Un anno senza Il Più Grande: il Profeta del Calcio Totale
Quando la sera del 28 maggio 1969, sul terreno del “Santiago Bernabeu” di Madrid, il Milan conquista la sua seconda Coppa dei Campioni schiantando per 4-1 gli olandesi dell’Ajax Amsterdam, sono in pochi a ritenere che quel ragazzo di poco più di vent’anni che, sì, fa un gran movimento, corre, si danna l’anima ed è difficile da marcare, possa poi divenire l’alfiere della più grande rivoluzione che il calcio abbia mai dovuto conoscere, trasformandone per sempre la fisionomia.
Già, perché quella sera le luci della ribalta sono tutti per lui, l’ex “Golden Boy” ed ora maturo Gianni Rivera, il quale dirige da par suo l’orchestra rossonera fornendo a Pierino Prati gli assist per la seconda e quarta rete della sua personale tripletta – ultimo giocatore ad esservi riuscito in una finale di Coppa Campioni/Champions League – per poi fregiarsi a fine anno del “Pallone d’Oro” messo in palio dalla rivista “France Football“, primo italiano a riuscire in tale impresa, se si esclude l’italoargentino Sivori nel 1961.
Non è dato sapere cosa sia passato quella notte nella testa del citato giovane olandese, tale Hendrik Johannes “Johan” Cruijff, nato ad Amsterdam il 25 aprile 1947, ma di certo, avrà rimuginato nella sua mente come fare per arrivare egli stesso a raggiungere un tale traguardo, pensiero che gli sarà rimbalzato nel vedere assegnare a Rivera il prestigioso riconoscimento della rivista francese.
Oddio, non è che il futuro “Profeta del gol“ fosse uno sconosciuto nella regione dei polder al di sotto del livello del mare, e che la sua potesse essere una carriera da predestinato se ne ha sentore sin dal giorno del suo debutto, il 15 novembre 1964 a 17 anni, nel successo esterno per 3-1 dei “lancieri” sul campo del Groningen, cui la settimana successiva fa seguito la sua prima rete con la divisa biancorossa nella netta vittoria casalinga per 5-0 contro il PSV Eindhoven.
Non era stata un’infanzia facile quella di Johan e di suo fratello Heini, figli di una coppia che gestisce un negozio di frutta e verdura, sufficiente per tirare avanti con dignità, ed i due rampolli dividono il loro tempo tra scuola, compiti ed interminabili partite a calcio per le strade della metropoli olandese, dove Johan affina le sue innate qualità tecniche, saltando come birilli gli amici e consentendogli di entrare, sin dal compimento del suo decimo anno, nelle formazioni giovanili dell’Ajax, assieme al fratello, che ricopre il ruolo di stopper.
Che l’adolescente Johan avesse già le stimmate del leader se ne accorge ben presto il presidente degli ajacidi, quando, colpito a 12 anni dalla perdita del padre per un infarto, riesce a convincerlo ad affidare alla madre – che nel frattempo ha dovuto cedere l’attività e vendere l’abitazione – i lavori di pulizia al vecchio stadio “De Meer“, nonché a servire al bar durante le partite, mentre lui abbandona gli studi per seguire quella che ritiene essere la strada che il destino gli ha assegnato.
E, nonostante faccia ancora parte delle formazioni giovanili, il piccolo Johan viene preso sotto osservazione da Vic Buckingham, tecnico inglese sbarcato ad Amsterdam proprio nel 1959 per guidare la prima squadra, il quale, intuendone le potenzialità, lo sottopone ad un programma di allenamenti specifici per rafforzarne la muscolatura, cosa della quale Cruijff trae immediato beneficio, tant’è che nella sua prima stagione a livello allievi senza “qualcosa” come 74 (!!!) reti, firmando poi nel 1964 il suo primo contratto da professionista.
E se Cruijff deve a Buckingham – il quale, dopo il rientro in patria allo Sheffield Wednesday, torna alla guida dell’Ajax nell’estate 1964 giusto in tempo per verificare i progressi del ragazzo e farlo esordire in prima squadra – il suo potenziamento atletico che lo rende inafferrabile nel prosieguo della carriera, è con un altro tecnico che Johan compie il definitivo salto di qualità, vale a dire Rinus Michels, a sua volta ex attaccante del club nell’immediato dopoguerra e capace di realizzare 122 reti che gli valgono due titoli di campione olandese, nel 1947 e dieci anni dopo, nel 1957.
Michels sostituisce Buckingham nel corso della più travagliata stagione dei lancieri, conclusa con un inglorioso terz’ultimo posto in classifica, a tre soli punti dalla retrocessione in “Eerste Divisie” (la serie B olandese), ed il suo compito di risollevare una squadra che non vince il titolo dal 1960 sembra alquanto improbo, visto che può contare su solo tre giocatori di livello superiore, e cioè il difensore Wim Suurbier, il centrocampista Sjaak Swart e l’attaccante Klaas Nuninga.
Ma il neo tecnico ha dalla sua alcune carte importanti da giocare, prima fra tutte il recupero dell’esperto Co Prins, fermato l’anno precedente da una serie di infortuni, quindi il rientro da due anni al Feyenoord – con cui si era laureato campione d’Olanda la stagione precedente – di Henk Groot, soprattutto, il lancio in pianta stabile in prima squadra della 22enne ala sinistra Piet Keizer e del “gioiellino di casa” Johan Cruijff.
L’alchimia raggiunta, con un gioco votato all’offensiva, paga immediatamente i suoi frutti, con l’Ajax che torna al titolo, celebrato il 18 maggio 1966 con il successo per 2-0 sui rivali storici del Feyenoord allo Stadio Olimpico, che apre i suoi battenti solo per tale sfida, risultando il “De Meer” inadeguato per contenere gli spettatori che vogliano assistervi, con Cruijff che fornisce il proprio contributo con 16 reti in 19 gare disputate.
Inizia così a prendere forma il “fenomeno Ajax“, una squadra che incanta, aggiungendo altri due titoli consecutivi, sempre a spese del Feyenoord, nel 1967 (realizzando 122 reti (!!!), di cui 33 portano la firma di Cruijff, 25 di Swart e 23 di Nuninga) e nel 1968 (con Cruijff ancora “top scorer” con 27 centri), mentre le prime esperienze europee vedono i “lancieri” fermarsi una prima volta ai quarti, dopo aver dato una severa lezione al Liverpool negli ottavi, sconfitto 5-1 ad Amsterdam, e la seconda risultare sfavoriti dal sorteggio, che li oppone al primo turno al Real Madrid, dal quale escono sconfitti con l’onore delle armi (1-1 in casa, 1-2 solo ai supplementari al Bernabeu).Cruijff in azione – da storiedicalcio.altervista.org
Sono comunque esperienze contro squadre di livello che fanno crescere, soprattutto in esperienza, la squadra, che nel 1969 diviene la prima compagine dei Paesi Bassi a guadagnare la finale di una Coppa europea, eliminando nel percorso il Benfica del sempre valido Eusebio dando una dimostrazione di grande maturità quando, dopo essere stati sconfitti in casa per 1-3, gli olandesi ribaltano il risultato al ritorno a Lisbona, portandosi sul 3-0 dopo mezz’ora con un Cruijff scatenato autore di una doppietta, solo per subire nel finale la rete di Torres che rimanda il passaggio del turno al match di spareggio disputato in campo neutro, a Parigi, dove sono necessari i tempi supplementari dopo che lo 0-0 di partenza non si sblocca, e nella mezz’ora ulteriore, ancora Cruijff e Danielsson con una doppietta chiudono definitivamente il conto.
L’impegno europeo incide sull’esito del campionato, che vede l’Ajax stavolta abdicare a beneficio del Feyenoord, risultando fatale la sconfitta interna per 1-2 contro il PSV Eindhoven a quattordici giorni dalla finale di Coppa Campioni contro il Milan, rimandando l’appuntamento con il titolo all’anno seguente.
Ora, se c’è una cosa che non è mai mancata a Cruijff, oltre all’innata classe, è anche una determinazione al limite del parossismo nel volersi affermare, e non c’è niente che lo stimoli di più che vedere vincere avversari che ritiene inferiori alla propria squadra ed è questo il caso che si verifica a maggio 1970 quando, a dispetto dell’essere tornati sul trono d’Olanda, vede conquistare la Coppa dei Campioni ai rivali del Feyenoord, superando il Celtic Glasgow per 2-1 nella finale di Milano, avendo oltretutto eliminato nel loro cammino proprio i detentori del Milan che avevano umiliato i “lancieri” l’anno prima.
E’ questo un affronto che innalza a livelli impensabili l’orgoglio ed il “super ego” di Cruijff – che con il suo Ajax si era dovuto arrendere in semifinale di Coppa delle Fiere contro l’Arsenal, poi vincitrice del trofeo – e, archiviata la stagione con l’accoppiata Scudetto/Coppa nazionale e 33 reti complessive realizzate in 46 gare disputate, pianifica con Michels il programma per la successiva campagna europea.
Con una formazione che ha raggiunto l’equilibrio in tutti i reparti, con l’inserimento di Stuy in porta, del possente libero Hulshoff in difesa e di Gerrie Muhren e Johan Neeskens a centrocampo, Cruijff – che nella nuova stagione indossa per la prima volta la celebre “maglia numero 14“, un vezzo tale da renderlo ancora più unico – è libero di spaziare a proprio piacimento nel settore offensivo, sfruttando le sue doti di velocità e controllo della sfera che lo rendono immarcabile, unite ad un talento insuperabile nella visione di gioco sia nel fornire preziosi assist ai compagni che nel dettare il passaggio per la conclusione da parte sua, il tutto inquadrato in una lettura della singola gara che non ha eguali, come dallo stesso Johan rappresentato con le parole… “Ogni allenatore parla di movimento, dice di correre sempre, ma io dico, viceversa, non correte molto. Il calcio è un gioco in cui si gioca con il cervello e bisogna trovarsi nel posto giusto nel momento giusto, né troppo tardi, né troppo presto…“.
Così oliata e tirata a lucido, la formazione biancorossa si spiana la strada verso la sua seconda finale europea attraverso altrettanti 3-0 inflitti allo Stadio Olimpico – che oltre alla sfida contro il Feyenoord nel “derby d’Olanda“, ospita pure le gare internazionali – a Basilea negli ottavi, Celtic ai quarti ed Atletico Madrid in semifinale, per poi cogliere l’alloro più importante in un palcoscenico d’eccezione quale lo Stadio di Wembley a Londra, al cospetto di un Panathinaikos allenato da un’altra leggenda del calcio mondiale, il “colonnello” Ferenc Puskas, che deve inchinarsi alle reti di Van Dijk e del subentrato Haan, e pazienza se del titolo olandese, nel frattempo, se ne è riappropriato il Feyenoord – viceversa ingloriosamente eliminato al primo turno dai rumeni dell’UT Arad – al quale Cruijff & Co. stanno per rifilare uno scherzetto mica male.
Dalla consacrazione sul campo, giunge anche quella della critica internazionale, cheincorona Cruijff con una votazione plebiscitaria in occasione dell’assegnazione del “Pallone d’Oro” 1971, ottenendo 116 voti, più del doppio del secondo classificato, l’azzurro Sandro Mazzola, che ne raggranella 57.
L’anno seguente, con ancora due squadre iscritte alla Coppa dei Campioni, la relativa finale, vista la crescita del calcio “made in Holland“, viene assegnata dalla UEFA proprio a Rotterdam, nella “tana“ del Feyenoord, e la rivalità in patria tra i due club raggiunge picchi elevatissimi, dato che, tra l’altro, Michels ha ritenuto compiuto il suo lavoro nella costruzione di un modello vincente, venendo attratto dalle sirene catalane del Barcellona, con la designazione del rumeno Stefan Kovacs, reduce da un quadriennio alla guida della Steaua Bucarest, quale suo sostituto.
Ma la squadra, oramai, recita il copione a memoria, con ulteriori due innesti di prestigio quali Ruud Krol ed Arie Haan in pianta stabile tra i titolari, e la stagione 1972 si rivela come ineguagliabile nella storia del club, che fa suo il campionato staccando nettamente di 8 punti i consueti rivali e scavalcando nuovamente quota 100 reti realizzandone 104 (con Cruijff ancora “top scorer” con 24 centri), cui aggiunge l’11 maggio la conquista della coppa nazionale (la KNVB Beker) superando 3-2 il Den Haag nella finale disputata proprio a Rotterdam, dove, 20 giorni dopo, punta a confermarsi campione d’Europa contro l’Inter, nel mentre la squadra di casa è stata eliminata dal Benfica ai quarti con un pesante 5-1 a Lisbona.
Vi è da dire che, come l’Ajax furoreggia in patria quanto a reti realizzate, viceversa in Europa sfrutta la propria solidità difensiva, con una linea che mette in pratica a memoria la tattica del fuorigioco, tant’è che subisce appena tre reti nelle otto gare disputate per giungere all’atto conclusivo, ed il doppio confronto di semifinale contro il Benfica viene risolto dall’unica rete messa a segno da Swart nella gara di andata.Una fase di Ajax-Inter – da mimmorapisarda.it
Difesa che si dimostra impenetrabile anche il 31 maggio a Rotterdam, ma anche la corrispondente retroguardia nerazzurra regge bene l’urto guidato da un Cruijff ispirato come non mai, nonostante la stretta marcatura di Oriali, capitolando solo ad inizio ripresa grazie proprio all’astuzia di Johan nello sfruttare un’uscita a vuoto di Bordon per poi chiudere il conto nel finale con un azzeccato colpo di testa che non lascia scampo all’estremo difensore italiano, potendo così festeggiare in casa dei rivali storici e superare nuovamente quota 30 reti in stagione, cui unisce, a settembre, la conquista della Coppa Intercontinentale contro gli argentini dell’Independiante e, il gennaio successivo, la Super Coppa europea a spese dei Glasgow Rangers.
Ora, ricordiamoci l’aspetto indubbiamente un po’ altezzoso di Johan ed a cosa debba aver pensato quando, al termine di una stagione irripetibile in cui ha conquistato tutto ciò che era possibile, si vede addirittura escludere dal podio del “Pallone d’oro” 1972, interamente monopolizzato dal trio tedesco formato da Franz Beckenbauer, Gerd Mueller e Guenther Netzer, componenti della nazionale vincitrice dell’Europeo, un affronto da “lavare col sangue” e l’occasione gliela fornisce l’urna della UEFA, abbinando il suo Ajax bicampione d’Europa al Bayern di Monaco nei quarti di finale della Coppa dei Campioni 1973, coi vari Maier, Breitner, Beckenbauer, Hoeness e Mueller incapaci di reggere le sfuriate offensive di un Ajax che li travolge 4-0 allo Stadio Olimpico, per poi far fuori anche Real Madrid in semifinale e Juventus nell’atto conclusivo a Belgrado, per un tris di vittorie che non si registrava dai tempi del grande Real di Di Stefano & Co.
Stavolta non ci sono dubbi, il secondo “Pallone d’Oro” trova spazio nella sala dei trofei di casa Cruijff, ancora una volta con una schiacciante superiorità nelle votazioni (96 preferenze contro le 47 di Dino Zoff), ed è anche il momento di cambiare aria, attirato dal suo mentore Michels che ripone in lui le speranze di riportare in Catalogna una vittoria nella Liga che per il Barcellona manca da 14 anni, dall’epoca di Helenio Herrera, per intendersi.
Ancora una volta è l’ostinazione di Cruijff ad averla vinta, poiché l’Ajax aveva stretto un accordo con il Real Madrid (una sorta di “caso Di Stefano” degli anni ’50 al contrario), ed impuntandosi ottiene quanto desiderato, presentandosi al “Camp Nou” in veste di nuovo Messia, dato che al suo esordio la squadra è terz’ultima – firma del contratto ritardata per valutare bene ogni clausola da parte del suocero miliardario Cos Corver, commerciante di diamanti – ma basta una sua doppietta all’esordio nel 4-0 contro il Granada per far sì che i “blaugrana” si riapproprino del titolo con largo margine, con Johan autore di una rete in acrobazia nella gara vinta 2-1 contro l’Atletico di Madrid che resta a vita nell’immaginario dei tifosi catalani – ed èutilizzata da Sandro Ciotti quale copertina del film documentario “Il Profeta del Gol“, uscito nel 1976 – così come l’umiliazione inflitta agli odiati “blancos” nel “Super Clasico” di ritorno del 17 febbraio 1974, umiliati con un pesantissimo 0-5 al Santiago Bernabeu.Il gol contro l’Atletico Madrid – da olimpopress.it
Manca ancora però un importante tassello alla carriera di Cruijff, vale a dire portare ai vertici del calcio mondiale anche la nazionale olandese che, pur con lui in squadra, non è riuscita a superare i gironi di qualificazione sia agli Europei 1968 e 1972 che ai Mondiali del 1970 in Messico, ma la musica cambia in occasione dei Mondiali di Germania 1974, quando l’Olanda riesce finalmente a staccare il biglietto per la fase finale, pur se solo grazie alla miglior differenza reti rispetto al Belgio, i cui incontri si sono conclusi entrambi a reti inviolate, e con il contributo di 7 reti messe a segno da Cruijff.
La selezione olandese sbarca in Germania con lo “zoccolo duro” formato dall’ossatura dell’Ajax con l’aggiunta del “catalano” Cruijff potendo anche contare sulla presenza di Michels in panchina e tale edizione dei Mondiali passa alla storia come quella della “rivoluzione nel calcio moderno” per l’esempio di calcio totale messo in pratica dagli olandesi – visti anche con un pizzico di ironia per la gestione “aperta” del ritiro, con moglie e fidanzate al seguito e coppe di champagne ai bordi delle piscine – con questo loro movimento armonico che li porta, da un lato, a scattare all’unisono in avanti per la conquista della palla disorientando gli avversari che spesso cadono nella trappola del fuorigioco e, dall’altro, a poter contare su un movimento in fase offensiva tale da non concedere punti di riferimento alle opposte difese, di cui l’indiscusso regista e finalizzatore altri non è che il “divino” Johan, dal che nasce l’appellativo, tutt’altro che fantasioso, di “Arancia meccanica” in onore al colore della divisa nazionale ed al celebre film di Stanley Kubrick, uscito nel 1971.
Il modo di giocare degli olandesi incanta pubblico e critica, giungendo all’atto conclusivo con 14 reti realizzate ed una sola subita (peraltro in un 4-1 contro la Bulgaria), pur dovendo subire l’amarezza della sconfitta contro i fortissimi padroni di casa della Germania Ovest, in una gara in cui Cruijff, scientificamente colpito alle caviglie dal mastino Vogts, mostra il suo lato peggiore, innervosendosi oltre misura tanto da rischiare di essere cacciato dal direttore di gara, l’inglese Taylor, con ciò facendo il gioco dei suoi avversari, e stavolta avrebbe sinceramente fatto a meno del “contentino” riservatogli con l’assegnazione del suo terzo “Pallone d’Oro“ (primo giocatore a riuscirvi) a fine anno, avendo senz’altro preferito essere al posto del secondo classificato, il Kaiser Beckenbauer, nel sollevare al cielo la Coppa del Mondo.
Il 1974 rappresenta l’apice della carriera di Cruijff, che non riesce a rinverdire al Barcellona i fasti della prima stagione, per poi emigrare, a 30 anni compiuti, negli Stati Uniti ad insegnare calcio nella mediocre NASL infarcita di vecchie glorie, per poi far ritorno ad inizio anni ’80 in Olanda e dare il proprio contributo a tre titoli consecutivi, i primi due con l’Ajax ed il terzo, l’ultimo dei 9 complessivamente conquistati, con la maglia dei rivali del Feyenoord, quasi a mo’ di compensazione per i tanti “sgarbi” commessi in passato.
Ma il legame con la Catalogna resta forte, ed, appese le scarpe al chiodo e dedicatosi alla carriera di allenatore, Cruijff ripercorre le stesse tappe da giocatore, portando in tre anni nella bacheca dell’Ajax due Coppe d’Olanda e la Coppa delle Coppe 1987 vinta in finale contro il Lokomotiv di Lipsia grazie ad una rete di Marco van Basten – il quale aveva esordito coi lancieri proprio entrando al suo posto nell’aprile 1982, anch’egli all’età di 17 anni, in un ideale passaggio di consegne – per poi approdare al Barcellona nell’estate 1988 con il compito di restituire un’immagine vincente ad un club che, dalla Liga vinta nel 1974 con l’olandese, aveva messo in carniere un solo ulteriore titolo nel 1985 sotto la guida di Terry Venables.
Cruijff trasferisce in terra spagnola la sua filosofia di calcio, ben racchiusa nella frase “il gioco innanzitutto ed i risultati arriveranno“, costruendo negli 8 anni in cui siede sulla panchina azulgrana un ciclo vincente antesignano del presente, che porta il Barcellona a conquistare la Coppa delle Coppe 1989, la Copa del Rey l’anno successivo e ad inanellare quattro titoli di campione nazionale consecutivi (dal 1991 al 1994) con l’aggiunta di altre tre finali europee, sconfitto dal Manchester United nel 1991 in Coppa delle Coppe, vittorioso – prima volta nella storia del club – in Coppa Campioni 1992 a spese della Sampdoria (ancora a Wembley, teatro della sua prima Coppa vinta da giocatore ) e subendo un impensabile tracollo due anni dopo, travolto 0-4 dal Milan di Capello ad Atene, quel Milan che già lo aveva umiliato da giocatore 25 anni prima a Madrid.
Il suo brutto vizio di abusare delle sigarette lo costringe a fermarsi nel 1996 a causa di ripetuti attacchi cardiaci subiti, dedicandosi all’attività dirigenziale soprattutto improntata nella selezione dei giovani e nella cultura applicata alla Masia (struttura che ospita i giocatori che fanno parte del vivaio del Barcellona), con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, per poi dover combattere l’ultima sfida della sua vita contro un tumore al polmone emerso nell’ottobre 2015 da cui esce sconfitto il 24 marzo 2016, rendendo quanto mai profetiche le sue parole dettate ad inizio anni ’90 ad avvenuta applicazione di due bypass coronarici, quando contribuì ad una battaglia contro il fumo recitando lo slogan… “Nella mia vita ho avuto solo due vizi: uno, il calcio, mi ha dato tutto, l’altro, il fumo, stava per togliermelo…“.
E alla fine, purtroppo, ci è riuscito.
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