring sconfisse un altro mito pedalante azzurro dei tempi eroici, Costante Girardengo. La casacca di Binda come quella di Learco Guerra (1931) o del belga Marcel Kint, che nel 1938 conquistò l’ultima edizione prebellica, era candida e scevra di ogni sponsor come pure quelle del sommo velocista fiammingo Rik Van Steenbergen (1949, 1956, 1957) e l’unica di Fausto Coppi, primo a Lugano nel 1953 nel giorno in cui nelle foto del podio la maglia venne per la prima volta associata al volto della Dama Bianca che l’accompagnava.

Gli ultimi cavalieri bianchi-bianchi furono i grandissimi Rik Van Looy (1960 e 1961) e Jean Stablinski nel 1962. Il primo marchio commerciale (Groene Leeuw, un produttore di bici) intaccò nel 1963 la divisa del belga Benoni Beheyt che nelle sue Fiandre scippò il terzo titolo al capitano Van Looy fingendo di tirargli la volata per poi infilzarlo sul traguardo. Van Looy si vendicò scatenandogli contro compagni e amici fino al termine della carriera ma Benoni riuscì comunque a vincere da iridato il Giro del Belgio e una tappa al Tour.

Sdoganati gli sponsor, i marchi campeggiarono sulla maglia di Tom Simpson (Peugeot-Michelin) e soprattutto di Eddy Merckx che esibì per tre volte i mitici loghi Campagnolo e Molteni. È voce popolare che l’iride porti sfortuna, per sindrome di appagamento, perché di bianco vestito in corsa sei un osservato speciale del gruppo e per motivi scaramantici non precisati. Sfortunatissimo fu il belga Jean-Pierre Monseré che trionfò a Leicester nell’agosto nel 1970 e sei mesi dopo morì durante una kermesse a due passi da casa, investito da un’auto che si era immessa abusivamente sul percorso: il suo corpo, fasciato dall’iride e con a fianco i compagni disperati, rimase a lungo scoperto sull’asfalto. Merckx portò sulla sua tomba i fiori vinti alla Sanremo pochi giorni dopo, la maglia rimase vacante.

La visualizzazione di queste pagine mostra il palmarès successivo al trionfo iridato di tutti i campioni dal 1967 a oggi. Tadej Pogačar è tra i sei atleti che sono stati capaci di vincere la prima gara disputata dopo il Mondiale (il Giro dell’Emilia) e l’unico assieme a Merckx nel 1971 e Gimondi nel 1973 ad abbinarvi anche la prima «corsa-monumento» disponibile, il Giro di Lombardia: un buon inizio dopo la stagione più vincente (Liegi, Giro, Tour e Mondiale) della storia moderna delle due ruote. La maglia iridata ha portato malissimo ad Harm Ottenbros, carneade olandese che dopo il trionfo del 1969 vinse solo kermesse a gettone, a comprimari come il belga Dhaenens, il francese Brochard, lo spagnolo Astarloa ma anche a campioni come Freddy Maertens, Philippe Gilbert e Julian Alaphilippe a secco per un’intera stagione. Per rinnovare la leggenda di Merckx, di cui è considerato l’unico erede legittimo, Pogačar dovrebbe imitare il 1971 del Cannibale che in maglia iridata trionfò al Giro d’Italia e al Tour de France e si tolse anche lo sfizio di tre «monumenti»: Sanremo, Liegi e Lombardia. Inimitabile. O forse no.

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Quanto pesa la maglia iridata

La visualizzazione riassume i risultati dei campioni del mondo di ciclismo professionistico, ottenuti l’anno in cui indossavano la maglia iridata.
I dati partono dal 1967, primo mondiale conquistato dal belga Eddy Merckx

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Di MARCELLO VALONCINI
Successi e trofei su due ruote

La visual data di questa settimana contiene le performance dei ciclisti nei dodici mesi successivi alla conquista della maglia iridata. La datazione va dal 1967 (campione mondiale Merckx) al 2024 (campione mondiale Pogacar). Uci è la sigla dell’Union cycliste internationale, l’organo mondiale di governo del ciclismo sportivo. Fondata nel 1900 a Parigi, ha sede in Svizzera, ad Aigle.

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Due fenomeni e i loro palmarès dopo il Mondiale

(Due campioni a confronto. Il belga Eddy Merckx, all’anagrafe Édouard Louis Joseph Merckx (Meensel-Kiezegem, 17 giugno 1945), soprannominato Il Cannibale, è il corridore più vincente della storia del ciclismo. Tra i suoi moltissimi successi: cinque Tour de France, cinque edizioni del Giro d’Italia e una Vuelta, tre Parigi-Nizza, un Giro di Romandia , quattro Giri di Sardegna, tre campionati del mondo su strada, sette Milano-Sanremo, cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Parigi-Roubaix, due Giri delle Fiandre, due Giri di Lombardia. 
Nel 1974 ha vinto Giro d’Italia, Tour e maglia iridata: solo l’irlandese Stephen Roche, nel 1987, e lo sloveno Tadej Pogacar, nel 2024, sono riusciti a eguagliarlo. 
Pogačar (Komenda, 21 settembre 1998), soprannominato Pogi, ha vinto (per ora, tra gli altri) tre Tour de France, un Giro d’Italia, la medaglia d’oro in linea ai Mondiali 2024, due Liegi-Bastogne-Liegi, quattro Giri di Lombardia, un Giro delle Fiandre...

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