Roubaix, una domenica all’Inferno


Nell’aprile del 1919 venne chiamata l’Inferno del Nord, definizione perfetta di una gara che mette a durissima prova gli atleti, confrontati a un percorso variegato e impervio. La lista di pretendenti alla gloria è lunga, ma chi alzerà al cielo il cubo di porfido del vincitore?

di Simone Basso, Il Giornale del Popolo

Era il 20 aprile 1919 e la Parigi-Roubaix divenne l’Inferno del Nord. Quella gara durissima, folle, inventata da Vienne e Perez nel 1896, tornò dopo quattro anni. Al suo posto, quasi in tutta Europa, la Grande Guerra. Alla partenza i ciclisti commemorarono i colleghi caduti sul fronte. Un minuto di silenzio ricordando Lapize, Petit-Breton, Friol, Cadolle, Hourlier, Engel... Francois Faber fu ucciso nella battaglia di Artois; Carlo Oriani morì a causa di una polmonite contratta attraversando – a nuoto – il Tagliamento per salvare dei commilitoni.

Il Quattordici-Diciotto fu una strage di uomini e di corridori. Cielo color piombo, pioggia invernale, la competizione si svolse in uno scenario di devastazione senza eguali. Non c’erano più le strade ma sentieri sbriciolati, a pezzi, buche (a mo' di memoria delle bombe) e fango. Si attraversavano villaggi e paesi fantasma: gli sfregaselle affrontarono il calvario montando pneumatici di seicento grammi. Qualcuno della carta stampata ribattezzò quel giorno da cani L’Enfer du Nord, regalando alla Roubaix la definizione perfetta. La corsa, con tanti atleti fuori forma dopo mesi o anni di precarietà, si risolse in un duello. Un lustro dopo le polemiche, feroci, del Tour de France 1914, era nuovamente Henri Pélissier contro Philippe Thys.

La fuga dei due fuoriclasse ebbe un inconveniente che potremmo definire classico (...) : un passaggio a livello si chiuse e Honoré Barthélémy si unì alla coppia di fuggitivi. Al Velodromo c’era il tutto esaurito, Pélissier – velocista superbo – regolò l’arcirivale fiammingo. Per un pomeriggio, al confine tra Francia e Belgio, la vita ricominciò finalmente a guadagnare terreno sulla morte e lo fece grazie a una delle sue metafore più riuscite: il ciclismo. Anche il fratello del trionfatore di Plume, Jean, l’unico dei quattro Pélissier che non era diventato corridore, era deceduto in battaglia. Non poteva esserci vincitore più significativo di Henri, il Campionissimo che coniò – suo malgrado – l’epica (diabolica) dello sportivo professionista. Il Babe Ruth europeo.

Edizione numero centotredici del monumento che deve la propria fama, tremenda, alle pietre di grès siliceo. Pavé di forma irregolare, usurato, che divenne la pavimentazione standard delle zone minerarie. Il paesaggio grigio, dipinto dai detriti di carbone che si sedimentano ovunque, è il centro dell’azione della Rubè. Un rito atavico che costringe gli atleti a una performance complessa.

Nessuna contesa è così schizofrenica da obbligare il corridore a un continuo, snervante e dispendioso, tira e molla: l’alternanza tra porfido e asfalto, l’approccio ai settori, la tensione in gruppo, le cadute, le forature, i problemi meccanici. Persino i rifornimenti diventano un problema... Il ballerino delle pietre deve essere esperto, potente (ma ha meno bisogno di wattaggio rispetto alla Ronde) e con un senso tattico da pokerista. Il peso, che consente più stabilità sul mezzo, è benedetto: un unicum se lo paragoniamo alle esigenze delle altre corse del calendario. Il pietraio poi sviluppa l’istinto (di sopravvivenza?) giusto: tecnicamente, la bicicletta si conduce con l’agilità – mai abusare dei rapportoni – e leggerezza nella guida; più la paura (e la stanchezza) crescono, minore è il controllo delle due ruote.

Si prevede una Roubaix tutta polvere, senza acqua, e con una temperatura primaverile (sui 15-17 gradi centigradi). I 253,5 chilometri totali ne inglobano quasi cinquantatré di pavé, con ventisette settori da affrontare. Spiegare l’Inferno è abbastanza semplice, correrlo è un’impresa. Il plotone esploderà al chilometro 158, all’entrata della Foresta di Arenberg, una striscia di pavé orrendo, invaso dall’erba, lunga 2,4 km.

Gli altri due avvistamenti di Caronte (...) sono Mons-en-Pévèle, infinita, tremila metri che cominciano ai 204,5 km, e soprattutto il Carrefour de l’Arbre. Quest’ultimo, una serpentina, poco più di due chilometri a 17,5 km dall’arrivo, è in condizioni sempre più fatiscenti: potrebbe favorire l’assolo decisivo, di sicuro rappresenta l’altro snodo cruciale – la vernice è Arenberg – della lotta. Che chiuderà idealmente il filotto cominciato con la Milano-Sanremo, imponendo il primo bilancio stagionale.

L’Etixx-Quick Step, lo squadrone per eccellenza della Primavera, proverà a salvare una campagna del Nord piuttosto deludente. Di flahute, a cominciare da chi si impose nel 2014, ovvero Niki Terpstra, ne hanno: sottolineiamo pure la presenza di Zdenek Stybar, ormai pronto allo scalpo importante. Anche il Team Sky, malgrado le affermazioni in serie, avrebbe un Giro delle Fiandre da farsi perdonare: sarà l’ultima recita del grande Bradley Wiggins, al passo d’addio dalle gare su strada (la pista, verso Rio 2016, lo aspetta).

Chissà che le attenzioni riservate a Wiggo non favoriscano il buon Geraint Thomas, uno con le caratteristiche ideali per svettare. Alexander Kristoff alla Ronde si è consacrato mammasantissima e mercoledì ha rivinto subito il GP Escaut (da gennaio siamo già a undici successi..). Il norvegese e John Degenkolb ci sembrano gli spauracchi di chiunque coltivi sogni di gloria; troppo veloci e resistenti per la concorrenza, se portati nei pressi del Velodromo non potranno che dominare l’epilogo. Assalteranno il fortino, sperando in alleanze più o meno occasionali, i vari Van Avermaet, Sagan (a un passo da Godot e a due da Pozzato...), Vanmarcke, Chavanel, Boom, Roelandts, Offredo, Tjallingii.

Da tenere sotto controllo, outsider con la licenza di osare, Vandenbergh, veltro da pianura, Greipel e Démare (l’alternativa nello sprint rispetto a Kristoff e Degenkolb) e il giovanissimo Benoot, forse l’erede al trono (belga) di Tommeke Boonen.

Domenica 12, verso le cinque della sera, qualcuno alzerà verso le nuvole il cubo di porfido che spetta al primo classificato; gli altri saranno nelle docce, spartane, militaresche, a ripulirsi corpo e anima dalle fatiche, sconce, dell’Inferno. Davanti agli occhi, un monito, ogni doccia ha una piccola targa dedicata ai vincitori, uno per uno: la Roubaix è un’ossessione che insegue i corridori anche terminata la corsa.

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