HOOPS MEMORIES - Le rivoluzioni del 56


di CHRISTIAN GIORDANO, American Superbasket

«Se gli avversari non tirano non segnano». S’ispirava a monsieur La Palisse e a Catalano, coach Phil Woolpert, tre anni di dolori alla University of San Francisco prima che coi Dons facesse le rivoluzioni: 56 vittorie consecutive, terza squadra a infilare il back-to-back NCAA (1955, 1956), prima a vincere da imbattuta (29-0) e con in quintetto tre neri. Ai tempi, pure nella “progressista” San Francisco, mica una passeggiata. 

Un capolavoro per il mini-ateneo gesuita, 3000 iscritti aggrappati su una collina vicino il Golden Gate Park. Senza palestra. Woolpert mendicava ore libere ai locali boys club (la Page Street Gym), in salette parrocchiali o alla St. Ignatius HS, allenata prima di sedersi, nel ’50, sulla panca di USF.

I prodromi dei moti rivoluzionari si celano in una sera d’inizio dicembre ’53, al Kezar Pavilion, impianto “casalingo” alternativo al Cow Palace, dall’altra parte della città: un esile centro di 2.07 debutta rifilando 23 punti e 13 stoppate nel trionfo per 51-33 sui California Bears, numero 10 del ranking e secondi l’anno prima nella PCC (antenata della Pac 10). Si chiama Bill Russell.

I Dons, però, non sono tutti carneadi. Nel ’49, con il non ancora leggendario coach Pete Newell, futuro guru del post basso, avevano vinto al MSG il NIT, che ai tempi contava. Woolpert era partito male ma in città si sperava nel ritorno delle dure e prolifiche ali Frank Evangelho e Jerry Mullen e in quel freshman arrivato dalla McClymmonds HS di Oakland e svezzato da Ross Giudice, tecnico delle matricole. 

Al liceo, Russell era stato notato da un ex studente di USF, Hal DeJulio, che gli procurò un provino. Woolpert - cui poi verranno attribuiti i meriti della scoperta e del successivo reclutamento affidato a DeJulio - offrì a Russell una borsa di studio. Il coach non era rimasto granché impressionato, ma del perticone aveva intuito promettenti agilità e di velocità (49” sui 400 metri): ideale complemento per il veterano del backcourt, K.C. Jones. 

Il diplomato alla locale - e oggi defunta - Commerce HS sarebbe andato sulle piste di Bob Matheny, unica stella dei Bears oltre all’All-American Bob McKeen, centro di 1.99 dominato da Russell, che di Jones sarebbe diventato amico per la vita e, nella NBA, compagno nei dinastici Celtics degli 11 titoli in 13 stagioni. L’asse difensivo di quelle squadre dei miracoli nacque lì. 

Fanatico della difesa, Woolpert ha come arma letale le stoppate di Russell. «Preferisco stoppare che segnare – diceva Bill ai cronisti – Pare sia più utile al morale della squadra». Gran saltatore, ambidestro, con la sinistra rubava il tempo ai tiratori destrorsi. E scatenava il contropiede. L’interferenza offensiva era ammessa, e per tempismo ed elevazione Russell non aveva problemi a “guidare” a canestro i tiri destinati a uscire: miglior marcatore dei suoi, a oltre 21 punti per gara. 

Alla prima apparizione nella varsity, la stoppatona di Russell a un tiro di McKeen indusse Newell, coach di UCal, a esclamare a bordocampo: «E questo, da dove è saltato fuori?». Domanda che nelle due successive stagioni, tra il dicembre 1954 e il marzo 1956, non troverà risposta: 56 vittorie consecutive, nuovo record NCAA.

Il 3 dicembre 1954, la sfavorita USF perde 47-40 contro UCLA, numero 8 del ranking, nel primo turno di un torneo natalizio a Los Angeles, ma Russell regge contro Willie Naulls. «All’improvviso – racconta Jones – ci sentimmo sicuri di noi, e non facemmo che cavalcare, quasi con arroganza, quella fiducia». Nella gara seguente, Woolpert inserì in quintetto, come guardia Hal Perry al posto di Bill Bush: San Francisco avrebbe così schierato titolari più neri che bianchi. 

Una situazione inusuale nel 1954, anno della storica sentenza antisegregazionista nella causa, presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, di Brown contro il Board of Education. «Il bello – continua Jones – è che il primo a dire che fosse “giusto così” era proprio Bush: “È per il bene della squadra – ripeteva – e io posso farlo entrando dalla panchina”». 

Le ali titolari sono due senior, l’1.94 Mullen e l’1.90 Stan Buchanan. Mullen segnava quasi 14 punti per gara, Buchanan aveva poco talento offensivo e si limitava al boxing out e a difendere. «Correva e picchiava, ma dava il massimo – dice Jones di Buchanan – Come tutti noi. Se segnavamo, bene. Altrimenti, dietro eravamo così forti che giocavamo senza pressioni. E avevamo quel tipo di approccio: saltavamo addosso a tutti, in continuazione». 

Nel 1955 USF chiude sul 23-1 la regular season, nei West Regionals spazzola (89-66) West Texas A&M al primo turno e (78-59) Utah in semifinale. Unico test probante, la finale, vinta in trasferta sulla sirena per 57-56 contro la Oregon State del 2.19 Wade “Swede” Holbrook.

Alla Final Four di Kansas City, Russell ne mette 24 punti nel 62-50 su Colorado. In finale i Dons ma soprattutto lui erano attesi dall’1.94 Tom Gola di LaSalle, terza nel ranking e carnefice, a Est, di West Virginia (95-61), Princeton (73-46) e Canisius (99-64) prima di aver ragione (76-73) di Iowa nella semifinale nazionale.

La stampa aveva pompato il gran duello Russell-Gola, ma al pranzo pre-partita Woolpert informa Jones che gli avrebbe affidato la marcatura del centro, per evitare che Russell venisse risucchiato lontano dalle plance. 

La gara è tirata per un tempo. Nella ripresa la tattica paga, e i Dons vincono 77-63. L’MVP Russell firma 23 punti e 25 rimbalzi. Gola 16 punti, nessuno nei primi 21’. «Chi ci fece male – ricorda il grande sconfitto – fu Jones: ne mise 24, e certo non era noto per le sue doti realizzative. Russell marcava Alonzo Lewis e negli aiuti stringeva al centro su di me. In ogni squadra c’è chi si sacrifica, difende, fa muovere la palla: nei Dons era K.C. Era lui il catalizzatore».

Nel 1955-56 l’ala junior Carl Boldt viene spostato in quintetto, come il sophomore di 1.99 Mike Farmer. La guardia Gene Brown, altro secondo anno, entra nella rotazione. Durante la off-season, la NCAA adotta la cosiddetta “Russell rule” ampliando l’area del tiro libero nel vano sforzo di allontanare dal canestro quella macchina da stoppate. Al momento del Torneo, la striscia vincente dei Dons è di 51 gare. Jones non può giocare perché l’anno extra di eleggibilità - concessogli per la stagione persa a causa della appendicite - vale solo per la regular season. Brown, però, lo rimpiazza alla grande. Nei Regionals, San Francisco batte ancora UCLA (72-61), poi Utah (92-77). 

La Final Four è alla nuova arena della Northwestern University, a Evanston, Illinois. USF vi supera 86-68 Southern Methodist e, in finale, la numero 4 del ranking, la Iowa dell’All-American Carl “Sugar” Cain. Contro gli Hawkeyes – che hanno eliminato Morehead State, Kentucky e Temple – non c’è partita: 83-71, e i 12.500 dollari della NCAA viaggiano sulle strade della California. Nonostante i 26 punti di Russell, l’MVP è Hal Lear di Temple, che nella finalina - 90-81 su Southern Methodist - ne infilerà 48, un record. Come i rimbalzi arpionati da Russell in due stagioni: 20.7 di media per 58 partite.

Privi dei laureati Russell e Jones, i Dons centrano le 60 vittorie consecutive prima di cedere in amichevole contro la nazionale olimpica di… Russell e Jones – di lì a poco, oro a Melbourne 1956 - e, in regular season, contro Illinois, 62-33. Nella Final Four di Kansas City, persa 80-56 la semifinale contro i padroni di casa, si consolano col terzo posto: 67-60 su Michigan State. È il canto del cigno. Gli avversari, ora, tiravano e segnavano. E Woolpert, che pure aveva costruito e guidato fuoriserie, finirà conducente di autobus.
CHRISTIAN GIORDANO

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