Qatar 2016 - Deserto iridato


di Simone Basso
Il Giornale del Popolo, 6 ottobre 2016

Sabato scorso, primo giorno di ottobre, si è chiusa - virtualmente - la stagione internazionale di metà del gruppo.

La prima vittoria di un colombiano (Esteban Chaves) in una corsa Monumento, la piazza d'onore di Diego Rosa che si era speso per il (sopravvalutato) capitano Fabio Aru, il sesto posto dell'highlander Alejandro Valverde. 

Eppure il Lombardia, solitamente l'epilogo dell'annata, non ha concluso questo 2016 atipico. Rimane (o rimarrebbe, per chi non ha prenotato le ferie...) il Mondiale. Rassegna iridata che ha preso il via il 9, con le Crono a squadre, e si concluderà con la prova regina - quella in linea, degli uomini - domenica 16.

Ebbene sì, Doha e la penisola araba ospitano, per la prima volta, i campionati mondiali. La crema del ciclismo, che da qualche anno comincia dal deserto il suo tour de force stagionale, a febbraio, stavolta finisce laggiù e con uno degli apici assoluti. Un Mondiale per velocisti e passisti, con un tracciato suggestivo quanto estremo (e monodico) tutto pianura e trabocchetti.

La data posticipata riassume i problemi di una gara di oltre 250 chilometri in Medio Oriente: si tenta di evitare temperature troppo alte, su un percorso che deriva dall'unione di due tratti distinti.
Il primo settore, di 151 chilometri, parte dal cuore di Doha e punta verso il deserto.
Il secondo, rientrati in città, è un circuito - da ripetere sette volte - sull'isola artificiale The Pearl.
Il Qatar esibirà, in mondovisione, un complesso architettonico che, al termine dei lavori, sarà costato quindici miliardi di dollari.

Tecnicamente banale, adatto alle ruote velocissime e ai veltri da Classica, i 257,4 km sono un rompicapo tattico.

Il caldo e soprattutto il vento, che alcuni dì spira impetuoso sul lungomare di Al Khor, potrebbero stravolgere una competizione che, in condizioni ambientali normali, favorirebbe una volata a ranghi (quasi) compatti.

Il surplus è affidato al regolamento UCI che stabilisce il numero di corridori per squadra: difatti, l'équipe con gli sprinter più affidabili, appartendendo alla seconda fascia, avrà difficoltà a controllare il plotone.

La Germania degli strapotenti André Greipel e Marcel Kittel, con un fuoriclasse come John Degenkolb a mo' di libero (o stopper), potrà schierare solo sei elementi. Giocoforza, malgrado la presenza di Tony Martin, i tedeschi dovranno salvarsi nel prologo in linea e sperare che qualcuno lavori con loro per lo stesso obiettivo: la volata di gruppo.

Tra le formazioni a nove unità, spicca un pokerissimo.
Gran Bretagna, Australia e Francia vorranno tenere insieme le fila.
I britannici corrono per Mark Cavendish, uno dei favoriti del lotto, che sarà circondato da uno squadrone (Cummings, Thomas, Rowe, Stannard, Swift).

Aussie e francesi nella stessa situazione, con due punte da proteggere ma dinamiche interne differenti. Michael Matthews e Caleb Ewan, protetti da una schiera di corazzieri (Hayman, Durbridge, Haussler, Hansen, etc.), danno l'impressione di coabitare meglio rispetto ad Arnaud Démare e Nacer Bouhanni.
I due galletti, fortissimi, si detestano fin dai tempi della FDJ: la loro rivalità (insanabile?) potrebbe costare cara a entrambi...

Belgio e Paesi Bassi sembrano invece destinate all'assalto.
I belgi hanno tante punte, esperte (Tom Boonen), che potrebbero colpire di rimessa (Roelandts e Stuyven), aggressive (il campione olimpico Greg Van Avermaet); olandesi versatili, adatti ai golpe nei ventagli (Niki Terpstra e Tom Dumoulin) e con la carta a sorpresa, in un eventuale sprint, del ventitreenne Dylan Greonewegen.

Il resto, in una contesa così incerta, non sarà mancia. Pericolo pubblico numero uno, e detentore del titolo, lo straordinario Peter Sagan. Che corre da solo o quasi (gli slovacchi sono in tre), ma sfrutterà i treni e le iniziative altrui: di sicuro, il suo zerosedici da dominatore - con tanto di vittoria nella Generale del World Tour - ha ridicolizzato la cosiddetta maledizione della maglia iridata.

Last but not least, la Norvegia schiera due outsider di lusso (Kristoff e Boasson Hagen) in un collettivo solido, e la Colombia una delle stelle del futuro, Fernando Gaviria, supportato (ahilui) da compagni poco adatti al compito.

Sottolineando l'inconsueta, apparente, marginalità di due nazioni guida, Italia e Spagna (coi soli Viviani e Lobato spendibili per un pronostico), facciamo le carte anche al team rossocrociato...

Il sabadì in quel di Bergamo, aspettando l'arrivo del Giro di Lombardia, Fabian Cancellara distribuiva consigli e pronostici alle tivù (RSI e RAI). Questa, nel Qatar, sarà la prima kermesse arcobaleno del post-Spartacus: un'èra che ha caratterizzato quasi tre lustri del movimento elvetico. Se il bernese pareva adatto a Doha, ma il trionfo di Rio ha suggerito un suggello dorato, la comitiva della Confederazione pare alla vernice di un'epoca, per adesso con poche certezze.

Col ritiro della portaerei Cancellara, il contingente svizzero potrebbe essere a una delle ultime esibizioni col numero massimo.
Michael Schaer, Martin Elmiger e Gregory Rast dovranno almeno provarci, inserendosi nelle fughe. 
Stefan Kueng si misurerà, finalmente, con i Grandi.
Prima la Cronosquadre con la BMC, un formato che sta (rapidamente) perdendo fascino e senso, e quella individuale: all'Eneco Tour non ci è parso brillante.
Le cadute, troppe per essere considerate casuali, gli hanno tolto un po' di sicurezza: il potenziale, da campione (vero), ci sarebbe.

Gli ultimi Mondiali per velocisti furono vinti da due mammasantissima dello sprint.
Zolder 2002 e Copenhagen 2011, Mario Cipollini e Mark Cavendish, entrambi affiancati da super équipe composte da ras nel ruolo (provvisorio) di luogotenenti.
Nell'Italia del povero Franco Ballerini c'erano Petacchi, Bettini, Lombardi, etc.
Nove anni più tardi, a scortare Cannonball furono Wiggins, Froome, Thomas, Millar, Stannard...
Nessuna selezione di Doha 2016 vanta uomini di quel livello, dunque l'incertezza sarà il leitmotiv della manifestazione. Che avrà anche il privilegio, dubbio, di un'incognita ambientale. Si prevedono almeno trentacinque gradi all'ombra, quindi più di quaranta (effettivi) al sole. Una commissione UCI, formata da giudici, medici e rappresentanti degli atleti, vigilerà (?) sulle condizioni meteo.

L'extrema ratio, se il caldo sarà insopportabile, è la riduzione del chilometraggio: scenderebbe a 150 km, rendendo l'ambaradan una farsa. Il contrappasso di una scelta basata unicamente sul denaro, ignara della tradizione e del costume di uno sport bellissimo, che dovrebbe salvaguardare la sua biodiversità. Non essendo ancora, per sua fortuna, il calcio o la Formula Uno.
Comunque, per il 2017, prevediamo un salto - all'ingiù - di forse trenta gradi celsius: a Bergen, in Norvegia, che si specchia nel Mar del Nord, farà freddo... 

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