Diego Bragato: l'uomo che fa volare i pistard azzurri


di Tina Ruggeri, sabato 26 gennaio 2019 

E’ l’uomo che fa volare i pistard. La sua collaborazione al fianco del Ct della pista Marco Villa è diventata fondamentale. Parliamo di Diego Bragato, ex corridore trevigiano, nato il 2 marzo del 1986 a Motta di Livenza, dove tuttora risiede. C’è gran parte del suo lavoro dietro alle tante medaglie che sta conquistando anche in questi giorni la nazione azzurra su pista tra la Nuova Zelanda e Hong Kong. Lo sentiamo mentre a Hong Kong già mezzanotte e dopo l’ennesima medaglia conquistata. 

“Ho corso dai sette anni sino agli under23, facendo non solo strada ma anche fuoristrada e pista. Specie il ciclocross. Appena smesso ho iniziato subito a lavorare come tecnico in pista a Padova con Cipriano Chemello e Sergio Bianchetto e con il Comitato veneto. Per me la scuola più importante e ricordo con grande affetto sia il meraviglioso Cipriano sia Bianchetto. Poi ho frequentato l’Università Scienze Motorie e Scienze dello Sport. La mia tesi di laurea è stata sull’allenamento dell’inseguimento a squadre”. 

Parla con grande passione Diego Bragato. “Finita l’università ho iniziato ad applicare sulla pista i miei studi, prima con il gruppo della Androni Giocattoli con Michelusi e Tacchino, grazie a Gianni Savio. Abbiamo preparato il quartetto Androni e vinto il titolo italiano a squadre su pista. Da li poi è iniziata la mia collaborazione con Villa e con la nazionale. Era il 2011. Villa poi mi ha sempre voluto come collaboratore e ho offerto il mio supporto come centro-studi, dando vita alla collaborazione del Centro Studi con la nazionale grazie alla vicepresidente federale Daniela Isetti. Nel Centro Studi ho il ruolo di coordinatore e con Villa ho il ruolo di collaboratore delle nazionali su pista”. 

Cosa è cambiato nella pista negli ultimi anni? 

“Ho imparato molto anche da chi era dentro prima al Centro Sudi, come Broccardo e Colli. Ma poi Villa è stato bravo a creare uno spirito di gruppo, persone affiatate nello staff e tra atleti. Siamo riusciti a smuovere ciò che era troppo fermo da tempo attorno alla maglia azzurra. I numeri c’erano, così come atleti forti. Li abbiamo. Ciò che mancava era chi organizzata il tutto, metteva in ordine la programmazione e l’ allenamento, la cura del particolare, dei dettagli. E questo è cambiato tanto nel ciclismo”. 

Continua Bragato: “Nella pratica cosa abbiamo portato? Beh, come metodologia mi sono avvalso della collaborazione di altri docenti del Centro Studi come Marco Compri. Mi sono avvalso di altre collaborazioni per lo studio e la pratica del lavoro a secco, dei massimali, di forza che viene da altri sport come ad esempio nella pesistica: la forza, ora è quella che fa la differenza, è predominante. Negli atleti di questo livello, in competizioni di livello internazionale, la forza è determinante. Devono essere in grado di partire da fermi e arrivare a 60 orari in pochi metri. Poi ho lavorato tanto sulle componenti dell’allenamento funzionali a quelle che sono le discipline, su tabelle, ritmi, analisi delle prestazioni di quelli che negli ultimi anni erano quartetti di riferimento. Abbiamo analizzato file, dati, tabelle delle altre nazioni e cercato di capire cosa mancava a noi. E abbiamo cercato di trasformare i dati sulla carta in dati reali anche per noi”. 

E’ stato fondamentale quindi il lavoro di Marco Villa anche per la collaborazione con le società?

“Sì. Il dialogo con le società è stato importante per applicare le nuove metodologie e con un lavoro lungo e costante. E con la programmazione di almeno quattro anni. La collaborazione con i gruppi che hanno gli atleti, il dialogo con le società per lavorare su volumi e prestazioni. Anno per anno ci siamo migliorati sempre di più. La metodologia è alla base della concretezza. Noi sappiamo dove vogliamo arrivare e di anno in anno inseriamo i tasselli che ci servono”.

Pesa l’assenza di un velodromo che vi ha visti un po' "zingari"? 

“Per tutto il lavoro che stiamo facendo, l’assenza di un velodromo influisce. Risulta difficile mettere insieme gli allenamenti se non si rimedia velocemente alla situazione. E’ impegnativo mettere insieme le esigenze degli allenamenti per ottenere risultati, il lavoro degli atleti, dello staff e del personale in sinergia senza velodromo come quello ad esempio quello di Montichiari o, speriamo presto quello di Treviso, senza dover affrontare lunghe trasferte all’estero, facendo collimare le esigenze di tutti. Fondamentale è stata anche la svolta di pensiero di Marco Villa, che ha fatto cambiare l’inerzia della pista, facendo arrivare così tante medaglie all’Italia. Marco ha l’occhio da tecnico, con tanta esperienza ma si è aperto a collaborazioni scientifiche e metodologiche accettando di buon grado la mia presenza. Le scelte le fa lui sugli atleti, visionando le gare giovanili e cercando di capire chi ha le doti per fare pista. Ora stiamo lavorando come Centro Studi per cercare di portare alla base ciò che abbiamo al vertice del movimento. Abbiamo messo insieme in più occasioni tutti i tecnici della pista regionali per portare le nostre esperienze e confrontarci tutti insieme, affrontando un percorso diverso per i settori giovanili, che non sia mirato alla quantità di lavoro e al risultato ma alla qualità, alle esperienze motorie che i ragazzi devono fare, proporre allenamenti per il settore giovanile valutando le componenti tecnico tattiche di base per poi un domani inserirci volumi e quantità”. 

Insomma lavorare con criterio e senza esasperazione. 

“Troppo spesso si è enfatizzato sulle ore, sui volumi di lavoro, sui chilometri. Adesso dobbiamo invertire la rotta e pensare alla crescita armoniosa degli atleti”.

Il ciclismo moderno com’è? 

“Tutto quello che si fa in pista è fondamentale per il ciclismo moderno e diventa un passaggio importante per quello che sarà un ciclista a lungo termine. Si acquisisce padronanza del mezzo e permette di condurre la bici in più situazioni possibili. Così come nel fuoristrada. La pista è la base per la gestione del gruppo e degli allenamenti e in dinamiche di insieme in un impianto all’interno e sicuro, dove allenatore può tenere sott’occhio il lavoro che si sta facendo e tutto viene controllato in maniera più veloce. Si provano volate di gruppo, lanci, ripartenze. Un ragazzo, in pista, ha tantissime occasioni, può provare attacchi, è una palestra perfetta. Una volta acquisita la padronanza del mezzo, ci si può misurare con il cronometro, sulla distanza, sulle volate, nell’inseguimento. La pista offre un allenamento anche per la strada pure nei cambi di ritmo che sono fondamentali per le caratteristiche di scalatore. Il gruppo attuale è il futuro della pista. Quello che Marco ha costruito con i corridori è un gruppo affiatato, ragazzi bravi, partiti come giovani promesse. Alcuni sono diventati professionisti, altri sono entrati nei corpi militari. Ci sono persone motivate e Tokyo 2020 è un obiettivo alla portata. Facciamo lavorare corridori già da juniores, portandone il più possibile a fare esperienza, anche all’estero, per far capire agli atleti cosa c’è fuori dell’Italia, quanto lavoro si deve fare già da junior. E poi da Under23 iniziamo a metterci dentro la qualità del lavoro. Ci sono già nuovi Under23 che stanno lavorando con il gruppo principale per creare innesti competitivi e creare un gruppo che si rinnova sempre ma di qualità”.

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