Sentite un po' cosa combinano questi pazzi scatenati tifosi di Moser


Tutti i club intitolati a Francesco radunano tanta gente 
quanta ne basterebbe per fondare un partito politico

Diecimila iscritti, venti sezioni periferiche e una direzione nazionale. Le allucinazioni di Franz del Menghen. Polenta e salsiccia in cambio di un "Viva Moser". 
Un tipo che da Milano sbaglia strada e finisce in Svizzera, sempre per colpa del campione. Per fermare la volata di Maertens ai mondiali di Ostuni, un socio lancia una bottiglia contro il televisore. Quello che è successo nelle valli dopo Monteroni. I vantaggi economici della comunità trentina

di GIACOMO SANTINI
Bicisport n. 6, giugno 1977

Ernest Franzelin, detto Franz del Menghen, quel giorno credeva di sognare. Gli avevano detto, è vero, che il Giro d'Italia sarebbe transitato dal "suo" passo, davanti al "suo rifugio", ma fino all'ultimo aveva pensato ad uno scherzo. Lui, lassù, da anni conta soltanto il sonnolento vagabondare di capre e mucche al pascolo e qualche raro escursionista in cerca di sensazioni nuove per sé e per le sospensioni della sua vettura.

Ebbene quel giorno Franz del Menghen aveva l'impressione di essere ubriaco. Automobili, motociclette, tanta gente che al passo in 50 anni non si conta. Quel diavolaccio di Torriani, allora, avva davvero scoperto il fascino selvaggio di quello scavalcamento che appena scortica la montagna tra la valle dell'Avisio e la Valsugana, con una strada che sembra pronta per la semina più che per il passaggio di gente in bicicletta.

Una compagnia di alpini aveva lavorato tutta la notte per spazzare ai margini i sassi più grossi ma, sotto, emergevano altri sassi e, sotto questi, altri ancora. Ma il pensiero di Franz non era per la strada bensì per il suo quasi omonimo: Franz Moser, l'idolo di mille giorni di emozione, simbolo di un'antica passione per il vecchio Franz oggi deve vivere solo per via mediata e da un angolo così scomodo.

Proprio sul passo uno striscione del paese più vicino, Telve, lanciava un incoraggiamento che riempiva di speranza il cuore del Franz. E quasi gli viene un colpo quando, da un polverone irto di antenne, di caschi di motociclisti e di schiene di corridori, sbuca proprio lui: Francesco Moser che scollina quasi con un guizzo e si tuffa sulla fettuccia di strada a picco verso tornanti da dietro-front.

Per il Franz del Manghen è una festa e se ne sta lì con i baffoni spioventi, sul ciglio della strada a gridare col suo accento altoatesino (è di Trodena): "State attenti, ché andate giù tomboloni!".

A distanza di un anno Franz ricorda ancora con la stessa emozione quel momento e il sogno breve di una fuga verso il rosa durato lo spazio di una valle e svanito ai piedi del Bondone. Una festa rovinata per lui e per le migliaia di moseriani accorsi al passo e lungo la Valsugana: un esercito che, oggi, ha una sua gerarchia ed un'organizzazione quasi strategica. Diecimila iscritti, 20 sezioni periferiche e una direzione nazionale capeggiata da un impresario ex ciclista, Italo Garbari, che si vanta di avere battuto in volata anche Zandegù, ai suoi tempi.

Questa direzione è composta dai presidenti delle sezioni di valle e di quartiere: Paolo Todesca, Marco Tenaglia, Tullio Innocenti, Italo Bortolotti, Roberto Spagolla e Diego Moser, fratello del campione e dai trascorsi ciclistici in proprio.

Un assetto organizzativo e ideale che farebbe gola ad un partito politico. Già: e non è detto che Francesco Moser non vi faccia un pensierino, quando la bicicletta comincerà a pesare troppo.

In fondo il Trentino conta solo 450 mila abitanti, dei quali circa 300 mila votanti. Una base sicura di 10 mila voti, con possibile anzi sicuro incremento, costituisce una eccellente chance verso una poltrona di deputato.

Messa così la cosa fa ridere, d'accordo, ma ciò che, invece, si presta ad una riflessione quasi seria, è l'aspetto extra-sportivo di questa mobilitazione di masse e di entusiasmi attorno ad un campione sportivo. Il fenomeno presenta delle proporzioni e delle connotazioni talmente spiccate da farne un caso-limite nella storia del tifo ciclistico, anche in rapporto a campioni obiettivamente più grandi di quanto Moser sia fino ad oggi. Gente che a frotte scende dalle valli, stipata in autocorriere, che copre distanze da viaggio di nozze, che si accapiglia attorno ad un ragazzo di 26 anni che ha il solo merito di andare forte in bicicletta, non può muoversi solo la motivazione sportiva.

"In realtà per noi Francesco Moser è qualcosa di più - dice infatti Italo Garbari - di un conterraneo che emerge nel ciclismo. ne abbiamo avuti altri qui, di campioni, in tutte le epoche. Dagli anni trenta, con un omonimo di Francesco, Ermanno Moser, indipendente al Giro d'Italia; agli anni quaranta, con Giannino Piccolroaz; agli anni cinquanta, con Vasco Modena che vinse anche davanti a Coppi; fino ai tempi più recenti con Pintarelli, Parisi, Franceschini, Galeaz, Bampi e Michelotto. E naturalmente Aldo Moser, il capostipite di una dinastia che con il sudore versato sulla bicicletta ha aperto la strada al trionfo di Francesco ed ha rivoluzionato la vita di un paese e di una valle. Francesco per noi - conclude Garbari d'un fiato, quasi temendo di dirla troppo grossa - è un simbolo".

"Sì! - interviene il rappresentante della Valsugana - è il simbolo di un riscatto che anche in altri campi vede protagonisti noi montanari. Francesco rappresenta il volto nuovo della gioventù trentina, del paesano che non deve rimanere necessariamente incorniciato nel cliché, ormai retorico e superato del corridore tutto muscolo e niente cervello che dice "sono contento di essere arrivato uno".

È un complesso, questo, che i trentini grazie a Francesco Moser si scrollano ora di dosso. L'immagine del montanaro parco di parole e a disagio con la grammatica (immagine costruita anche dalla quasi proverbiale parsimonia verbale di Aldo) viene spazzata via, oggi, da quella di un ragazzo sicuro di sé, sinceramente attaccato alla propria valle e alla propria gente, ma in grado, all'occorrenza, di forbirsi la bocca dal dialetto per coniugare, in perfetta scioltezza, i congiuntivi. Così come, con altrettanta disinvoltura, la bocca, forbita dalla polenta, si accosta all'aragosta e allo champagne come fossero trota dell'Avisio e merlot trentino.

È questa immagine di Francesco Moser, forse più ancora di quella di atleta vincente, che affascina tanta gente di quassù. Un ragazzo che ha fermato i suoi studi alla soglia delle elementari e che mostra di essersi saputo costruire un bagaglio culturale in proprio, grazie alla forza di volontà, ha vinto qualcosa in più di qualche corsa ciclistica.

La gente gli riconosce affettuosamente anche questo con le sue manifestazioni di entusiasmo. E nella scelta delle forme, la fantasia non manca.

Le avventure, le gesta dei tifosi di Moser sui più lontani orizzonti ciclistici d'Europa riempirebbero una antologia. Vi sono personaggi che sembrano usciti dai fumetti di Jacovitti e non mancano, ai margini della vignetta, i salami e i fiaschi di vino.

Ecco un altro connotato di questo fenomeno che potrebbe solleticare uno psicologo o un sociologo: l'ostentazione, nei momenti di massima euforia sportiva, di questa vocazione naturale all'abbuffata enogastronomica. Una rivincita, forse anche questa, verso una terra che nelle salsicce e nel vino riassumeva, un tempo, le principali voci di un menu nel quale la polenta era catalizzatore fisso.

Oggi, polenta, salsicce (luganeghe) e vino vengono profusi a piene mani sui passi dolomitici, e a ridosso di mille traguardi, a tutti coloro che si mostrano disposti a lanciare un «viva Moser».

È questa, del resto, la ragione sociale dei Moser club: «Promuovere con ogni mezzo un tifo organizzato per sostenere Francesco Moser». Ma i risultati di questa mobilitazione sono andati a segnare in profondità anche i rapporti extra-sportivi dei più attenti tra i soci. «È la prima volta - osserva un rappresentante della valle di Sole - che ci troviamo così numerosi, tutti assieme, provenienti dalle più lontane vallate del Trentino, senza litigare».

In effetti, ai margini delle feste campestri, delle gite, del tifo, è spuntato anche un legame profondo a livello individuale e collettivo. Questo collegamento ha aperto la strada anche ad un incontro più importante e più serio. «Abbiamo cominciato parlando di Francesco - osserva un dirigente centrale del Moser club - e poi ci siamo accorti che avevamo anche altre cose da dirci. Cose che mai avremmo potuto dirci senza questo pretesto».

Fraternizzano, così, Trentini e Roveretani, Nonesi e Solandri, Cembrani e Fiammazzi, Valsuganotti e Pinalteri, popoli che la storia ci mostra spesso impegnati in zuffe ai limitari delle rispettive vallate per un pugno di fieno o un palmo di terra.

Naturalmente anche la storia e la civiltà, oltre a Francesco Moser, hanno il loro merito nella metamorfosi che ha riunito valli diverse attorno ad un solo campanile: quello di Palù di Giovo (o Palù di Moser, come viene specificato oggi ai viandanti). Un campanile rimesso a nuovo come molte cose del paese da quando, grazie alle imprese di Aldo prima, e di Francesco, oggi, il transito di forestieri è aumentato. Anzi parlare di transito è improprio, visto che la strada finisce lì, salvo una appendice che porta verso la montagna dove, sempre per un richiamo moseriano, un ristorante e altre iniziative azzardano una proposta turistica, in passato impensabile.

I più assidui frequentatori di Palù sono, naturalmente, gli iscritti ai clubs che trovano generosa ospitalità nella sede della società sportiva Montecorona (nella quale mosse i primi colpi di pedale Francesco) e nelle numerosissime e sempre aperte cantine private, compresa quella di casa Moser. E così, tra un bicchiere e l'altro, tra una damigiana e l'altra, si rivivono le avventure passate al seguito del Checco e si raccontano aneddoti da sagra. Come quello del contadino il quale era martoriato da due eventi: la smisurata passione per Moser e il carattere autoritario e intransigente della moglie che non tollera digressioni durante la fienagione, che si pratica proprio nel periodo del Giro d'Italia. Il nostro, così, per ascoltarsi in santa pace la radiocronaca dell'arrivo, delle varie tappe, si nascondeva sotto mucchi di fieno debitamente mimetizzati e resi "abitabili".

Oppure il caso di quell'altro che doveva assistere la capra gravida e che, intento, a seguire alla radio le notizie su Francesco, non si accorse del parto e, quando la cronaca finì, tre caprettini neonati erano già fuggiti dalla stalla.

Problemi con la moglie e con il parroco ha quotidianamente anche un macellaio di Rovereto, il quale ha sostituito il quadro della madonna sulla testiera del letto con una fotografia di Francesco Moser.

Si racconta poi di uno, un certo Virgilio il quale, alla conclusione della Sei giorni, sbagliò autocorriera e finì in Svizzera con un'altra comitiva. Grave imbarazzo provò, quando tornò, tre giorni dopo, nello spiegare alla moglie la ragione della sua assenza, né valse il nome di Francesco a fare superare l'impasse.

A Garniga, paesino isolato dal mondo alle spalle del Bondone, c'è un tifoso che gestisce un ristorante e che, sfoderando apprezzabili doti di scultore, ricavò un bassorilievo raffigurante Francesco, su una forma di formaggio grana. La grana vera scoppiò quando la moglie distrattamente grattugiò un pezzo di Moser su un piatto di spaghetti.

Gli episodi non si contano nel campo delle scommesse dove c'è gente che, all'indomani di Ostuni sacrificò ai piedi di Maertens barbe, baffi e dignità. Come quel tale che percorse tre chilometri, a piedi, da Riva ad Arco, in mutande con un cartello di beffe sulla schiena.

Ecco: per molti la milizia nei Moser club è anche l'occasione per rispolverare un pizzico di sana goliardia. Ci vuole, naturalmente, misura e non fare come quel dirigente d'azienda che, sempre la sera di Ostuni, finì in sala di rianimazione colpito da un infarto o come quell'impiegato il quale, quando vide che Maertens vinceva la volata, tirò, per fermarlo, una bottiglia contro il televisore. Sta ancora pagando le cambiali del nuovo apparecchio e ne avrà, quanto meno, fino ai prossimi campionati del mondo.

A proposito di Ostuni, molti ancora ricordano il mesto ritorno dei tre pullman che coprirono i 1200 km (15 ore) in un'atmosfera da funerale «sembrava di essere al venerdì santo» - dice Garbari. Mentre la sera di Monteroni scoppiò il finimondo a Trento e provincia. Gente che usciva dal bar gridando, cortei per le strade, processioni con reliquie moseriane e, naturalmente, grandi bevute. «Non si vedeva tanta gente in strada - commenta un moseriano - dal 3 novembre del 1918 quando entrarono in Trento i cavalleggeri con la bandiera italiana».

Indescrivibile è ciò che è accadde a Palù, presa d'assedio da migliaia di tifosi per tutta la notte. La cantina dello zio Cornelio era più affollata della stazione di Milano a ferragosto, con grave strage di bottiglie di vino. ma l'occasione meritava. E poi lo zio, adesso, non ha più problemi nel vendere il suo vino, e anche quello degli altri. Naturalmente il vino che rimane dopo le incursioni dei tifosi. "È una iniziativa promozionale - commenta - felice di avere imparato anche lui una bella frase, come quelle che dice Francesco alla televisione. E mentre versa l'ennesimo bicchiere di Nosiola si dà una lisciatina ai due mozziconi di baffetti che lo fanno assomigliare tanto a Hitler. E pensa, forse, ai tempi passati quando il vino si doveva andare a venderlo giù in fondo valle.

Poco più in là, dietro il banco del nuovo locale agrituristico, aperto nella vecchia cantina dei Moser, Alferio, 19 anni, ultimo della dinastia di fratelli, mesce a sua volta il pallido Nosiola. Il vino è lo stesso ma per lui il sapore è diverso.
GIACOMO SANTINI 

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