Il Giro di Nibali, una contraddizione benedetta dal cielo
di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 31 maggio 2016
Si era partiti dai Paesi Bassi con un meteo da estate mediterranea, si finisce - l'ultimo dì, da Cuneo a Torino, con la pioggia, nemmeno fosse aprile in quel di Amsterdam.
Il Giro 2016 è stata una contraddizione benedetta dal cielo: vis agonistica folle, mentre parecchio quarto potere raccontava di una corsa rosa addormentata, un buon livello medio tecnico ma non paragonabile a quello delle ultime due edizioni e, soprattutto, una montagna di storie. Dolcissime o amarissime, a seconda dei protagonisti.
LO SQUALO E IL COLIBRì
L'epilogo, sul traguardo di Sant'Anna di Vinadio, è di quelli forti: don Vincenzo Nibali, ormai santo protettore del pedale italiano, vince una gara che due giorni prima aveva già virtualmente perso. Strappa la rosa, di cazzimma più che di gambe, a un ventiseienne con la faccia da bambino - Esteban Chaves, il Colibrì - con un bel futuro nei Grandi Giri. All'arrivo, Caterina, la mamma del portacolori della Orica GreenEDGE abbraccia, di istinto puro, nessuna vetrina, tutto cuore, Nibali: una lezione di sport e umanità.
Non l'unica da parte di un ambiente, piaccia o no, vero, fatto di atleti, giovani uomini, forti quanto fragili. Le talpe che si svegliano il sabato pomeriggio abusano di frasi fatte per acchiappare le emozioni (bulimiche): definire "impresa d'altri tempi" il successo dello Squalo è ignoranza della storia.
Il ciclismo è sempre questo: è il suo tempo che è altro perché, vivendo di passato e futuro, cancella la follia del presente. Non abbiamo bisogno che si imponga un grande campione per accorgerci quanto sia straordinario. Amen.
DON VINCENZO E IL DECLINO DEL CICLISMO ITALIANO
Nibali si aggiudica la sua quarta corsa a tappe di tre settimane della carriera. In un certo senso è un suggello della stessa e chiude un cerchio: curiose le similitudini con la prima volta, la Vuelta 2010, quando ereditò la roja da Igor Anton, caduto rovinosamente durante la quattordicesima tappa (si arrivava a Pena Cabarga), e che pareva in pieno controllo della situazione.
Squalo fortunato ma con una cabeza speciale: per esempio i dati di Risoul, la stessa salita del (trionfale) Tour 2014, lo confermano. Il chilometro all'ora in meno (22,86 contro 23,81) evidenzia la distanza tra il miglior Nibali di sempre e quello (declinante) di oggidì. Che sbaglia tempi e misure degli attacchi a Roccaraso, sul Falzarego, sulla Mendola ma non affonda. Un'idea del gesto ciclistico che va oltre i wattaggi: fa parecchio Toscana, lui che crebbe - nelle categorie giovanili - proprio nell'antico Granducato. Erede postmoderno di Gastone Nencini per chassis e grinta.
Il resto sono i vuoti di sceneggiatura altrui e una squadra, l'Astana, dominante: Michele Scarponi premio Cipputi del Giro, Tanel Kangert decisivo sulla Lombarda, l'ottimo Jakob Fuglsang.
Un'équipe che ha ritrovato l'unità col gruppo del siciliano, malgrado la separazione quasi inevitabile a fine stagione. Segnaliamo anzitempo la sitcom che si girerà durante la prossima Grande Boucle nel team kazako: Vincenzo Nibali e Fabio Aru, per usare un eufemismo, non si amano.
Appunto, il sardo (ventisei anni) è l'unico tappista tricolore di altissimo rango della nidiata nata negli anni Novanta. Il movimento italiano, al di là della strana coppia isolana (...), è ai minimi termini alla voce tappisti.
L'OLANDESE VOLANTE E LA SINDROME DI PASCAL SIMON
Il momento decisivo del novantanovesimo Giro d'Italia è allo scollinamento del temuto Colle dell'Agnello: discesa infida, con una nebbiolina che - nei primi chilometri della picchiata - si confonde con i muri di neve a lato. La maglia rosa Steven Kruijswijk, che sta dominando la contesa, sbaglia un curvone a destra e si produce in uno spaventoso salto mortale. E' l'attimo che cambia l'inerzia di tremila chilometri di competizione. La sosta meccanica di Kruijswijk (che nel capitombolo rimedia pure una frattura alla undicesima costa sinistra), pessima nel tempismo dell'ammiraglia, completa il disastro. In quel frangente Rosso Malpelo perde tutto, anche il podio. Una sorte crudele per il migliore corridore di questo Giro, che a vederlo pare il sosia di Peter Winnen, vecchio eroe dei Tour degli anni Ottanta.
Meno scattista dello scalatore della Ti-Raleigh, però più elegante sul mezzo e altrettanto fondista de luxe. Incredibile l'ignoranza di molti giornalisti (...) al seguito, che storpiano il nome di questo atleta senza ricostruirne il percorso. Nel 2015, dalla decima frazione in poi, fece corsa parallela con la maglia rosa Alberto Contador: il più regolare di tutti nelle tappe-chiave. Il potenziale è quello, ma l'olandese ha capito - sulla sua pelle - che un Giro (il Tour neanche in sogno...) non si vince senza una squadra competente. L'anno prossimo Kruijswijk potrebbe riprendersi ciò che la sorte gli ha tolto, oppure indulgere nella Sindrome di Pascal Simon.
Il capitano della Peugeot al Tour 1983 che, in giallo e con una seria ipoteca sulla gara, cadde a un rifornimento bruciando l'occasione della vita.
EL EMBATIDO E I CONTI DELLA SERVA
Il terzo posto di Alejandro Valverde (debuttante trentaseienne...) arricchisce ulteriormente un palmarès che, per versatilità, ha pochi eguali nella contemporaneità. Il podio nei tre Grandi Giri, nel Mondiale in linea e lo scalpo di almeno una Monumento è un curriculum che - oggi - solamente Purito Rodríguez può vantare. El Embatido sarà quel che sarà (Calboni docet), ma è una di una regolarità impressionante. Facendo i conti della serva, al di là dei noti problemi del murciano con l'altitudine, Balaverde ha perso tre minuti nella cosiddetta Cavalcata dei Monti Pallidi. Togliete quel pomeriggio e la rosa che conta, quella di Torino, l'avrebbe vestita lui.
PETO IN CALIFORNIA
In Italia ci si straccia le vesti per la qualità media dei contendenti alla vittoria finale, rimpiangendo i decenni quando i gruppi sportivi (...) del Bel Paese la facevano da padrone. E scattano le polemiche, sterili, sui due supervelocisti tedeschi - André Greipel e Marcel Kittel - a casa dopo poche tappe, un'usanza di molti sprinter anche nel passato e non solo al Giro (Mario Cipollini non ha mai concluso un Tour...). Il problema autentico del Giro, in piena globalizzazione, è vedere al Tour of California assi come Peter Sagan, Alexander Kristoff, Mark Cavendish, Greg Van Avermaet, Tom Boonen eccetera.
L'UCI non dovrebbe proteggere i propri patrimoni? Nell'anno dell'iride assegnata nel deserto, a Doha, è una domanda che si perde nella sabbia.
PARENTESI ROSSOCROCIATA
Definiremmo interlocutorio il Giro dei (pochissimi) svizzeri al via. Per Fabian Cancellara, complice una gastroenterite, a dispetto della voglia di continuare, è stata una Via Crucis di dieci stazioni; Küng ha accumulato esperienza. Smaltito qualche chilo, dopo la pista a Rio 2016, Stefan diventerà uno dei migliori passisti del gruppo. Il futuro invece non c'è più per la IAM Cycling, il combo svizzero (l'unico...) del World Tour che più cura il vivaio indigeno. Un progetto molto interessante che non verrà rinnovato a causa della mancanza di un nuovo sponsor: Michel Thétaz, il patron, chiuderà la squadra a fine 2016. L'imprenditore vallesano si è detto deluso dalla mancanza di interesse riscontrata presso altre aziende locali.
WOLFIE E I FRANCESI
La mascotte del Giro, in collaborazione col WWF, è un simpatico lupetto. Wolfie, questo il suo nome, perora la causa del canide più grande e sfortunato della catena alpina. In occasione dello sconfinamento nel cantone di Guillestre, gli allevatori francesi non l'hanno presa bene: consideravano Wolfie, un simpatico pupazzetto, un'offesa contro il loro mestiere. Così il lupetto ha dovuto attendere la carovana in Piemonte.
Il pubblico autoctono poi, sulla strada, ha latitato. Ai francesi - si dice - interessa solo il Tour e lo fanno capire. Il confronto con il bagno di folla, e l'ospitalità, della tre giorni olandese è stato imbarazzante.
I francesi «...che le balle ancora gli girano...» di Paolo Conte è uno stadio mentale, non solo una canzone.
CENTO DI QUESTI ANNI
Nel 2017 si festeggerà il centenario; impazza il toto-località, in prima fila (per ovvie ragioni) i passaggi in Sardegna e in Sicilia, addirittura una tappa dedicata - a Messina - allo Squalo.
Il Giro rimane un racconto popolare incredibile, alla faccia delle telecamere che inquadrano i rari idioti esibizionisti che non rispettano i corridori (e il senso di uno sport), di una RCS ondivaga nell'impegno, di un'informazione "generalista" insufficiente e cialtrona. Forse perché ha un'anima, una magia, spiegata dai ciclisti e dal contorno di una festa che li attende per ore.
SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 31 maggio 2016
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