IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Simbologia di un rituale


Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

Il ciclismo è una delle due attività sportive, l’altra è lo sci, autenticamente europee: evidenzia, da oltre un secolo, il carattere e il codice genetico di un continente; ne spiega l’essenza morfologica, dal Mediterraneo all’Atlantico, solcando Pirenei, Alpi, Appennini, Ardenne e Carpazi. 

(...)

Fino ai Cinquanta dello scorso secolo, il racconto fu immaginifico e surreale, scandito da nonna radio e cantato dall’inchiostro nobile di scrittori prestati al giornalismo sportivo. Fu la dimensione ideale per quei voli pindarici, perché raccontata e quasi mai mostrata: la realtà poi esibì una fatica sconcia, poco aulica. Un mestiere privo di Purgatorio, che alterna unicamente Paradiso e Inferno. 

Oggi ci narra un panorama infinito e coloratissimo: anche un paio (?) di telecamere e un elicottero rappresentano un viaggio al limite dell’onirico; potete conoscere dall’alto, come volatili migranti, una visione del mondo che più ci appartiene. 

È dunque possibile riempirsi gli occhi del verde esagerato delle terre basche o allucinarsi di fronte a certa Spagna buñueliana, magari la stessa che alcune volte pare uscita da Cocaine Nights, tutta villaggi turistici e speculazione edilizia. 

Spaventarsi del porfido maligno della foresta di Arenberg, che non sarebbe dispiaciuta al genio misantropo del dottor Louis Ferdinand Destouches. 

Rallegrarsi delle colline della Francia centrale e stupirsi di cattedrali alpine come il Galibier e l’Izoard. 

I panorami mahleriani, di bellezza composta e rassicurante, delle lande tedesche ed elvetiche. 

L’apparizione arcigna di quei tetti fiamminghi aguzzi, perfetti come sfondo simenoniano, e la complessità inspiegabile dello Stivale, che pare generata da una sceneggiatura impossibile di Federico Fellini ed Ennio Flaiano: dai monumenti in dolomia dei Monti Pallidi ai labirinti paesaggistici del meridione italiano. 

(...)

Vedere una corsa è un’esperienza culturale inconsapevole: nessun botteghino, niente siae, neanche uno straccio di biglietto in tasca, nessun posto obbligatorio per sedersi. 

Si percorrono chilometri in bici o a piedi per l’incontro, che potrebbe durare il tempo infinitesimale di un sospiro: l’attesa è tutto e l’attimo trascende il concetto banale del tempo. 

Ci si sposta all’ultimo, quando arrivano sbuffando, perché la libertà di quei curiosi esseri in tutina multicolore inizia dove finisce la nostra: dal primo all’ultimo sono tutti fenomenali ed eroici, senza alcuna distinzione. 

Perché il ciclismo è molto di più che un plotone di mosconi bradicardici che si rincorrono, impazziti, per ore: è instillato nel nostro dna, ben presente nei nucleotidi della nostra anima.


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