Religione giallonera: il Borussia è il miracolo tedesco

Storia di una squadra sopravvissuta alla Chiesa, al nazismo e a due fallimenti economici

E dire che il prete della parrocchia locale non voleva nemmeno che nascesse, il Borussia Dortmund. Prussia Renana, inizi del Novecento. Il Fussball si sta diffondendo anche qui, in quella che diventerà la provincia operaia tedesca per eccellenza e che darà vita anche a un altro club storico, lo Schalke 04. Alcuni ragazzi giocano in una squadra gestita dalla chiesa della zona, ma sono scontenti, vogliono fondare una formazione tutta nuova. Si ritrovano in una taverna cittadina e chiamano la squadra con il nome Borussia, versione latina di Prussia, respingendo il tentativo di padre Dewald di bloccare la prima, storica riunione del club. E’ il 19 dicembre 1909: sempre a dicembre, ma del 1997, il Borussia Dortmund diventerà campione del mondo in Giappone grazie a un tecnico italiano, Nevio Scala. E il prossimo 25 maggio si giocherà la sua seconda finale di Champions League a Wembley, nel derby tutto tedesco contro il Bayern Monaco.

E dire che il Borussia Dortmund ha pure rischiato di fallire e scomparire. Più di una volta. La prima nel 1929, in piena ascesa hitleriana: fu un anonimo tifoso tedesco a coprire finanziariamente i buchi del club. Poi, durante la Seconda Guerra Mondiale, il presidente del Borussia viene destituito perché si rifiuta di aderire al nazismo, conditio sine qua non della riforma sportiva ad opera del Reich. Due membri del club vengono giustiziati: avevano usato gli uffici del club per produrre volantini anti-nazisti. L’ingresso degli alleati in Germania fa sì che tutte le organizzazioni, comprese quelle sportive, vengano sciolte. Tra esse il Borussia, che rinasce alla fine degli anni Quaranta con il nome che porta impresso sullo stemma ancora oggi: Ballspielverein Borussia 09. Comincia in questi anni la grande rivalità con lo Schalke 04, club di Gelsenkirchen che fu prediletto del Fuhrer. La storia li atttende nel 1966, quando aggiudicandosi la Coppa delle coppe diventano il primo club tedesco a trionfare in Europa.

E dire che Paulo Sosa, Reuter, Riedle, Sammer e Moller non erano (più) buoni giocatori per il campionato italiano. Si ritrovano tutti nel Borussia e, piano piano, tra lo stupore generale, avanzano nella Champions League del 1997. Campionessa in carica è la Juventus di Marcello Lippi: per i bianconeri, guidati da una squadra di campioni come Peruzzi, Conte e Del Piero, è quasi un gioco da ragazzi arrivare in finale. La gara più importante si gioca proprio in Germania, a Monaco. Il Borussia si mette in testa un’idea pazza: andiamoci noi, all’Olympiastadion. Cementati da un’inarrivabile sete di rivincita e guidati da un tecnico ambizioso come Ottmar Hitzfeld, il Borussia a Monaco sbatte fuori alle semifinali il Manchester United di Sir Alex Ferguson e arriva a Monaco per vincere. E vince, chiaro. Con due gol di Riedle, uno dei ‘ripudiati’ della serie A. A dicembre dello stesso anno i gialloneri battono il Cruzeiro, diventando campioni del mondo.

E dire che il Borussia è stato salvato da un altro fallimento anche dal Bayern Monaco. Maledetta la Champions del ’97: il club non riesce a gestire i fasti della vittoria, spende e spande, fino a quando non si ritrova con un passivo di 140 milioni. Taglia così gli stipendi del 20% ai giocatori, vende il mitico Westfalenstadion e si abbassa all’umiliazione più grande: chiede un prestito al Bayern per poter sopravvivere. A dirla tutta, è l’intero calcio tedesco a mobilitarsi per salvare il gialloblu. Uli Hoeness, vecchia gloria del calcio tedesco e dirigente dei bavaresi, mette mano al portafogli e acquista un pacchetto di azioni del club. Ci pensa anche Morgan Stanley, con un finanziamento, a far ripartire il club. Cambia proprietà, cambia dirigenza, cambia strategia. I tempi dello scialacquamento insensato sono finiti, bisogna ricostruire. Come? Partendo dai giovani. Una mano arriva anche dalla Federcalcio tedesca, che con il ‘Progetto 2000’ finanzia 366 scuole calcio. Il metodo del governo del calcio è semplice: io ti do i soldi, ma devi rientrare in certi parametri che io fisso, altrimenti sei fuori.

E dire che il polacco Robert Lewandowski, quello che all’andata della semifinale dell’ultima Champions ha fatto 4 gol al Real Madrid, è costato 4 milioni di euro. O ne vale almeno 6 volte tanto. Perché il Borussia ha ricominciato davvero puntando sui giovani talenti prodotti in casa o presi a poco prezzo da campionati limitrofi come quello polacco. Ma non è stato tutto facile: tra il 2007 e il 2008 il Borussia rischia la retrocessione in Zweiteliga, la serie B tedesca. Poi nel 2008 arriva Jurgen Klopp. Ha 41 anni e una gran voglia di fare calcio. In Italia verrebbe considerato acerbo, mentre in Germania gli affidano le chiavi della rinascita di un club storico. Punta su talenti, su un calcio veloce e aggressivo, sull’organizzazione. E’ uno schietto, Klopp. Viene dalla strada, indossa spesso un capellino con scritto Pohler (giocatore di strada, appunto) e sa quello che vuole: «Calcio vivo significa veloce, capace di arrivare in porta in pochissimo tempo, senza tenere troppo il pallone. Abile a dominare l’azione col senso tattico. Corsa, qualità, precisione». Il primo anno arriva quinto, poi centra due titoli consecutivi. Si dimostra abile scovatori di talenti, prima di tutto: oltre a Lewandowski, arrivano Subotic, Hummels, Piszczek, Gundogan e Goetze, appena venduto al Bayern per 37 milioni di euro.

E dire che il Borussia si è privato di giocatori importanti: via Barrios, Sahin e Kagawa per fare cassa, che con la crisi non si sa mai. Con il club che nel frattempo ha imparato la lezione: 60 milioni di euro dagli sponsor, 350mila maglie vendute, costi del personale ridotto e stadio sempre pieno. L’ultimo bilancio parla chiaro: fatturato di 140 milioni, utile netto di 34 e crescita del 40% rispetto all’anno precedente. E poi ci sono le novità in campo tecnologico: il Borussia si allena anche grazie alla ‘scatola magica’. Tecnicamente si chiama Footbonaut: è una stanza di 14 metri per 14 delimitata da pareti con 8 buche spara-palloni a 120 chilometri orari. Entro un tempo limitato, il giocatore al centro della stanza deve controllare il pallone e infilarlo in un pannello che si apre all’improvviso in una delle pareti. «Migliora velocità, tecnica e reazione», secondo Klopp. Che alla sua seconda Champions ha centrato la finale.

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