Dodici secondi, una vita


di Christian Giordano
in ESCLUSIVA PER TUTTOBICIWEB

Arzago D’Adda (Bergamo) – Udite udite, a quasi trent’anni dal ritiro agonistico, esce la biografia di Gianbattista Baronchelli. Lo incontriamo nella sua piccola bottega di bici e ciclismo, a 64 anni il suo primo lavoro “vero”. I capelli se ne sono andati, non quella luce nei suoi occhi buoni. Forse troppo, nell’èra degli Sceriffi.

- GiBì per tifosi e addetti ai lavori, Tista per gli amici, insomma Baronchelli che si apre agli altri e scrive un’autobiografia. Perché?

«Tre anni fa neanche ci pensavo. Ero deluso della mia carriera e tuttora mi sento non realizzato. Incontrai un mio tifoso [il co-autore, Gian-Carlo Iennella], che a fine 2016 mi disse: “Scriviamo un libro”. Pensavo scherzasse, invece già ci stava lavorando. La prefazione di Pastonesi è interessante».

- A Pastonesi devi anche altro. Hai detto che in un’intera vita capita di non riuscire a conoscersi, ma una vita può anche cambiare per…

«Dodici secondi. Non riuscivo a decidermi sul titolo. Pastonesi penso l’abbia centrato in pieno, perché quando si parla di Baronchelli si parla dei dodici secondi per cui ho perso il Giro ’74 dal grande Eddy Merckx. Dodici secondi sono trascorsi anche quando, la notte della vigilia al Giro del Friuli ’76, ci fu la seconda scossa più forte. Mio fratello Gaetano ed io dormivano al secondo piano di un albergo, e tremava tutto. Lui è stato il primo a infilare la porta per scappare, due rampe di scale e lo superai, presi una storta al piede: durò tredici secondi quella scossa, e noi in dodici arrivammo fuori. Ci son tante storie che mi tornano alla mente».

- Non male quella del Giro ’86: sei con Moser alla Supermercati Brianzoli. A Foppolo tu, terzo in classifica, non riparti. Cosa successe?

«Se lo dico, poi la gente lo compra il libro? Fui criticato anche da Gimondi. Disse che fu un errore. Lo ammetto, sì, ho commesso un errore, son stato un somaro: dovevo ritirarmi dieci giorni prima».

- Con Moser vi siate da poco riavvicinati. È una storia di umanità, di ciclismo e di vita fra ex acerrimi avversari ora diventati che cosa?

«Be’, adesso almeno ci parliamo. Non avvamo mai preso il telefono neanche per salutarci. Ho saputo del suo incidente dell’autunno scorso e mi sono ricordato di suo fratello Enzo, morto in un incidente nei lavori dei campi. Rimase schiacciato dal trattore. A Francesco era successa una cosa simile e l’ho chiamato per sentire come stava. Gli ha fatto piacere, poi lui ha il suo carattere e comunque sia l’umanità c’è in tutti e bisogna tirarla fuori, a un certo punto. A Natale ho mandato gli auguri a lui, a Saronni, a Bugno, a diversi. Tutti hanno risposto gentilmente, lui addirittura mi ha chiamato e mi ha detto: “Stamattina sono andato a sciare”. È stato bello».

- C’è un momento in cui il Tista è cambiato e ha iniziato un cammino che ti ha portato fino al libro e al riavvicinamento con Moser?

«Sì, la conversione. La fede ha cambiato me e la mia vita. Lì è partito un nuovo Baronchelli e credo che la gente lo veda. Sarò antipatico a qualcuno e anche oggetto di critiche, ma io sono questo».

- Il Tista ha pure imparato a difendersi?

«Più che difendersi bisogna dire la verità. Se uno racconta bugie per far male a un altro, questo non son mai riuscito a sopportarlo. La cosa principale è essere sinceri, veri. Uno deve dire le cose come stanno, non il falso per fare il suo interesse o del male agli altri». 

- E come stavano le cose nel ciclismo di Baronchelli?

«Nel ciclismo come in tutti gli ambienti c’è il buono e c’è il meno buono. Non è un lavoro normale, è uno sport che poi diventa un lavoro e c’è gente che si fa largo anche scorrettamente. Io credo che la gente mi voglia bene non per quel che ho vinto, ma per come sono. Le vittorie rimangono scritte ma alla fine resta la persona».

- In Dodici secondi che cosa hai omesso?

«Tante cose le ho dimenticate e quindi non le ho messe».

- Per esempio il mondiale di Praga ’81 in cui tutti se la presero con te anche se non lo meritavi?

«Son cose dimenticate, non penso più alle cose brutte del passato, non ha senso. Nella mia memoria è rimasto impresso il Giro di Francia dei dilettanti, però conta niente. Ciò che conta son le vittorie da prof. I sei Giri dell’Appennino son stati una bella impresa. Quando ero ragazzo, mi piaceva molto il Lombardia: son riuscito a vincerne due. Però quello che mi piaceva di più era il Giro, e quello è un rammarico. Non bastano le attitudini fisiche, bisogna avere anche la testa giusta. Non avevo esperienza e ho dovuto farla sulla mia pelle. E poi ero testardo».

- Ti senti ancora un incompiuto o quella fase l’hai superata?

«C’è stato un periodo, durato tanto, in cui mi dava quasi fastidio parlare del mio passato perché pensavo più alle sconfitte che alle vittorie. Però qualcosa ho vinto, ho corso da professionista sedici anni e sempre libero di dire quel che pensavo – perché non parlavo tanto ma quando parlavo lasciavo il segno, e mi prendevo le critiche – ma se non vinci quel che devi vincere, alla fine sono i risultati che determinano la carriera. Il Giro non l’ho vinto. Ecco perché ho voluto la copertina rosa, così la maglia ce l’ho».

- C’è un altro Giro che ti rode, quello vinto da De Muynck.

«Più che il mio primo nel ’74, il rammarico è quello del ’78. Lo persi nella terza tappa, su una salita in Versilia. De Muynck andò via sull’ultimo tratto, l’arrivo era a Cascina e dietro eravamo in cinque della Scic, purtroppo mancava Saronni e avemmo l’ordine di aspettare che rientrasse. Nel frattempo De Muynck arrivò con 52” su Saronni, secondo, un vantaggio che poi determinò la classifica finale perché quel Giro lo vinse per 59”. E poi in squadra aveva Gimondi».

- Non sei stato fortunato come epoche. Hai incontrato Merckx, Moser e Saronni, Hinault. Tu sei stato il primo degli umani? 

«Moser nelle gare a tappe era inferiore a me. Merckx e Hinault li ho incontrati, ho fatto due prestigiosi secondi posti dietro due super. Quei Giri d’Italia son stati condizionati dalle attitudini di Moser e Saronni che andavano bene nei Giri più “facili”. Quindi io, Battaglin, Visentini – che non aveva grande fondo, andava bene a cronometro ma negli abbuoni era svantaggiato – eravamo penalizzati».

- L’altro secondo posto prestigioso fu a Sallanches ’80, ma non è quello il tuo mondiale più amaro.

«Non è quello perché più di così non potevo fare. Hinault andò davvero forte, fu un extraterrestre. A Praga ’81 ero in forma. Fu un attimo ma purtroppo Saronni, che ormai fiutava la vittoria, e gli altri azzurri hanno chiuso il buco – il povero Panizza dopo l’ha anche dichiarato. Poi è andata com’è andata. Se ne son dette tante e ho anch’io ho detto la mia».

- Com’è nato il nuovo Tista?

«Nella vita c’è sempre una svolta. La mia è avvenuta il 4 aprile 2011, quando morì mia madre. Vivevo un periodo buio. Ero deluso della mia carriera, della vita. Ho riscoperto la fede. Lì è nato un altro uomo».
Christian Giordano

Gian-Carlo Iennella (con Gianbattista Baronchelli)
Gibì Baronchelli: dodici secondi
Lyasis Edizioni, 200 pagine, 14 euro
Prefazione di Marco Pastonesi

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