Dal melodramma agli sponsor tv


di MARIO FOSSATI
la Repubblica, 11 marzo 2007 
Il brano è tratto da un articolo pubblicato su "Repubblica" il 15 marzo 1986

A me pare che il nostro sport scientifico, spettacolare, televisivo, supersponsorizzato abbia perduto l'insostituibile dono della poesia. Era un melodramma, un feuilleton fatto di aspirazioni, attese, speranze, rimpianti: oggi è vita sui pedali intesa tenorilmente e primadonnescamente. La ricetta giusta sarebbe, a mio avviso, quella di fare procedere il ciclismo intelligentemente all'indietro. Per questo io mi volto sulla Sanremo.

La Sanremo di quei giorni (il 1910, ndr) e dell'immediato dopoguerra ritrovava intatto il fascino dell'ultima classica di autunno, il Giro di Lombardia. Sulle sue strade è passato davvero il tempo. Scorri il suo libro d' oro e vedi. La chioma nera di Belloni era una bandiera. La parlata lombarda del Tano, la sua intelligenza, il suo spirito bertoldiano. Un campione, che conosce l'America di Wilson, del charleston, del proibizionismo: che racconta ai suoi colleghi di avere udito nelle traversate dell'Atlantico il «soffio delle balene» e di avere pianto sentendo un giorno le note del Rigoletto, che un grammofono spandeva nell'aria dalla finestra di una povera casa di Brooklyn. «E le ragazze venivano con me non perché avessi vinto una Sanremo ma perché bruno ed elegantino come ero, mi scambiavano per un questurino». E Costante Girardengo, volpe astuta, che vuole il Tano amico. Il muso da faina, un sorriso da gabbamondo, reni solide, cosce da velocista e mezzofondista insieme. Compostezza e stile, ovvero coordinazione muscolare. Per battere Girardengo ci vorrà Binda, il giovane varesino cresciuto sulla Costa Azzurra. I corridori dell'epoca erano famosi per i loro aspetti caricaturali. Binda no. Un perfetto disegno accademico. Girardengo e Binda, comunque, non hanno ancora eclissato la fama di Gerbi, il diavolo rosso, che, nel 1907, prima Sanremo, aveva favorito la vittoria di Petit-Breton, agganciando per la collottola Garrigou e che, nel '32, a quarantasei anni, correrà la sua ultima classicissima.

Ma il carnet della Sanremo vola. Guerra, il muratore mantovano, la locomotiva umana, che Girardengo ormai al tramonto ha spedito nelle ruote di Binda. E il ciuffo biondo di Bovet, che è nato a Castellania: e il belga Demuysere, il primo leone delle Fiandre. Il toscano Del Cancia discretamente bizzarro. Olmo, macchina delicata, preziosa. Quindi l'avvento di Gino Bartali, che subito calamita l' attenzione popolare. Gino è un maratoneta sostenuto da una fede medievale. Eppoi il cremonese Favalli, con le gambe ribollenti di muscoli. E Adolfo Leoni bello come un dio e Cino Cinelli, elegante routier sprinter.

Nel '44 e nel '45 la guerra ha ragione della Classicissima. Gli italiani hanno smesso di ridere e di sorridere. La primavera di quegli anni annuncia nuovi lutti e nuove rovine.

Finalmente il dopoguerra sotto un cielo non più carico di maledizioni e di insidie. Un Coppi, che ha fatto la prigionia in Africa, incontra Bartali, il Matusalemme del pedale, e Magni, che ha già un principio di calvizie.

La Sanremo del '46 rimarrà come una data fondamentale nella storia dello sport ciclistico, che Coppi reinventa. Tentativo di fuga in partenza, a Binasco, sulla pianura lombarda, con Coppi dentro. Fausto sbriciola i compagni d' avventura (l'ultimo a cedergli è Teisseire, sul Turchino) e galoppa a quaranta orari, in solitudine, per l' intera Riviera. Si ha la sensazione che i colli, le agavi, gli ulivi gli corrano d' appresso. è nato il nuovo ciclismo.

Nel '47, con un tempaccio da lupi, Bartali ripaga Coppi, arrivando alla maniera di Cristophe. Coppi rivince nel '48, nel '49. Bartali nel '50: con una volata arguta piega Van Steenbergen. Del '51 è l'apparizione regale di Bobet.

Poiché la Sanremo si brucia negli ultimi cinquanta chilometri, gli organizzatori hanno incarognito questo spazio ristretto di un'ondulazione, la Cipressa. Né basta, hanno addossato il traguardo d'arrivo al Poggio. Chi si paracaduta dal Poggio cala direttamente sul traguardo. Ogni qualvolta vado alla partenza della Sanremo mi sembra che l'ampia strada si apra fra i detriti di una civiltà, di un'epoca decaduta, l'epoca del favoloso ciclismo. 

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