Jongbloed, pensare con i piedi

di CHRISTIAN GIORDANO


Molto si è favoleggiato sulla presunta “raccomandazione” di Cruijff per far giocare tra i pali, al Mondiale ’74, Jongbloed al posto del sin lì titolare van Beveren. Più che la presunta antipatia del capitano per quest’ultimo o della nota idiosincrasia del Papero d’oro per chiunque potesse fargli ombra o fosse anche solo in disaccordo con lui, fu però la ragione tattica a prevalere. Lo racconta lo stesso Cruijff nell’autobiografia Johan Cruyff – My Turn terminata con Jaap de Groot nel marzo 2016, pochi giorni prima della dipartita di Johan, e uscita postuma, in inglese, quell’ottobre.

«Il Calcio Totale è tutto una questione di distanze in campo e fra le linee. Se giochi con quel sistema, anche quella del portiere conta come linea. E siccome il portiere non può più raccogliere con le mani i retropassaggi, deve saper calciare. E deve fare in modo che i difensori ricevano palla al momento giusto. Spesso dovrà farsi trovare al limite della propria area di rigore, come opzione di passaggio per i compagni. Nel nostro sistema di gioco al mondiale del 1974 non c’era posto per un portiere che non lasciava mai la linea di porta.

Ecco perché fu scelto Jan Jongbloed al posto di Jan van Beveren, che fin lì era stato il titolare. Il grande vantaggio era che da ragazzo Jongbloed aveva giocato da attaccante. Come portiere non solo gli piaceva partecipare all’azione, ma era anche bravo e spesso evitava di prendere gol perché sapeva pensare da attaccante. In difesa avevamo solo un marcatore puro, Wim Rijsbergen. Arie Haan era un centrocampista e i terzini Wim Suurbier e Ruud Krol in origine giocavano più avanti. Quasi tutti avevano una visione di gioco completa, uno spiccato senso della posizione e una tecnica persino superiore». 

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