FOOTBALL PORTRAITS Pagliuca - L’eremo di San Gianluca (2005)


A 39 anni l’ex di Bologna, Samp e Inter è ancora uno dei migliori portieri italiani. E per dimostrarlo ha scelto la sfida più difficile: tornare a casa per diventare profeta in patria. E ci è riuscito… 

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Calciatori.com magazine – n. 12, novembre 2005

«Sei mejo de Didda e Buffonne», parola del Sor Carletto Mazzone, all’epoca ancora suo allenatore e lontano da iperpresenzialismi mediatici. 

L’elogio, magara eccessivo nel momento storico in cui fu speso, anche se dovuto alla straordinaria prestazione del portiere rossoblù in Udinese-Bologna del 2003, deve aver lusingato non poco l’ex attaccante che da ragazzino si convertì alla porta, sognando di emulare gli italiani Dino Zoff e Luciano Castellini e il tedesco Sepp Maier. Perché tra quegli idoli di gioventù e i contemporanei di Dida e di Buffon – per chi non avesse colto la traduzione dal romanesco – intercorrono almeno tre generazioni di portieri. Tutte attraversate da quel fenomeno di classe, istinto, agilità e longevità chiamato Gianluca Pagliuca. 

Ne scorri la carriera e mentre rispolveri aneddoti, episodi o semplicemente le cifre (569 gare e 18 stagioni in A, per esempio) ti rendi conto di con quanta maledetta fretta il tempo corra. Perché, ragazzi, ‘sto qua gioca da una vita. Poi fai mente locale e ti sovviene, assieme ai suoi tanti ma non tantissimi successi – almeno uno dei quali però indimenticabile: lo scudetto doriano, nel 1991 –, una serie di fatti, fatterelli e fattacci che lo riguardano: i rubinetti e i pezzi di sanitari tiratigli a “Marassi” dai suoi ex tifosi (era un Samp-Bologna di Coppa Italia, nel 2000, e Tombolini lo ammonì perché pensava volesse perdere tempo, nda); i bicchieri pieni di vermi (i bigattini da pesca) lanciatigli addosso con delle fionde al Tardini nel 2001, il bacio al palo (al 55’ dopo un tiraccio perfido di Mauro Silva) nella finale di USA ‘94 – mondiale che registrò il primo portiere espulso della storia: lui – e, alla Samp, la zuffa in campo con il compagno Vierchowod e il labiale di zio Vujadin Boskov, che, dopo uno dei rari errori del suo numero uno, si lasciò scappare il memorabile «Ma chi ha sbagliato, Pagliuca?», subito diventato tormentone-cult gialappiano. C’è questo e altro nella leggenda di un fuoriclasse che, fuori del campo, con la maturità, è poi quella di un uomo normale. 

LA STORIA 

Gianluca Pagliuca nasce a Bologna il 18 dicembre 1966, nell’ospedale in cui l’indomani viene al mondo Alberto Tomba. I primi calci li tira da attaccante nella Polisportiva Ceretolese e nel Casteldebole. A dodici anni, la febbre ferma il portiere titolare e così a difendere i pali chiamano lui, il più alto. 

Piero Battara, gran scopritore di talenti, lo nota, ne intuisce le potenzialità e se lo porta nelle giovanili del Bologna. Secondo di un certo Turchi, Gianluca apprende i rudimenti del mestiere da un altro mago del settore, Soncini. 

Compiuta la consueta trafila, nel 1984 è in prima squadra in B, due anni (zero presenze) da terzo portiere dietro Zinetti e Cavalieri. E senza Soncini, che nel frattempo si è trasferito alla Sampdoria. A inizio 1986 l’antico maestro si ricorda del promettente allievo e lo segnala al club blucerchiato, che per l’imminente Torneo di Viareggio è alla ricerca di un portiere di sicuro affidamento e lo prende di corsa. 

Nell’intervallo della finale contro l’Inter, il patron blucerchiato Paolo Mantovani, che per Pagliuca sarà poi una sorta di secondo padre, manda il fido Paolo Borea negli spogliatoi per acquistarlo a titolo definitivo prima che a farlo sia il presidente nerazzurro Ernesto Pellegrini. 

«Scenda e lo compri subito», l’ordine perentorio. E per 300 milioni di lire, Pagliuca arriva sotto la Lanterna. 

Ma la trattativa è meno rapida di quanto si potrebbe pensare. Borea parla con Nello Governato, all’epoca suo pari ruolo rossoblù. 

Il ds blucerchiato vuole Pagliuca, ma ufficialmente è interessato a sondare il terreno per Luppi, Marocchi e Gazzaneo (promessa mai mantenuta ma ai tempi ritenuto un enfant prodige, nda). 

Alla fine, Governato capisce queal è il vero obiettivo di Borea e toglie dall’imbarazzo il collega: «Se vuoi Pagliuca, è vostro. In questo momento non troverebbe spazio qui: andrebbe in prestito all’Ospitaletto (l’altra squadra di proprietà dell’allora presidente del Bologna, Gino Corioni)». 

Tecnici e dirigenti rossoblù all’epoca non potevano permettersi salti nel vuoto affidandosi a un giovane, c’era la A da riconquistare e quindi avrebbero puntato su Nello Cusin, portiere emergente che aveva fatto il percorso inverso, dall’Ospitaletto al Bologna, a quello stabilito per far fare le ossa a Pagliuca. 

Borea allora non perde tempo e per quella cifra fa ricongiungere la strada di Pagliuca con quella di Battara. 

DEBUTTO IN A 

Un paio di stagioni da vice-Bistazzoni ed ecco il debutto in A, l’8 maggio 1988: Sampdoria-Pisa 0-0. Alla Doria resta fino al 1993-94 e fa parte della generazione di fenomeni (italiani, con l’aggiunta del mestiere di Cerezo e le doti di killer scientifico di Katanec, uno dei migliori amici che Pagliuca si è fatto nel calcio) capace di vincere, oltre allo storico tricolore, 3 Coppe Italia (1988, 1989, 1994), la Supercoppa italiana (1991) e la Coppa delle Coppe (2-0 all’Anderlecht nel 1990). Quella dei Campioni, a Wembley 1992, gli scappa via con la stessa velocità del missile terra-porta con cui il blaugrana Ronald Koeman lo infila su punizione a 8’ dai rigori. Per Pagliuca l’amarezza agonistica più grande e, assieme allo storico Juve-Inter del 1998 (quello di Ronaldo-Iuliano, per intenderci) e ad altre due finali perse ai rigori, in UEFA contro lo Schalke 04 e quella mondiale di Pasadena, una delle partite che tanto vorrebbe rigiocare. Ecco, la maglia azzurra. Per il Gatto di Casalecchio, copyright di un giornalista dei suoi primi anni bolognesi, è stata fonte di gioie e di dolori. Con quella della Under 21 esordisce nel novembre 1989. Nella nazionale A debutta invece il 16 giugno 1991, a Stoccolma nel secondo tempo di un’amichevole contro l’URSS (1-1, il Ct Azeglio Vicini lo fa subentrare a Zenga), poi disputa tre mondiali. 

PORTIERE MONDIALE 

A Italia 90 è il terzo portiere dietro Zenga e Tacconi, destino vissuto due anni prima alle Olimpiadi di Seul ma alle spalle di Tacconi e il compianto Giuliani. Dopo che Arrigo Sacchi ha rimpiazzato Vicini sembrava logico che il nuovo Ct desse fiducia a Pagliuca, che rispetto a Zenga aveva pari talento e carisma e pure sei anni in meno. Invece Sacchi prima scelse Zenga e poi Luca Marchegiani (allora al Torino). Solo la disastrosa prestazione offerta dallo jesino nel match di qualificazione mondiale contro la Svizzera (2-2) aprì la… porta a Pagliuca. Che coglie al volo l’opportunità. In America e a Francia ‘98 il titolare è lui, nel secondo caso da ripescato in seguito all’infortunio del numero uno designato, Peruzzi. In entrambe le manifestazioni in cui scende in campo, l’eliminazione arriva con le serie di tiri dal dischetto. Contro il Brasile nell’ultimo atto, nonostante il penalty annullato a Márcio Santos (decisivi gli errori di Baresi, Massaro, Roby Baggio). E con i francesi futuri campioni, quando, nei quarti, a nulla valse il rigore parato a Lizarazu (allora risultò determinante il tiro stampato sulla traversa da Di Biagio). 

VESTE NERAZZURRA 

Proprio alla fine del mondiale statunitense, in una delle oramai non più numerabili rivoluzioni interiste, approda in nerazzurro per fare ciò che ha già fatto nell’Italia: raccogliere la pesante eredità di Walter Zenga. In cinque anni di Inter, fra un rendimento costantemente alto (di lui, in negativo, si ricorda il pasticcio europeo contro il Lugano e poco altro) e spesso disattese aspettative, raccoglie solo la Coppa UEFA, 3-0 a Parigi sulla Lazio. L’ennesima Grande Riforma morattiana riparte da Marcello Lippi in panchina e il suo fido scudiero, Angelo Peruzzi, in porta. E così, nel 1999, a Pagliuca (come agli altri veterani Bergomi e Simeone) viene dato il foglio di via. Il patron Massimo Moratti nella circostanza si conferma gran signore, perché anziché lucrare sulla cessione di un giocatore vincolato, gli concede di tornare a casa, al Bologna, club per il quale firma un biennale. 

RITORNO A CASA 

Il resto è cronaca. Nella sua città Gianluca vive da re, con la compagna Aurora e il figlio Mattia. Il Pagliuca che ogni lunedì tornava a Bologna per fare gli occhi languidi alle commesse del centro e che vantava conquiste a numeri di tre cifre non esiste più. Oggi è un eterno ragazzo semplice, al quale piace divertirsi e stare in compagnia e che rincasa al massimo alle 23. 

Nel tempo libero ama stare in famiglia, occuparsi dei suoi cani, ascoltare musica o guardare film, meglio se con protagonisti Richard Gere o Meryl Streep, i suoi attori preferiti. Parte dei soldi guadagnati li ha investiti in immobili, acquistando case a Genova, Milano, Bologna (sui colli) e proprio dalle sue parti (Gianluca è nato e cresciuto nella frazione di Ceretolo, nda), ai tempi dell’Inter, ha aperto un centro estetico, il Progetto Sole «ma il mio sogno nel cassetto è quello di aprire un cocktail-bar». 

Oltre al calcio, ama il basket (meglio: la Virtus Bologna) e il tennis (Borg era uno dei suoi miti d’infanzia, oggi affiancato da Rafter). 

ROLE MODEL 

Si allena a Casteldebole, che nel bene e nel male è lontanissimo da Appiano Gentile, e sembra un eterno ragazzino. È il leader assoluto di un gruppo e di una società che si sta riprendendo dalla brutta botta chiamata retrocessione. Per giornalisti, tifosi (vinte le iniziali diffidenze) e compagni di squadra è un totem, un punto di riferimento. Ascoltare come ne parla, e vedere come nel farlo gli si illuminano gli occhi, uno degli ultimi arrivati come il 24enne laterale destro Angelo Antonazzo, vale più di mille parole. Figurarsi per i bambini della zona. Il campione li va a trovare nelle scuole per raccontare loro la propria esperienza, per fare da role model, come dicono oggi quelli che parlano bene. E poco importa se lui, con la massima spontaneità racconta che «quando andava a scuola le sue materie preferite erano educazione fisica e religione e che più che altro era bravo a rompere i vetri». Calciando un pallone, ovvio. Ed è chiaro che i bambini, come spiega la professoressa Baroncini, responsabile dell’iniziativa, «rimangono favorevolmente sorpresi dalle affermazioni di Pagliuca sull’importanza della scuola. Perché ribadite da un calciatore le stesse cose che quotidianamente i ragazzi si sentono ripetere da genitori e insegnanti hanno tutto un altro effetto». 

GUARDANDO AL FUTURO 

Dovesse trascinare i suoi in A, dove Pagliuca centrerebbe forse la sua impresa più grande. Perché colta a 39 anni, con gli stimoli di sempre e un fisico ancora integro e persino più asciutto rispetto quello che aveva ai tempi d’oro («Grazie a Mazzone ho eliminato le brioche a colazione e la Coca Cola ai pasti. Non è stato facile, ma ne valeva la pena». A quel punto, il record che apparteneva a Zoff (570 gare in A, primato appena battuto da Maldini), l’ex idolo di gioventù che smise di convocarlo in nazionale senza nemmeno telefonargli, non sarà poi così lontano. «La salute che mi ha sempre assistito: se alla mia età ti infortuni in modo grave, poi fai fatica a recuperare. La molla del divertimento, è quella che continua a sostenermi. E la voglia di sacrificarmi in allenamento. I miei compagni mi prendono sempre in giro: “Pagliu, ma non ti sei stancato di parare?” Se sono ancora qui, no. Mi piacerebbe giocare fino a quarant’anni, ma se mi accorgo che improvvisamente perdo colpi mollo prima». Se si escludono le uscite, unico punto debole di un bagaglio tecnico davvero completo, piede mancino compreso, l’ipotesi appare remota. 

Anche se c’è stato un periodo in cui i bolognesi a Pagliuca non perdonavano il minimo errore (come in Bologna-Perugia, col famoso gol di Jay Bothroyd), per loro presente e futuro non sono né saranno un problema. Gianluca non ha deciso cosa farà da grande («Ho diverse idee per la testa: l’allenatore, il procuratore, l’osservatore. Ma dopo vent’anni di domeniche in giro per l’Italia, non vorrei spostarmi troppo da qui. Facciamo così: l’allenatore, ma a livello provinciale»), ma per loro resterà sempre San Pagliuca. Il Gatto di Casalecchio, più forte «de Dida e Buffonne». 

CHRISTIAN GIORDANO
Calciatori.com magazine – n. 12, novembre 2005

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