Gianpaolo Tessari: «Moser è il Trentino»


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

«Giornalista per professione, tuttologo per ridere» recita il suo profilo twitter. Cronista politico prima all’Alto Adige di Bolzano e dal 2000 del Trentino, divenuto testata autonoma, Gianpaolo Tessari è anche se non soprattutto un grande appassionato di ciclismo. Classe 1960, tifoso prima di Francesco Moser e poi tifosissimo oltre che amico di Maurizio Fondriest, è il candidato ideale per raccontare un certo modo di intendere il trentinismo. E come negli anni questo si sia evoluto fino a mutare in qualcosa d’altro, se non quasi sa scomparire del tutto. 

Si dice, forse a ragione, che il Trentino fosse – e per certi aspetti ancora sia – incarnato da Moser. Mentre il perfezionista, il “tedesco” Fondriest è da sempre ritenuto il “meno trentino” dei corridori trentini. Tessari non solo spiega perché ma va oltre. Ragiona su genesi e portata di un fenomeno, la Moseriade, capace di portare decine di migliaia di – a volte fin troppo – allegri tifosi moseriani a invadere non sempre pacificamente le strade del Giro; talvolta addirittura arrivando a prendere a insulti e a ombrellate gli avversari del loro idolo. Su tutti Baronchelli e poi, ma solo in parte, Visentini. Per non parlare di Saronni, ovvio, il nemico storico per antonomasia che per i moseriani era come quelle salite tanto indigeste al Cecco: hors-catégorie.

Ha poco tempo Tessari. La chiusura redazionale incombe e la tipica dolce cantilena trentina nella sua già velocissima parlata subisce un’ulteriore, brusca, accelerazione. Ci lasciamo con questa breve eppure esaustiva chiacchierata. Per un buon titolo, cinquecento chilometri in auto spesi bene.

redazione Trentino
Trento, lunedì 3 dicembre 2018

- Gianpaolo Tessari, che cos’è il trentinismo? Quel trentinismo di cui Francesco Moser è forse, ancora oggi, l’emblema.

«Sì, a tutt’oggi lo è, in effetti. È un modo di essere. Un volta si diceva che eravamo orsi. Adesso l’orso è legato a tutta una vicenda di abbattimenti e cose, quindi l’orso non è più un’immagine…».

- …così “positiva”? O comunque per certi aspetti caratterizzante?

«Esatto. Non è più l’orsetto di Winnie-the-Pooh ma è l’orso che va a far casino, quindi: trentini-orsi. Il trentinismo è un modo di essere che Francesco ancora rappresenta in maniera ottimale. Un po’ orso, un po’ rude però allo stesso tempo anche furbo, curioso, molto schietto, molto diretto. E l’utilizzo del dialetto come intercalare».

- Anzi: una lingua più che un dialetto.

«Sì, sì, sì. Una lingua. Adesso abbiamo un nuovo presidente della Provincia, Maurizio Fugatti [1], che è della Lega, che parla spesso in dialetto, anche nelle conferenze, per dirti. E questo anche nelle conferenze a un certo livello. Ogni tanto intercala in trentino».

- Quindi è voluto, non è che gli scappa?

«No, no: è voluto. Proprio per senso di appartenenza. E allo stesso tempo non per timidezza, perché sicuramente Moser timido non è, però anche per un modo di porsi, di sobrietà, di difesa, un understatement, un modo di non… Infatti anche tutta ’sta storia del figlio Ignazio con la [Cecilia] Rodríguez, a Francesco all’inizio ha un po’ rotto le scatole, perché era contro tutto quello che i Moser sono. Che anzi è sempre stato un po’ spandone, e loro sono il contarrio di questa cosa qua».

- Si può dire che ancora oggi Moser “è” il Trentino? Oppure dobbiamo dire che Moser “era” il Trentino, perlomeno un certoTrentino?

«Io vedo che girando ancora per l’Italia, quando si va con lui in giro per città, è ancora molto conosciuto, rispetto ai corridori dei suoi tempi». 

- Mi riferivo soprattutto a com’è cambiato il Trentino.

«Oddio, quello è difficile dirlo. Già suo figlio Ignazio è molto diverso rispetto a lui. Francesco era un trentino contadino, un trentino orgoglioso, un trentino di maso. Il fratello Enzo morto schiacciato da un trattore... Francesco ha un’azienda agricola favolosa, l’hai vista, è un castello praticamente, con la chiesetta dentro casa. Però lui rappresenta il Trentino, all’inizio, se vuoi, anche un po’ caricaturale. Ricorderai, quando faceva la pubblicità del detersivo Dixan, lo slogan contro le macchie: “C’erano patacche grosse come medaglie…”. Roba da “Ciao mama, sono arrivato uno”, cioè…».

- Quello era forse anche un modo per giocarci un po’ su…

«Per giocarci, sì-sì. Sì-sì».

- Perché invece Maurizio Fondriest è il meno trentinodei corridori: che cosa vuol dire?

«Io di Maurizio avevo pensato di raccontarti ’sta cosa che mi faceva impressione. Era un perfezionista ed era un ragazzo strano fin da piccolo, diversissismo dal fratello Francesco. Due fratelli l’uno il contrario dell’altro. Ti dico solo che lui raccontava – questa qua è bella da mettere nella storia – che da piccolo si faceva dare da sua mamma i soldi per andare in pasticceria, si faceva dare 5-6 mila lire, andava davanti la più bella pasticceria di Cles, del paese, sceglieva con la mente i cannoli, le paste e altro e poi non li comprava. E dice: io facevo così per imparare a soffrire, per imparare a privarmene, perché secondo me un corridore…».

- E questo già da che età?

«Già da esordiente, non so, 12-13 anni. Sì-sì. Per dirti… Era un asceta, un “tedesco”. Anche il nome: Fon-driest» [per via di un bisavolo che abitava a Trieste e che di Von Driest portava il nome, nda].

- E di quei soldini risparmiati cosa ne faceva?

«Mah, probabilmente li rendeva indietro, glieli ridava, però lui dice che voleva…».

- …domare il desiderio?

«Esattamente: domarlo e, allo stesso tempo, la piacevolezza rinviata. Io son stato tanto con lui. Sua moglie la conobbe casualmente perché lui veniva ad allenarsi a casa mia. Abitando a Cles, veniva quaggiù a Trento, lasciava la macchina qua in zona, partiva lungo l’Adige, come fanno tutti… Poi era anche molto generoso. Altro bell’aneddoto che ancora mi rinfacciano, perché io ero e son sempre stato un cicloamatore scarsissimo: partivo con quelli che venivano giù dalla Val di Non, scendevo fino a Rovereto in favore di vento e poi tornavo su controvento e gli altri andavano dove andavano. Io mi mettevo a ruota o mi spingevano. Un giorno successe che forai. E lui con addosso la maglia di campione del mondo appena conquistata scese dalla bicicletta, e la gente si fermava a guardare lui per terra che cambiava la gomma a me. Per dirti com’era, no?, come ragazzo…».

- Oltre che suo tifoso tu con Fondriest sei amico? Vi frequentate ancora oggi?

«Sì-sì. Adesso meno, perché lui ha figli grandi e compagnia bella. Ha fatto studi all’estero. Però, per dirti, conobbe sua moglie grazie a me. Mi invitò al matrimonio. Girammo tanto. Io lo seguii anche al mondiale famoso, su a Renaix, quando cadde Criquielion. E poi lui aveva un’altra cosa interessante: era con me che imparava la musica. Tutti i pomeriggi faceva il sonnellino e per addormentarsi aveva bisogno di musica rock sparata abbastanza alta per non sentire i rumori ma non troppo alta per non dormire. Quindi c’era questa “alchimia” della musica che doveva essere abbastanza alta per non sentir casino, tipo io ascoltavo i Creedence Clearwater Revival, ti dico, e mi ricordo in quella casa, con la mamma su che faceva i dolci… Un’altra mania che aveva con suo fratello, e anche questa fa sorridere, pensa te: come tutti i corridori erano grandissimi divoratori di dolci e di carboidrati, torte, zelten, strudel e compagnia bella, e loro, appena arrivavano a casa dall’allenamento, oltre a buttar per terra roba, calzetti, salopette, come tutti i corridori, pretendevano che la sera ci fossero da mangiare una o due torte fresche. E loro riuscivano a distinguere se la torta era stata cotta col forno a legna o con quello elettrico. Dicevano: “Mamma, ’sto zelten – o ’sto strudel, che sono i dolci nostri, no? – non è buono. È fatto col gas…”. [Tessari imita il tono di voce dimesso della signor Fondriest, la quale quasi si giustificava, nda] “Ma – dice – non avevo legna, Maurizio, no g’avevolegna…” Alora, non sta’ a farla, piutost, no?” [ridiamo]Un carattere super sottile. Del Maurizio un’altra roba che fa ridere è che lui girava col metro in tasca, perché era ossessionato dall’altezza della sella».

- Lo è ancora.

«Ah, lo è ancora? È ossessionato. Aveva la fissa. Usava questo metro... Poi, la mattina, andava giù dai meccanici: “…sicuri, sì, che gavésistemaaa’ la sela?”. “Sì, sì, Maurizio”. Lui montava, si metteva su… “Eh, cazzo, l’è fora de domillimetri…”. Capito? Ecco, aveva questa fissa qua. Il fratello Francesco, che in biciletta andava meno forte, come tanti fratelli di campioni, un fratello di Moser, il fratello di Coppi e via via – i fratelli che non vanno di solito son sempre i maggiori – all’inizio lo seguì nell’avventura con la Zalf. E lui in bicicletta era un mattacchione. Poi le cose non sono andate bene. Moser invece fu quello che veramente creò il club, che era una roba “assurda”».

- Mi parli del rapporto di Moser con Italo Garbari, che è stato anche suo testimone di nozze?

«Garbari l’ho conosciuto poco. Era uno di quei costruttori, come dire, illuminati della Trento che cresceva. Una Trento degli anni Settanta in cui c’era poco o niente. C’era Bruno Kessler presidente della Provincia [dal 1960 al 1974, nda]. Avevamo un presidente illuminato del calcio, Ito Del Favero, il costruttore dell’autostrada. A quei tempi la Democrazia Cristiana faceva costruire l’Autostrada del Brennero e il costruttore, “in cambio”, teneva la squadra in Serie C, capisci? Anche in quei tempi, com’è sempre stato, lo sport era anche veicolo di…».

- Tu sei cronista politico, quindi chi meglio di te…

«Sì, io quello faccio. E ti dico: Garbari era un grande nome. Fu un grande costruttore. Fu suo testimone di nozze perché poi Francesco ebbe la grande trasformazione sposando Carla Merz, questa signora della buonissima borghesia trentina che lo trasformò, se vogliamo lo acculturò, gli diede anche una visibilità diversa. Lui poi fece anche il politico e la moglie s’incazzò tanto. Lui stesso tempo fa mi ha raccontato che la sera che le disse “Guarda, m’han chiesto di candidarmi…”, lei gli ha detto “Se ti candidi me ne vado”. Poi, c’è ancora, però per dirti com’era…».

- Il Moser politico però fu un flop. Con quel carattere tutto può fare tranne che il politico, no?

«Ah, lui fece delle uscite pazzesche. Sì-sì-sì. Lui era uno di quelli che per noi [cronisti politici] sarebbe stata la manna. Lo chiamavi, e a Trento è brutto perché siamo in pochi, però se tu lo sbobinavi era la fine. Era tutto un “cazzo, dai, non si capisce un cazzo”, capito? Cioè… Se vuoi faro lo puoi fare una volta, qualcuno che lo frega c’è, poi però non lo fai più. E lui era così. E comunque con la Carla cambiò molto. E con Garbari, suo testimone di nozze, un imprenditore, nacquero questi club pazzeschi. Mi ricordo una volta che andai in pullman, partendo da qua, al mondiale di Valkenburg ’79. Quell’anno lì c’era anche Saronni [che chiuse ottavo, nda]. Arrivammo su, mi ricorderò sempre, e facemmo tutta la notte in pullman con questi trentini, tra cui Enzo Moser, il fratello che poi [il 25 luglio 2008, nda] è morto sotto il trattore. Fu una trasferta pazzesca. La sera bevute in autostrada, e vabbè. Siamo arrivati su e il giorno dopo c’era Remo Mosna, altro mitico fotografo, che avrai conosciuto, è quello che ha fatto tutte le foto di Moser, e forse e fa ancora oggi. Adesso c’è il bocia[il figlio Daniele] che ci dà una mano al giornale. C’era anche ’sto Mosna, in ’sto pullman. A un certo punto si arriva, smontiamo e fa: oh, ragazzi, in quella tenda lassù c’è il Francesco. Aveva la maglia della Sanson, mi pare. Sta provando il percorso. Ed io, felice, vado su, vado giù, entro e dentro c’è una botte di vino, c’è lui, mi avvicino e mi fa: “Oh, non sta’ a pestarme adoss…”. Arrivederci e grazie. Ecco, ti puoi immaginare la scena. “…sui pèè”, sui piedi, mi ricordo. Cos’hai detto, Francesco? Ah, niente… È di buon umore… [ride] E il giorno dopo si ritirò. Moser e Fondriest, non sono mai stati grandi amici, no? Troppo diversi. E poi corsero poco insieme, un paio d’anni [1987-1988, nda]. Moser alla fine, Fondriest all’inizio. E si sono visti poco. Non erano tanto compatibili. Maurizio veniva da una situazione anche di predestinato…».

- Ed era anche invidiato perché quando passò professionista firmò subito un contrattone.

«All’Alfa Lum prese un sacco di soldi, sì». 

- Si era promesso all'Ariostea del diesse Giancarlo Ferretti poi invece…

«Sì, suo papà lo dirottò all’Alfa Lum. Fu molto invidiato. Hai ragione a ricordarmelo, perché io non ho più rinfrescato ’ste cose. Fu anche criticato. Guadagni subito, invece lui era molto… Girava con una macchina tremenda, Maurizio, all’inizio. Come quasi tutti i corridori ha la mania delle macchine, sai che son tutti matti con le macchine, da rally, corrono, fanno… Invece poi, bellissimo, mi è venuto in mente stamattina mentre venivo a lavorare, sempre con Moser, e ti può servire: qua a Trento noi avevamo il Circuito degli Assi che si teneva in paese a Zambana, dove in pratica chiudevano le strade lì intorno e si andava con il trenino della Trento-Malé che porta su a Cles. Ogni anno si organizzava un circuito e la città si bloccava. Il circuito era una festa popolare con dieci-quindici mila persone e Moser veniva ogni anno. Ha portato Maertens, Raas, Hinault, tutti gli anni portava questi grossi nomi. Tutti. Si facevano dieci giri intorno alle campagne e al nono giro, tutte le volte, scappava via il campione, Raas, Hinault, andava in caccia Francesco, lo prendeva negli ultimi dieci metri e lo bruciava in volata. Si fa, no? Non si può dire che fossero truccati, eran circuiti in cui l’enfant du pays…».

- …doveva vincere, possibilmente dando battaglia. Così erano contenti tutti: l’idolo di casa per la vittoria, il campione da fuori perché ben pagato, il pubblico per lo spettacolo e gli organizzatori per l’incasso.

«Esatto. Com’era solito fare, un po’ per bonomia, un po’ perché era in grande forma, un po’ perché il pubblico lo spingeva, però vinceva sempre il padrone di casa. E un anno, mi ricorderò sempre, Mosr ci rimase malissimo. Arrivò Marino Basso, penso fosse all’ultimo anno da professionista, e partì lui con non mi ricordo chi, e pioveva. Era in maggio, lo chiamavano il circuito della pioggia [2]: pioveva sempre. Lancia la volata, Moser recupera fra due ali di folla, però Basso mette un colpo di reni e lo frega. Senti un “Porcoooo...!!!” Io c’ero, là davanti, e chiedo: “Ma perché fa così?”. E sento: “Adesso scarica el materasso, el prosciutto…”. E l’altro si è messo a piangere, era un buon elemento… “Oh, Francesco… mi è scivolata la ruotaaa… Frenando mi è scappata…».

- Sì, anche con Bitossi al mondiale di Gap ’72 gli era scappata. A Basso la ruota scappava spesso. [ridiamo, nda]

«Sì, bravo! Esatto. Aveva cercato di frenare e fece una cazzata enorme, perché quello era Moser, era lo Sceriffo, probabilmente il padrone di tutti i circuiti del nord Italia. E infatti Basso non ne fece più molti».

- Gli ha messo il veto, dopo?

«Gli ha messo il veto. Gli ha detto: tu con me, bastaaa! Ciak, l’ha ciavato!».

- Lì è l’istinto: è più forte di loro…

«L’istinto. Perdi il lume della ragione. Ma che tefrega? Sei a casa di Moser, anche se hai perso il prosciutto… Sono lì, perché poi comunque la volata è “abbastanza vera”, non è verissima però devono tirare, e non è che puoi arrivare ai due all’ora. A me e a te ci battono sempre. Tah! [Moser] ha tirato un bestemmione… E poi c’era Beccia, per dirti: quegli anni là erano anni…».

- Al Beccia una volta tirarono anche uno scherzetto bello pesante…

«A Cavalese? Che l’hanno buttato giù dalla bicicletta con la coperta? Un anno, mi ricordo una pagina di ciclismo bruttissima: a Cavalese c’era Baronchelli, ma non Beccia, perciò era prima. E i tifosi trentini del Moser Club lì si comportarono malissimo. Moser si staccò sulle salite sopra Cavalese e loro… Allora le riprese erano diverse, c’era la moto Raie poi un buco, e lì li tirarono giù dalla bicicletta uno alla volta. Gli diedero ombrellate, ci furono dei casini…».

- Baronchelli le prese.

«Baronchelli le prese, ma non era con Beccia».

- I moseriani ce l’avevano anche con Visentini, che lamentava della “compagnia delle spinte”, di Moser aggrappato all’antenna delle macchine. Ma perché tra i tifosi di Moser detestavano soprattutto Baronchelli?

«Baronchelli era odiato perché in salita andava, Moser non andava. E sembrava, capito?, come fosse una roba decisa a tavolino che Baronchelli attaccasse Moser in salita. Dove volevi che attaccasse? Andava solo lì… Infatti: che cosa ha vinto Baronchelli, poverino? Quegli anni ci fu questa roba veramente brutta, li tirarono giù con una coperta. Gli lanciavano una coperta come una rete, e questi cadevano. C’era anche Alfredo Chinetti…».

- Da Chinetti sono andato, ma i corridori non te le raccontano mai per bene queste cose. Forse anhe perché si vergognano. Ma gli gettavano addosso le coperte come si fa con le bestie?

«Come con le bestie. Con le coperte: pum! pum! pum! Gli salivano sopra…».

- Tutti ubriachi quelli lì, no?

«Sìììì. Erano le frange più ubriache. Il freddo, la delusione… Perché quel Giro sembrava che Moser potesse vincerlo…». 

- Che Giro era?

«Se non dico una cazzata, era quello del ’77».

- Moser quindi aveva ventisei anni. Era ancora giovane, il Giro quindi avrebbe potuto vincerlo anche negli anni successivi.

«Sì, sì». 

- Ho letto di diecimila iscritti ai suoi club con un Moser appena ventiseienne. È vero che poi arrivarono addirittura a 52 mila?

«Sai, ’ste robe qua io non te lo so dire».

- Se tu dovessi fare una cifra, così, anche solo a spanne? Trentamila? Si diceva che potessero essere un partito politico, anche perché ai tempi il Trentino aveva 400 mila abitanti. Metti pure trecentomila con diritto di voto, lui da solo spostava il 10% dei voti…

«Sì, sì. Poi lui col Patt(Partito Autonomista Trentino Tirolese, Moser negli anni Novanta fu assessore per turismo, commercio e sport, nda) è stato anche dentro e poi lo han fregato alle europee».

- Da imprenditore nel settore delle biciclette forse pensava che entrare in politica potesse tornargli utile, o magari ci credeva proprio?

«Ma no, è uno che ama… Ci credeva, ci credeva. Poi se tu gli parli, ci crede anche. È una persona molto spartana. Non spartana: secca. Molto tranchant, ecco. No, per carità: ci credeva».

- Cinquantamila soci mi sembran tanti, però…

«Anche a me sembran tanti, però se pensi che partivano da una base di diecimila. Puoi dire che “nel momento in cui… il popolo messo assieme da Garbari raggiunse alcune decine di migliaia”, e non fai brutta figura. Cinquanta mi sembran tanti, dieci pochi. Perché, sai, adesso ti dicono: dai, ti faccio la tessera...». 

- Infatti: magari in tanti erano iscritti e molti no, quindi specie quando si muovevano era difficile quantificarli. In ogni caso oltre ai voti spostavano anche dei bei soldini…

«Ah, sì-sì. Sì-sì».

- E sulla rivalità fra valli, che cosa mi puoi dire? Moser, a differenza di Simoni o di Fondriest, un po’ le univa, no?

«Eh sì, è vero. Perché poi c’è la storia, trita e ritrita, di Palù “il paese delle maglie rosa”. È vero. E poi che i nònesi sono del tutto diversi… Letizia Paternoster, per dire, è nònesa».

- Però nessuno diceva Moser “il cembrano”, no? Lui erail Trentino…

«Per noi era il paludero: di Palù, sì. Parla un po’ strano, ha una parlata molto pesante. Sì, lui era il Trentino. Quando vinceva, per lui facevano le feste in piazza Duomo a Trento. Ci son delle foto: per lui han fatto delle feste con l’APT, perché poi lui in quel periodo là – e questa è un’altra roba interessante, ma la saprai già – veicolò fortissimamente l’immagine del Trentino con la farfalla. In quegli anni [1989-1992, nda] c’era un presidente della Provincia, Mario Malossini, molto conosciuto e discusso, che poi finì anche nei guai [3]. Fu l’inventore della famosa farfalla del Trentino che si vede ancora sulle divise degli sciatori. E fu il primo che ebbe questa forte intuizione di veicolare su di un personaggio trentino che girava il mondo l’immagine del Trentino. Con Moser collaborò molto bene, e Malossini s’inventò questa cosa della farfalla».

- Perché la farfalla?

«Perché era una stilizzazione del Trentino. Se tu guardi il Trentino, sotto, sembra le ali di una farfalla con l’Adige in mezzo. Se lo guardi, sembra una farfalla. E lui la portava in giro, diceva “il Trentino vola con lui” e lui fu anche uno dei primi atleti pagati da un ente pubblico».

- Bello anche lo slogan…

«Sì. Lo portava in giro, e Moser fu uno dei primi. E adesso sponsorizzano Moscon, che è nòneso».

- Vedi dei tratti che li accomunano?

«Oddio, Moscon è più… intanto studia ingegneria, per dirne una. Ha due sorelle che insegnano all’università. Non so cosa son ’sti tratti che ogni tanto tiran fuori. Non ho capito… Io Moscon lo conosco poco. Se mi vede mi saluta ma non sa chi sono. Non capisco. Ogni tanto fa dei numeri che non capisco, non so cosa gli viene in mente…».

- Questa sua aggressività, magari un po’ sotto cenere ma che ogni tanto esplode, è in qualche modo un tratto tipicamente “trentino”? Perché in tante cose, a cominciare dal modo di correre, Moscon è molto moseriano, ricorda tanto il primo Moser…

«Moser! È Moser: testa bassa e pedalare». 

- Uno che non guarda in faccia nessuno, già a 23-24 anni…

«C’è anche una fisicità un po’ “alla Moser”, quando mette giù il rapportone: testa bassa, pim-pum-pam!». 

- Va forte a crono…

«Va forte a crono. È un personaggio un po’ strano, non so, è ancora molto da scoprire». 

- Perché è andato ad abitare a Innsbruck? Solo per motivi fiscali? Perché allora uno non va a Innsbruck, giusto? Ci sono bei posti per allenarsi con tassazioni e climi migliori…

«Sì-sì…».

- Oppure è un compromesso, così prende il meglio di qua e di là? Abbastanza vicino casa e…

«Sì-sì, una roba così. Vedi, c’è questo fuggi-fuggi: Matteo Trentin e Moreno Moser sono andati a Montecarlo. Di Moreno, per esempio, sono molto amico. E lui è una grandissima delusione. Delusione nel senso triste, perché è il più forte di tutti. Non so cos’ha…».

- Forse in passato ha sbagliato la scelta delle squadre, o il momento…

«Ha sbagliato qualcosa, non lo so. Lui è il più forte di tutti. E lui è un asceta, sembra un bonzo. Trentin è un altro forte…».

- Forse a Moreno manca un po’ la cattiveria di Francesco. Non è solo fame, voglia di arrivare, grinta: è proprio cattiveria, ferocia agonistica. 

«Sì, non hanno fame. Di Moser mi ricordo. Ma per esempio di Ignazio, che conosco abbastanza bene, per andare a casa deve far quella rampa, no? Lui si allenava e tante volte magari andava giù in macchina e tornava su in macchina per non fare la rampa. Ogni tanto non so se si faceva anche venire a prendere. Ogni tanto guardava fuori e diceva: cacchio, se penso che su ho l’ipod, l’iphone, le mie cuffiette e cose, e devo far ’sta rampa… chi me lo fa… E infatti… La ricchezza vera, non ti dico le gambe rotte, sei miliardario… Camicia bianca, c’ho su tutto, c’ho su un bellissimo film da guardare sul mio Mac, son lì… intanto mollo la bici e mi venite a prendere…».

- Tu i Giri li seguivi da inviato?

«Ne ho seguito uno».

- Un po’ me l’hai accennato ma perché i tifosi trentini ce l’avevano tanto con Visentini? Lui ce l’aveva non con Moser ma con quelli che lo spingevano in salita e quelli che non facendo rispettare il regolamento indirettamente lo favorivano. Per esempio cosa successe a Selva di Val Gardena al Giro dell’84, con i trentini che lo attaccarono e lui che scese di bici per prenderli a calci e pugni? Lui che non voleva risalire in bici e alla fine lo convinse Battaglin…

«Io mi ricordo bene-bene che il vero “nemico” dei trentini è stato Baronchelli, poi il povero Beccia, cui han tirato via la parrucca… Visentini era un tipo schietto, un bresciano con la Ferrari, suo papà vendeva bare, sì, si mise un po’ contro. Non lo accettarono, questo sì. Il “caporalato” o meglio ancora l’immagine del Moser “sceriffo” che comandava, e diceva: tu puoi andare, tu no… Quello era un altro ciclismo».

- Visentini l’ha pagato questo suo “mettersi contro” gli “Sceriffi”, Torriani, i media?

«Ah, sicuro. Sì-sì. Però nell’immaginario collettivo non è mai stato… Ti dico: Baronchelli sicuramente. Ti dico Saronni. Ho assistito, tre-quattro anni fa, ho anche le foto, quando è venuto su a casa di Moser: fu una specie di riconciliazione pubblica, e Saronni a casa di Moser mi ha fatto impressione vederlo. Perché non avrei mai pensato che si potessero… Eh, gli anni passano. Per tutti»

- Saronni poi è un uomo intelligente. E anche furbo.

«È un uomo intelligente. Mi ricordo che poi è venuto a comprare un villino. Però, per dirti, [Saronni a casa di Moser] non l’avrei mai detto».
CHRISTIAN GIORDANO


NOTE:

[1] Maurizio Fugatti: eletto il 21 ottobre 2018, ha sconfitto Ugo Rossi, candidato del Patt e presidente uscente, e Giorgio Tonini, candidato della coalizione di centrosinistra [nda].

[2] Circuito degli Assi: come ha raccontato a tuttobiciweb lo stesso Moser «prima si disputava a Lavis, poi fu sospeso e quando ricominciò si correva a Zambana e lo chiamavano il circuito degli ombrelli perché quel giorno, chissà perché, pioveva sempre».

[3] Mario Malossini: nel 1993, indagato nell'inchiesta Mani pulite, è stato condannato per ricettazione, con riferimento a una contribuzione per la campagna elettorale.

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