FOOTBALL PORTRAITS - Lavezzi, Pocho ma buono (2008)


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di CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 35, 26 agosto – 1° settembre 2008

Il vezzeggiativo non significa “fulmine” né altro. Ma i tempi del “Loco”, talento pazzo e ingovernabile, sono alle spalle. Tatuaggi, furbizia e colpi da “mariuolo” del gol e una velocità supersonica: così l’argentino ha fatto innamorare Napoli come non accadeva dall’epoca di Maradona

«Mi chiamano El Pocho, ma non significa “il fulmine”: è un vezzeggiativo che si usa in Argentina. Come soprannome mi piace, quindi non chiamatemi più El Loco». Se il buongiorno si legge sul Mattino (del 9 settembre 2007), “matto” sa tanto di minimo sindacale per uno che a 17 anni lascia (per divergenze coi dirigenti) il Boca Juniors per tornare a Rosario ad aiutare il fratello come elettricista. 

Vada allora per l’apodo, il mote, il sobrenombre appartenuto a un altro illustre connazionale, Juan Domingo Perón. A Ezequiel Iván Lavezzi, viene appiccicato quando comincia a giocare, in Argentina. Là Pocho è come il nostro Ciccio, intraducibile e privo di significati. Si dice, e basta. Al più sta per “scolorito”, se riferito agli indumenti; o per l’affettuoso “piccoletto” se rivolto a persone. Forse deriva da pochoclo (pannocchia di mais). Lavezzi lo ha confermato a Sky nella rubrica SpaccaNapoli: “pocho” non vuol dire niente. Loco, ma anche Gordo (grasso) e Bestia, gli altri appellativi incrociati in carriera, pure troppo. 

Il primo glielo affibbia il suo tecnico all’Estudiantes di Buenos Aires. Il secondo lo deve ai 5 kg sovrappeso al momento in cui firmò per il Napoli, il 5 luglio 2007: 23 anni esatti dopo gli immortali palleggi di sua santità Diego davanti agli 80 mila fedeli del San Paolo. Il terzo, condiviso con il neoromanista Júlio Baptista, lo deve a come faceva ammattire la difesa del River Plate. 

Nato il 3 maggio 1985 a Villa Gobernador Gálvez, provincia di Santa Fe, tira i primi calci nel Colonel Aguirre di Rosario. A 10 anni entra nel vivaio xeneize, che lascerà sette anni dopo sbattendo la porta. Talento e testa calda in proporzione, torna nella città rosarina a montare impianti. Come nel 2000, dopo il periodo di prova alla Fermana (C1). L’allora presidente Giovanni Battaglioni non lo ingaggiò a causa di problemi burocratici legati al passaporto comunitario. Lavezzi l’otterrà nel 2004 (ai tempi del Genoa), ma sull’agenzia di Maria Elena Tedaldi, condannata nel 2000 per il caso Veron (la Lazio ammise di averle versato 110 mila euro), è in corso un’indagine. 

Una seconda chance gliela offre l’Estudiantes di Buenos Aires, club di Primera B (terza serie): 17 gol in 39 gare nel 2004 e carta d’imbarco per Genova, sponda rossoblù. Enrico Preziosi pesca il jolly a meno di un milione di euro ma per (illudersi di) poterlo calare deve aspettare un anno: il Genoa è in B e non può tesserare extracomunitari quindi lo parcheggia al San Lorenzo de Almagro. Coi liguri neopromossi, volo dalle Ande agli Appennini e precampionato col nuovo tecnico Francesco Guidolin. L’esordio, da titolare e in maglia numero 10, data 23 luglio 2005 nella vittoriosa amichevole contro il Val Stubai. Poi altre 2 recite (contro Olympiacos e Carrarese) prima che la condanna per illecito sportivo releghi il club in C1 e Lavezzi, da un mese in Italia, di nuovo in patria. 

Su pressione del tecnico Ramón Ángel Díaz, vecchia conoscenza di Napoli, Avellino, Fiorentina e Inter, il San Lorenzo lo ripaga dei 9 gol in 29 presenze rilevandone il cartellino per 1,5 milioni di dollari. 

Il futuro idolo del “Pedro Bidegain” (meglio noto come Nuevo Gasómetro) fa gola a tanti. Deportivo La Coruña e Valencia si defilano, il River Plate offre 4,5 milioni di dollari. Il presidente Rafael Savino s’impunta («o Lavezzi va al River, o smette di giocare»), ma poi si espone ancora Díaz: «Di milioni El Pocho ne vale almeno venti». Non se ne fa niente e allora Lavezzi porta al Boedo il Clausura 2007, decimo titolo del Ciclón, e a se stesso la nazionale, prima la maggiore poi l’olimpica (a Pechino 2008). 

L’esordio avviene il 18 aprile 2007 al “Malvinas Argentinas” di Mendoza, nell’amichevole Argentina-Cile 0-0, quando Alfio “Coco” Basile lo mette in campo al 17’ della ripresa al posto di Rodrigo Palacio. Gemma così preziosa che il Boca non riesce a venderla. 

Il San Lorenzo invece la sua piazza al Napoli ma quasi sottoprezzo: neanche 6 milioni di euro al club e quinquennale al giocatore, poi prolungato fino al 2013. 

Un affarone per il dg Pierpaolo Marino, che in Sudamerica compra spesso e bene. Stavolta si assicura uno che in tre stagioni di Primera división ha segnato 25 volte in 84 uscite. Non male per una saetta che, dicevano, in attacco sa fare tutto tranne che gol. 

In azzurro, metabolizzate la diversa preparazione fisica e la ferrea dieta che lo asciugano fino a 2 kg oltre il teorico peso-forma, l’avvio è col botto: alla seconda gara ufficiale, tripletta al Pisa in Coppa Italia. Alla seconda di campionato, firma il terzo sigillo nel 5-0 di Udine. A fine stagione saranno 8 in 35 partite di A e 3 in 4 di Coppa Italia. 

Numeri importanti ma che senza l’estro, la grinta e la “napoletanità”, in campo e fuori, non spiegherebbero la Pochomania scoppiata ai piedi del Vesuvio, e non solo: oltre che nel presepe, è finito su Topolino. Come Asciughezzi. «Ho firmato più autografi in un anno qui che nel resto della carriera» ha detto il numero 7, la maglia più venduta: sette esemplari ogni tre di qualunque altro elemento della rosa. Con Marek Hamsik staccatissimo secondo. 

Tanto entusiasmo porta però inevitabili eccessi. Come il dover lasciare il centro tecnico di Castel Volturno, al termine di un allenamento in un dì di festa, nascosto nel bagagliaio dell’auto di un compagno. «Al momento, sono morto dalle risate, poi però mi sono messo a pensare: “No, Loco, non esiste. Il calcio smuove molte cose. Troppe”». 

O come il trovarsi impelagato in un paio di risse che la dicono lunga sul perché di certi soprannomi. Una a novembre per un tamponamento. L’altra per una cena di squadra (organizzata per una scommessa persa da Manuele Blasi) finita a lanci di cubetti di ghiaccio e bottiglie con Fabiano Santacroce, altro peperino. 

La prima accade poco dopo le 23,30 di un venerdì di libera uscita, trascorsa a cena in un noto ristorante di via Caracciolo, con la fidanzata Debora e il figlioletto Tomas di due anni e la signora Gargano (il consorte Walter era impegnato con l’Uruguay). In via Chiatamone, nei pressi di via Partenope, zona della movida in napoletana, alla guida della sua Renault Clio grigio scuro centra la Mini Cooper blu che, pare, gli aveva tagliato la strada. Sceso dall’auto, Lavezzi non gradisce la richiesta – o forse come gli viene fatta – di compilare il modulo per la constatazione amichevole. Volano parolacce e ceffoni, a uno dei due giovani, sorpresi dalla reazione spropositata del calciatore, subito riconosciuto. «Sembrava un indemoniato. Ha avuto una reazione spropositata rispetto all’accaduto», dirà un testimone. Per sovrammercato Debora, conosciuta a 14 anni, si toglie la cintura e colpisce (con la fibbia) al volto l’altro passeggero. A quel punto intervengono dei passanti, Lavezzi e compagna risalgono in macchina e si dileguano nel traffico per tornare nella loro Posillipo. L’episodio irrita assai Marino e ancora di più il presidente Aurelio De Laurentiis, che in privato lo cazziano di brutto. 

All’argentino, del resto, esagerare piace. Nei falli subiti (è fra i più tartassati della Serie A), nei carpiati in area. E nei tatuaggi. Ne ha 17, fra i quali gli stemmi delle sue squadre (sulla schiena il Rosario Central di cui è tifoso, il San Lorenzo che lo ha rilanciato, il Napoli che gli sta dando la consacrazione); sul fianco destro la colt perché “sparava” ai compagni dopo ogni gol col club di Almagro; Maradona che palleggia di testa, sfoggiato a Napoli dopo la partita col Catania; l’icona di Gesù Cristo sul torace, dalla parte del cuore; dal collo all’avambraccio (sinistro) un ideogramma, le iniziali dei familiari e “donna” scritte in cinese, il nome del figlio Tomas; ultimo arrivo, mostrato su un polpaccio dopo il match con l’Atalanta, una squaw a seno nudo con una mantella inzialmente arancione poi tramutata in azzurro, in onore del Ciuccio, da Mario Tramacco del “Tattoo Enigma” di San Vitaliano. 

Se il buongiorno di vede dal mattino, c’è da giurare che El Loco non si fermerà lì. «Se vinco con il Napoli, me ne farò fare uno speciale». Pocho, ma sicuro. 

Christian Giordano
Guerin Sportivo n. 35, 26 agosto – 1° settembre 2008


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