Il Giro di Contador e di molto altro

di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo

Pallini rosa per chiudere la festa, svolazzanti nell'aria nemmeno fosse polline: per l'entusiasmo dei gatti e la disperazione di chi è allergico.
  • Contador si aggiudica una corsa rosa scontata solamente nel risultato; tostissima fin dall'abbrivio ligure e disputata a un'andatura folle. Succede quando il faro dell'ambaradan, nonché il grande favorito, si ritrova a gestire la vis agonistica altrui con una squadraccia, malgrado i bei nomi (Basso, Kreuziger, Rogers, Paulinho...) e gli stipendi elargiti dall'effervescente Oleg Tinkov. Accade soprattutto se gli organizzatori capiscono che le tappe di montagna devono includere le pendenze più severe sul penultimo gipiemme, evitando le sceneggiature monodiche degli ultimi Grandi Giri, con l'attesa (isterica) dello scatto ai meno tre chilometri dal traguardo...
  • Alberto Contador Velasco da Pinto mette il suo secondo Giro in bacheca (l'altro fu nel 2008); si sommano a un paio di Tour (2007 e 2009) e al tris alla Vuelta (2008, 2012 e 2014). Farebbero nove gare a tappe se includessimo la Grande Boucle (2010) e la Rosa (2011) revocate. Costituiscono il palmarès di un fuoriclasse dell'era di mezzo, bipolare nelle storia e negli accadimenti. Dei tappisti contemporanei è quello che più di tutti vive sui nervi e sull'emotività: declinante ma non troppo, nell'epilogo della carriera è diventato maniacale nella preparazione e nell'approccio competitivo. Quei due anni cancellati da un tribunale sono memoria negativa e stimolo ossessivo. Un déjà vu al pari dei rapporti incerti coi connazionali: i dispetti con Valverde e con Purito Rodriguez si sono ripetuti con l'emergente Mikel Landa, il vero avversario (non il pur eccellente Aru) delle tre settimane. Che distanzia definitivamente col suo numero migliore, la cronometro nel trevigiano, e limita il pomeriggio del Mortirolo e dell'Aprica. E' proprio improvvisando lungo il Monte Ologno, nella frazione che porta da Melide a Verbania, quando vede il basco a terra, che il Pistolero realizza il suo canovaccio preferito: restituisce lo sgarbo dell'attacco Astana-Katusha all'incipit del Mortirolo e mette un altro minuto in saccoccia. Col senno di poi, utilissimo.
  • Radio carovana raccontava di un Contador stremato da un Giro stile dilettanti anni Ottanta (testa china sul manubrio e via...) e scettico sul (presunto) double col Tour de France. Di sicuro, in Francia, con le stesse gambe, il finale della Saint Vincent-Sestriere sarebbe stato diverso: correre da isolato, la Tinkoff-Saxo seminata nel corteo delle ammiraglie e dei ritardatari, contro Nibali, Quintana e Froome (e la Movistar e il Team Sky "veri") è una missione impossibile. Sabato, in Valle di Susa, bastava un Kangert nella fuga di Zakarin perché i Martinelli Boys realizzassero il colpo: approcciando la Via Lattea con un Trofeo Baracchi, e Landa à bloc, Contador rischiava maglia e pellaccia. Nota a margine kazaka, l'Astana adesso ha almeno tre galli nel pollaio (il quarto è Diego Rosa?): urgono programmi differenziati per il trio, onde evitare scene stile Carrera 1987.
  • Il bis di Albertino eguaglia statisticamente Franco Balmamion, unico prima di lui a vincere due edizioni (1962-63) senza soddisfazioni parziali. Il successo alla Balmamion, cioè da (impeccabile) regolarista, è diventato - per gli ignoranti - una specie di lesa maestà allo spettacolo ciclistico. Ci si scorda pure che il piemontese fu un corridore di altissimo livello, nel 1967 salì sul podio di Giro (secondo) e Tour (terzo), nonché campione italiano, vittorioso anche in un Campionato di Zurigo (1963).  Gli ultimi giorni, col motore diesel a punto, si è notato un gran Ryder Hesjedal: fa sorridere chi sostiene che il canadese sia sparito dopo il trionfo del 2012. Come se essere degli ottimi corridori, non dei mammasantissima, fosse una colpa: quella volta batté, di un'inezia (sedici secondi), Purito Rodriguez e terzo arrivò Thomas De Gendt; mica Fignon e Lemond. Non c'è bisogno di essere Coppi o Indurain per aggiudicarsi il Giro; bastano talvolta, per fortuna, i Pambianco e i Garzelli.
  • Lamenti più o meno giustificati per l'assenza di parecchi ras. La situazione, con i calendari intasati e il circuito World Tour, è così da eoni: il Giro sta in mezzo al guado, temporalmente, fra i due centri di gravità permanente del ciclismo (i Monumenti primaverili e il Tour). Mario Vegni e Stefano Allocchio dovrebbero continuare con questa formula, ricordando che sono le corse a fare i corridori, mai viceversa. Le liste bloccate, le partecipazioni obbligatorie, sono un mostro a due teste esemplificate dall'atteggiamento di due Grandissimi classicomani: Tom Boonen e Philippe Gilbert, entrambi alla partenza sanremese. Tommeke il fiammingo si è presentato suo malgrado, reduce dall'infortunio alla Parigi-Nizza, e - subìto il can-can delle prime tappe - ha sventolato bandiera bianca. Phil il vallone, che aveva compromesso la campagna nelle Ardenne cadendo alla Freccia Vallone, invece si è, e ci ha, divertito. Un paio di affermazioni, bellissime, e la gemma dell'arrivo a Vicenza quando, sotto il diluvio, si è imposto per distacco (...) in una volata. Il Monte Bérico trasformato nel Cauberg e una promessa futura: nel Mondiale americano, a Richmond, l'alternativa ai velocisti resistenti che impazzano (John Degenkolb e Alexander Kristoff in primis) sarà Gilbert.
  • Repetita iuvant, la mania dell'orologio e il calcolo dei wattaggi hanno qualcosa in comune con l'astrologia. L'era del Passaporto Biologico però si evidenzia controllando i tratti all'insù: Contador, a palla per cinque o seimila metri sulla salita più dura d'Europa, sigilla la competizione rimontando il trenino Astana sul Mortirolo. Impressiona en danseuse, col suo stile peculiare, mai quanto i raffronti col passato: i 3'38" di distacco dal fatidico 1999 (Gotti, Heras e Simoni) sono una mostruosità. Nel 1994 (ventuno anni fa..) il madrileno avrebbe beccato 53" da Berzin in crisi, trafitto dagli attacchi di Pantani. Sono migliorate, meccanica e telaio, le bici; ci si allena - qualitativamente - con l'SRM, l'alimentazione è stata modificata.  A ogni pendenza, oggi, il gruppo si frantuma da dietro, piano piano. Le fughe vanno: il plotone (quasi) compatto ha perso qualche chilometro di media nelle punte di velocità più estreme. Queste differenze dovrebbero essere sottolineate dal quarto e quinto potere; prodighi piuttosto di amarcord nostalgici verso il periodo più imbarazzante nella storia dello sport. Abbiamo un sospetto: scevri di una cultura specifica, privi di qualsiasi tipo di nozione che vada oltre il luogo comune, non saprebbero affrontare questi temi. Lo confermano le stupidate dette e scritte sulle cronometro (l'esercizio che avrebbe penalizzato l'emergentissimo Fabio Aru): disconoscere le prove contro il tempo, uno dei gesti più nobili della disciplina, puzza di pressapochismo tecnico e storico.
  • A proposito, bel pubblico di indiani sulla cresta del Colle delle Finestre, con l'eccezione di un (sedicente) gruppo organizzato. I miasmi della setta di Pantanology, oltre il tentativo di piazzare libri scabrosi quanto scadenti, si materializzano nelle fattezze di ultrà del postumo. Che, ubriachi e cafoni, imbrattano con lo spray le vetture al seguito e rincorrono, maldestri, gli atleti. Non sappiamo cosa abbia fatto il povero Pirata per essere ricordato così; di sicuro vorremmo il movimento tricolore un po' più sul pezzo, sull'attualità. Nel bene, da Nibali fino al più improbabile dei gagni che corrono nei Giovanissimi, e nel male, partendo da una Federazione nazionale latente e una RCS poco convinta e convincente. Altrimenti aveva ragione il personaggio di un film di Bellocchio: "In Italia, i morti hanno sempre ragione".

La frase del mese
"Ma se la Milano-Sanremo sono circa 300 chilometri, perchè da Sanremo a Milano ci stiamo mettendo 3486 chilometri?"
(Dario Cataldo)

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