QUANDO MOSCA VOLEVA IL GIRO


di Gianfranco Josti
© INBICI MAGAZINE

Le polemiche geopolitiche sulla scelta di Gerusalemme riportano agli onori delle cronache le tante partenze rosa fuori dai confini italiani. Il caso più clamoroso nacque (e morì) negli anni ’70, quando il patron Vincenzo Torriani – nel pieno della Guerra fredda – disse no alla Russia perché… aveva paura di volare.

Capita (raramente) che la realtà superi di gran lunga la fantasia. Neppure il più fantasioso scrittore di gialli avrebbe immaginato che un presidente degli Stati Uniti avrebbe potuto mettere in seria difficoltà una gara ciclistica come il Giro d’Italia. Ebbene, Donald Trump c’è riuscito con l’annuncio-choc di volere spostare l’ambasciata israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme, scelta da RCS Sport come sede di partenza della corsa rosa numero 101.

Tale annuncio, che di fatto ha riconosciuto la Città Santa come capitale di Israele, ha riacceso la sanguinosa guerriglia che il partito palestinese Hamas alimenta e sostiene contro gli israeliani e che negli ultimi anni pareva sopita.

Vero che la partenza del Giro d’Italia 2018 è prevista per il 4 maggio, quindi in teoria c’è tutto il tempo perché la situazione ritorni sotto controllo, ma è chiaro che una manifestazione così importante, così coinvolgente, così attesa in un Paese che mai ha ospitato eventi sportivi di così alto livello deve mettere al primo punto la sicurezza dei partecipanti, ovvero corridori e seguito.

La scelta di far partire il Giro da Gerusalemme e disputare le prime due tappe in Israele (Haifa-Tel Aviv e Be’Er Sheva-Eilat) è stata coraggiosa e innovativa nell’antico sport delle due ruote che accetta senza discutere la tecnologia che ha radicalmente modificato la bicicletta ma che a livello organizzativo resta ancorato al passato. Una scelta che comporta anche rischi perché cominciare la grande avventura rosa così lontano dal territorio nazionale, impone agli organizzatori uno sforzo immenso per quanto riguarda la logistica.

Sotto il profilo della sicurezza, prima dell’annuncio di Trump che tutto il mondo ha condannato, la situazione era sotto controllo perché le autorità israeliane avevano dato tutte le rassicurazioni che Mauro Vegni aveva trasmesso ai general manager delle squadre invitate. Vedremo come andrà a finire, ma è evidente che RCS Sport si vede costretta a preparare un piano B.

Nel caso in cui fosse confermata la partenza a Gerusalemme, il Giro d’Italia conquisterebbe un record: sarebbe la prima grande corsa a tappe a prendere il via fuori dell’Europa. Nel corso della sua storia ultra-centenaria la kermesse rosa ha mosso le prime pedalate dall’estero in varie occasioni.

L’esordio risale al 1965 quando la bandierina venne abbassata a San Marino mentre l’anno successivo l’onore spettò al Principato di Monaco. Ancora un binomio, 1973-1974: dapprima Verviers, in Belgio quindi Città del Vaticano. Nel 1996 la Grecia, privata del privilegio di festeggiare il secolo di vita dei Giochi Olimpici (disputati ad Atlanta), ospitò la partenza del Giro, mentre nel 1998 – stagione della straordinaria doppietta Giro-Tour di Marco Pantani – il via fu dato in Francia, a Nizza; quindi nel 2002 toccò all’Olanda, Groningen e nel 2006 si tornò in Belgio, a Seraing. A partire dal 2010, RCS Sport ha deciso di proporre ogni due anni una partenza del Giro lontano dall’Italia. Nell’ordine: Olanda (Amsterdam), Danimarca (Herning), Regno Unito (Belfast), Olanda (Apeldoorn), Gerusalemme (Israele).

L’idea di far scattare la più grande manifestazione sportiva organizzata in Italia fuori dai nostri confini è di vecchia data. L’aveva accarezzata più volte Vincenzo Torriani, leggendario patron del Giro che, a cavallo degli Anni Settanta, non solo aveva tenuto testa allo strapotere del Tour de France, ma in diverse occasioni aveva creato grossi problemi alla Grande Boucle che ha sempre avuto dalla sua una felicissima collazione nel calendario internazionale, ovvero il mese di luglio, cuore delle vacanze estive. Partenza dunque da Paesi stranieri ma facilmente raggiungibili perché Torriani nutriva un vero e proprio terrore nei confronti dell’aereo.

Fu anche per questa ragione che abortì un suo straordinario progetto, trasformato in realtà dal suo preziosissimo braccio destro, Giovanni Michelotti: il via sarebbe stato dato dalla Piazza Rossa, a Mosca, quindi al massimo in un paio di giorni i corridori avrebbero attraversato l’immenso territorio sovietico per riprender il percorso in Italia. Era stata prevista una staffetta, ogni frazione tra i 100 e i 150 chilometri, disputata da un solo corridore delle squadre invitate (tra 170 e 180 i concorrenti). In questo modo si sarebbero coperti oltre duemila chilometri.

Gli organizzatori avevano pensato di sfruttare gli aerei dell’Armata Rossa (i celebri Antonov) nelle decine di aeroporti militari disseminati nell’URSS per trasferire i corridori e parte del seguito a ridosso dei confini italiani (Austria o nell’allora Jugoslavia). Terminata la frazione, corridori e relativo seguito sarebbero stati convogliati nell’aeroporto più vicino e quindi trasferiti nella località prestabilita dove si sarebbe ritrovata l’intera carovana.

Nel cuore della guerra fredda e del comunismo, l’operazione Giro d’Italia che partiva da Mosca e attraversava la cortina di ferro avrebbe rappresentato un evento di portata planetaria. A parte le vere difficoltà organizzative (molte delle quali peraltro già risolte con l’intervento di uomini politici) a far abortire il progetto fu quella che Vincenzo Torriani chiamava “intolleranza da aereo”.



Gianfranco Josti è uno dei più autorevoli giornalisti del mondo del ciclismo. Decano dei giornalisti italiani, penna pungente e fine conoscitore del mondo dello sport. Per anni firma di punta del Corriere della Sera, autore di tanti libri di successo.

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