Enzo Vicennati: Roche il cattivo, ma a Sappada si spense Visentini
di CHRISTIAN GIORDANO ©
IN ESCLUSIVA PER RAINBOW SPORTS BOOKS ©
Enzo Vicennati è dal 1992 redattore inviato di Bicisport. Fra i pochissimi in sala stampa a non farti mai pesare esperienza, competenza e sensibilità (anche e soprattutto nel sociale), doti rare che gli consentono con i corridori un'empatia e un rispetto che pochi suoi colleghi possono vantare. Cronista vecchia scuola - ed è solo un complimento -, lo incontro in afoso pomeriggio al Tour in un raro momento di tranquillità prima della "tonnara" per le interviste in mixed-zone all'arrivo di tappa.
Tour de France, 19ª tappa: Embrun - Salon-de-Provence
Sala stampa di Salon-de-Provence, 21 luglio 2017
- Enzo Vicennati di BiciSport, “Sappada”: che cosa ti viene in mente?
«Quello che oggi fa molto meno scandalo. Visentini capitano, Roche dietro che scalpita. Un po’ come Froome e Landa adesso, come Wiggins e Froome a suo tempo [al Tour 2012, nda]. La cosa strana fu che la squadra si spaccò. Perché la squadra si divise a metà per Visentini leader, e l’altra metà, più consistente, per Roche. Roche, si vedeva che aveva più forza di Visentini. Attaccò, fece quello che nessuno si sarebbe mai immaginato, perché quello era un ciclismo in cui il capitano era il capitano, e nessuno si sarebbe mai permesso di metterne in dubbio la leadership. Lui attaccò e l’altro andò in crisi. L’altro, psicologicamente, non era mai stato uno spaccamontagne. Era uno sempre molto problematico, introverso. Andò in crisi e probabilmente, perdendo la lucidità, perse anche la capacità di reagire e colò a picco. Ci fu effettivamente il tradimento, perché non si può dire che non ci sia stato, però forse poteva essere gestito meglio dall’ammiraglia e magari non avrebbe avuto questi tratti drammatici».
- Quindi tu vedi un Boifava che era un po' tra l’incudine e il martello? Perché doveva comunque difendere la rosa ed erano entrambi suoi corridori...
«Sì, loro si resero conto che Roche andava molto più forte. Il “problema” è che non c’era una minaccia esterna da giustificare il via libera a Roche. Roche prese l’iniziativa, c’è poco da fare. Non si mosse per inseguire qualcun altro, per fare un’azione un po’, diciamo, da furbo. La fece proprio da cattivo. E l’ammiraglia avrebbe dovuto fermarlo. Non ebbero il carattere per farlo, e quello si andò a prendere la vittoria, ma poi vinse anche il Tour e il Mondiale. È stato l’unico anno nella sua vita in cui andava così forte, ma era “intrattabile” quell’anno».
- I fratelli Imerio e Tito Tacchella - i patron Carrera - spingevano perché vincesse un italiano, come era successo l’anno prima, al Giro dell’86, con lo stesso Visentini?
«Sì, immagino di sì. Soltanto che non… Probabilmente, ci fossero stati i cellulari a quel tempo, sarebbe stato tutto diverso perché la chiamata dello sponsor - in diretta tv - avrebbe quanto meno messo a posto le cose. Quello era un ciclismo molto più pane e salame, molto più vissuto sulla strada. Cosa doveva fare, l’ammiraglia: mettersi in mezzo alla strada e fermare il corridore? Però, quando ti rendi conto che quello sta andando a vincere, sta andando a vincere il Giro, a un certo punto porti a casa il risultato. È chiaro che per i Tacchella sarebbe stato meglio l’italiano. Allo stesso modo in cui, negli anni successivi, puntarono su Chiappucci e poi su Pantani. Però ebbero comunque la "certezza" d’averlo vinto, il Giro. E in qualche modo il fatto che se ne parli ancora, che si ricordi il marchio Carrera a distanza di tanti anni, ha fatto gioco anche a loro».
- Ma poi a Visentini si spense la luce. Ha resistito per altre tre stagioni ma non era più lo stesso corridore. E da allora (quasi) non ha più voluto avere a che fare col mondo del ciclismo…
«Ha risposto a qualche telefonata per brevi interviste negli ultimi cinque-sei anni, quindi parliamo veramente di venticinque-trent’anni dopo. Era, come dicevamo prima, un introverso, forse insicuro è troppo, però era uno che aveva bisogno, nelle sue certezze, di sentirle supportate dalla sicurezza degli altri. Si sentì tradito. Si sentì che lì dentro non era più il suo posto. Una psiche abbastanza complicata. Fu difficile rimetterlo in bicicletta e riportarlo ad alti livelli. E di fatto lì si è spenta la sua stella».
- Roche era molto bravo con i media e in corsa sapeva crearsi alleanze. La Fagor dell'anno dopo in realtà l’ha fatta lui in gruppo. Visentini invece pativa la fama, l'essere benestante di famiglia eccetera? Non è stato mai veramente accettato in gruppo? Oppure si trattava di falsi miti?
«Secondo me c’è tanto di falso mito, nel senso che sicuramente lui non era dei più affamati del gruppo. Sicuramente chi è affamato, e ha voglia di vincere, nel momento della difficoltà tira fuori la rabbia, lui tirò fuori la "depressione", anche in corsa. Ci sono però questi caratteri che vanno giù alla minima difficoltà. Ci sono stati tanti altri di campioni fatti in questo modo. Sicuramente l’altro ancora adesso si "vende" bene. L’altro, ancora adesso, è popolare nel “gruppo” nonostante siano vent’anni che non ci sta più dentro. Era più smart, parlava le lingue, era straniero, era spiritoso. L’altro l’ha subìto sicuramente. Io a quei tempi non c’ero ma secondo me la convivenza in squadra, le battute la sera a tavola di cui mi hanno parlato erano tutte dalla parte di Roche. Visentini queste cose qui le subiva. Allo stesso modo in cui, per dirti, Chiappucci soffriva l’esuberanza di Pantani, anche dal punto di vista caratteriale. Però mentre Pantani fu bravo a stare al suo posto e a non passare mai davanti a Chiappucci, l’altro capì che quello era l’anno giusto per vincere. E vinse. Si fece pochissimi problemi».
- In venticinque anni di BiciSport, hai visto campioni di tutti i tipi. Mi tratteggi, dal punto di vista tecnico, le differenze fra i due corridori Roche e Visentini?
«Visentini più scalatore che però si difendeva bene a cronometro, diciamo un corridore “complicato” tatticamente perché aveva bisogno che l’attacco fosse preparato nei dettagli. L’altro più capace di improvvisare, più sbarazzino, meno costruito forse, più talento, anche se poi, fatto quell’anno, anche lui si spense completamente. E non dico altro, nel senso che comunque erano anni di grandi fiammate. Roche era un grande campione, e quell’anno è stato per lui indimenticabile. Visentini probabilmente aveva più basi, quindi se avesse avuto il carattere di Roche probabilmente sarebbe durato molto di più ad alto livello. L’altro visse questa fiammata eccezionale, però era forte su tutti i terreni. Anche nel Tour, che vinse contro Delgado, fece vedere che non c’era un terreno in cui fosse veramente debole».
- Ci sono "tradimenti paragonabili" a quello di Sappada '87?
«A pelle, mi viene in mente il Giro d’Italia del ’40 in cui Coppi spodestò Bartali, ma Bartali era anche caduto, non è che l’abbia mai attaccato direttamente. Ci poteva essere tra Wiggins e Froome nel 2012 ma di fatto fu un accenno. Forse perché oggi ci sono le radio e lo richiamarono perché altrimenti Froome era già andato. Il passare degli anni, il trasformarsi delle squadre in aziende, tutte molto controllate, ha fatto sì che lo spazio per il tradimento non ci fosse più. Anche Landa in questo Tour [2017, nda] avrebbe potuto sognare di più ma è stato giusto un sogno, o neanche quello. Sono molto irreggimentati, e forse è giusto così. Forse si è tolto spazio alla fantasia ma onestamente tradimenti a quel livello… Ci sono stati giovani capitani che però l’anno dopo hanno soppiantato il vecchio capitano. Durante, faccio fatica a vederne. No, non ne ricordo».
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