Hirscher, il destino del re


di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 18 marzo 2017

Il Circo Bianco celebra l'epilogo della stagione con le finali in Colorado. Il 2016/2017 si conclude con la proclamazione di una giovane regina, Mikaela Shiffrin, e la conferma del Re. Sempre più imperatore, ma in Austria il Kaiser rimane Franz Klammer, Marcel Hirscher vince la sesta Coppa del Mondo consecutiva. Un'impresa, di una difficoltà estrema, che diventa normale (?) se affiancata al nome del fuoriclasse nato ad Annaberg. L'uomo che sta riscrivendo, ad appena ventotto anni, la storia dello sci alpino.

Con re Marcello Sesto possiamo rileggere, di giustezza, le dinamiche moderne di questo sport. Il primato, che scavalca il pokerissimo del grande Marc Girardelli, è significativo perché sottolinea le differenze con il passato. Caratterizzato appunto dai polivalenti come il campionissimo lussemburghese, Pirmin Zurbriggen e Bode Miller: nello sci contemporaneo, esasperato dal punto di vista dei carichi di lavoro e dei materiali, la specializzazione consente solo atleti versatili, non più universali.

Nulla pare casuale nella vicenda di Hirscher. 
Figlio di maestri di sci, Ferdinand e Sylvia (che nacque a L'Aia: il figlio ha ancora il doppio passaporto), si dice che Marcel abbia imparato prima a sciare che a camminare. Babbo Ferdinand aveva compreso in fretta il destino del pargolo, che è cresciuto con l'idea di diventare un ras della neve.
Marcellino è un miracolo di predestinazione e programmazione. Piccolo, un metro e settantatré, uno specimen fisico (costruito piano piano) che coniuga agilità e potenza: gli ottanta chili di peso lo certificano.

Tecnicamente, il salisburghese appartiene alla prima generazione del carving.
L'importanza culturale di Hirscher ha a che fare col ritorno della curva rotonda, dopo un decennio di sciatori evoluti che privilegiavano la velocità bruta.
Il resto - che è tantissimo - è la continuità nella performance; una cura nei dettagli della sciata e nella preparazione atletica che hanno elevato il suo standard a livelli irraggiungibili per gli altri.
L'ossessiva ricerca della perfezione ha generato un super atleta che sembra innalzare - gara dopo gara - l'asticella della competizione.
Nei sei trofei di cristallo in fila vinti, dato sbalorditivo in una disciplina a elevato rischio di incidenti, si sommano le qualità del Re: il cambio di marcia, e di ritmo, la lettura del pendio e la tattica per affrontarlo.
L'adattabilità a tutti i tipi di neve e di tracciatura.
Un agonista feroce e freddo. Una macchina di vittorie, assemblata pezzo per pezzo, combinazione di talento, passione e business.

Paiono eoni, eppure sono passati solo due lustri da quando, ai Mondiali juniores di Flachau (2007), conquistò un oro e un argento.
Nello stesso anno, a dicembre, il primo successo in Coppa Europa in Gigante, a San Vigilio di Marebbe.
Classe 1989, la stessa della fatina Anna Fenninger, Hirscher si è imposto con la politica dei piccoli passi.
Nel 2008, vinta la Coppa Europa, la vernice nei Primi Dieci della massima kermesse: nono sulla Chuenisbargli di Adelboden.
L'otto marzo 2009 l'esordio sul podio, terzo a Kranjska Gora in uno Slalom.
Da lì l'ascesa è stata irresistibile: il quarto posto tra i pali larghi ai Mondiali in Val d'Isère, beffato per soli sette centesimi da Ted Ligety, venne riscattato dal primo trionfo in Coppa, il 13 dicembre, sulla stessa pista.
Nel 2011 l'unico vero infortunio della carriera, Marcel tocchi ferro: la frattura allo scafoide del piede sinistro in quel di Hinterstoder.
Quando, nell'annata successiva, l'austriaco si impose subito sulla Birds of Prey di Beaver Creek, in Gigante, la saga ebbe inizio.

Nelle sei campagne vittoriose, Hirscher è stato contrastato sino all'ultimo solamente da Beat Feuz, sempre nel 2011-12, e ha duellato soprattutto con Aksel Lund Svindal (l'ultimo dei mohicani).
La concorrenza, col passare del tempo, non più polivalente, si è mostrata troppo altalenante di fronte al ruolino di marcia - impeccabile - del Re.

Il 2017 è stato un capolavoro: ha esposto la fragilità nervosa di Henrik Kristoffersen, uno che l'aveva preceduto e battuto dieci volte - nello Speciale - ma che è naufragato a St.-Moritz, e l'inconsistenza agonistica di Alexis Pinturault.
Alla rassegna iridata, criticato dai soloni per non aver partecipato al (ridicolo) Team Event, ha realizzato la doppietta dei Grandissimi, con l'accoppiata Gigante e Speciale.
E se le condizioni del manto, quel pomeriggio, fossero state regolari si sarebbe aggiudicato anche la Combinata.
Marcel Hirscher, capintesta del movimento, ha smesso di rincorrere gli assi del passato diventando, egli stesso, un punto di riferimento storico.

I paragoni possibili nell'alveo tecnico sono sempre meno: Ingemar Stenmark, su tutti, e Alberto Tomba. Per adattabilità al velocismo, Hirscher tende a Gustav Thoeni e a Benny Raich. 
Ha sfondato il muro dei cento podi, a oggi siamo a 106, indice di una regolarità spossante, irreale.
Marcel, mentre riempie la bacheca di trofei, non ha ancora sciolto gli interrogativi per il futuro prossimo.
Manca l'oro olimpico, alla statistica e basta perché poco aggiungerebbe al suo ruolo (dominante) nello sci alpino; ma essere re Marcello costa fatiche omeriche.
Fidanzato con Laura, appassionato di motocross, ricchissimo, una star in patria, ha dichiarato - e pareva sincero - di non essere interessato ai record.
Ché l'apogeo vero, sugli sci, è una gara eseguendo la curva perfetta.
Dallo scavezzacollo degli esordi, un po' arrogante, a giovane saggio e intelligente: forse la parabola di re Marcello Sesto sta tutta qui.
SIMONE BASSO
Il Giornale del Popolo, 18 marzo 2017

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