FOOTBALL PORTRAITS - Lavezzi, un Pocho di Diego (2009)


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di CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 29, 21-27 luglio 2009

IO E IL CALCIO

«Pocho non significa “fulmine”: è un vezzeggiativo che si usa in Argentina. Mi piace, quindi non chiamatemi più El Loco». Si presenta così, Ezequiel Iván Lavezzi, nell’intervista sul Mattino del 9 settembre 2007. Meglio Pocho, il nostro “Ciccio”, che “matto”, Bestia o Gordo (grasso), appellativi affibbiatigli, nell’ordine, dal suo allenatore all’Estudiantes, dai tifosi del San Lorenzo per come faceva ammattire la difesa del River Plate, all’arrivo al Napoli per i 5 kg sovrappeso. 

Un nick per ogni svolta della carriera, iniziata nel Coronel Aguirre di Rosario. A 10 anni, assieme ai futuri catanesi Ledesma e Silvestre, è nella Sexta del Boca Juniors, vivaio che lascerà a 16, sbattendo la porta, per fare l’elettricista col fratello Dario, futuro presidente del piccolo club rosarino. Gli ricapiterà nel 2000, quando rischia, per la seconda volta, di lasciare il calcio. A 16 anni, nella Casa Amarilla – la foresteria del Boca – sente nostalgia di casa e, soprattutto, non rende come potrebbe. Jorge Griffa, talent scout con a curriculum Valdano, Sensini, Balbo e Batistuta, lo schiera ala destra. “Non avevo mai giocato in quel ruolo, e in partita mi urla di tutto – ricorda – Poi, negli spogliatoi, mi rimprovera davanti a tutti”. Alla risposta per le rime seguono i bagagli. “Avevo deciso di smettere”. 

Il destino bussa di nuovo nel 2002, quando l’amico di famiglia Miguel Bortolotto, osservatore per squadrette di quartiere, si reca per lavoro nelle Marche, a Porto San Giorgio. Lì ha parenti e porta promesse in cerca di sistemazione in C. Tra queste, alla Fermana, Lavezzi. L’allora presidente Giovanni Battaglioni, però, non lo ingaggia per via del passaporto. Quello comunitario Lavezzi l’otterrà nel 2004 con l’agenzia di Maria Elena Tedaldi, la stessa condannata nel 2000 per il caso Verón. Si saprà poi, dal dirigente Enrico Recchioni, che Battaglioni preferiva ragazzi del posto anziché versare uno stipendio anche alla madre di Lavezzi. Il gioiellino che aveva incantato mister Giudici prova poi al Pescara, ma neanche lì ci sono soldi e così torna in patria. 

Grazie all’insistenza del procuratore Eduardo Rossetto, ancora oggi suo agente con Alejandro Mazzoni, riparte dalla Sexta ma dell’Estudiantes di Buenos Aires. Lì Blas Armando Giunta, ex gloria xeneize, lo fa debuttare in prima squadra. L’anno dopo, con Giunta richiamato per l’esonerato Ricardo Rodríguez, Lavezzi esplode. In tandem col centravantone Daniel “el Tapito” Vega, segna 17 gol in 39 gare e l’Estudiantes sfiora la promozione in Primera B Nacional, la seconda divisione. 

IO E L’ITALIA

Verso la fine del campionato, un osservatore del Genoa di Enrico Preziosi vola in Argentina per visionare il futuro catanese Izco. La partita è San Telmo-Estudiantes, ma a fare furore è il 7 dell’Estudiantes. “Si chiama Lavezzi, fa numeri incredibili. Va preso subito”, e Preziosi scuce sull’unghia 1,2 milioni di euro per una 19enne promessa di terza divisione. Il Genoa è in B e non può tesserare extracomunitari quindi lo parcheggia al San Lorenzo de Almagro. L’anno dopo, al Genoa di Cosmi basta un punto col Venezia per conquistare la A. I rossoblù vincono 3-2 ma poi scoppierà lo scandalo: a metà giugno, davanti agli uffici di Cogliate della Giochi Preziosi, viene fermato Giuseppe Pagliara, dirigente veneziano. In auto ha una valigetta con dentro 250 mila euro. Secondo Genoa e Venezia, l’anticipo per Maldonado. Secondo l’Ufficio indagini, la prova dell’illecito sportivo che manda in C il Genoa.

La squadra, affidata a Francesco Guidolin, è in ritiro da un mese a Neustift, in Austria. Nel gruppo, il bomber argentino Diego Milito, protagonista della promozione, c’è anche Lavezzi. Il suo esordio, col 10 (prima di scegliere il 77), avviene il 23 luglio 2005 nella passeggiata contro il Val Stubai. Altre due amichevoli, contro Olympiacos e Carrarese, poi il ritorno, stavolta definitivo, al San Lorenzo. Per 1,5 milioni di dollari. Con 7 gol in 26 presenze, trascina el Ciclón al Clausura 2007 e ai quarti nella Coppa Sudamericana. Deportivo La Coruña e Valencia tirano sul prezzo, il River Plate offre 4,5 milioni di dollari. Il presidente Rafael Savino s’impunta: «Lavezzi va al River, o smette di giocare», ma poi si espone l’allenatore Ramón Ángel Díaz. Per l’ex centravanti di Napoli, Avellino, Fiorentina e Inter, «di milioni il Pocho ne vale almeno venti». 

Il Napoli, grazie ai buoni uffici di Pierpaolo Marino con Ramon Ángel Díaz e il procuratore Jorge Cyterszpiller, ex agente del Maradona napoletano, se lo porta via per 5,8 al club e un quinquennale al giocatore. Un affarone, per uno che in tre stagioni di Primera ha segnato 25 volte in 84 uscite. Un fulmine, dicevano, che in attacco sa far tutto tranne che gol. «Noi vogliamo Roman Riquelme»: è il coro con cui Hamsik e Lavezzi vengono accolti a Castelvolturno il 5 luglio 2007. Ventitré anni prima, in 80 mila avevano pagato (2000 lire a testa) per vedere palleggiare Maradona al San Paolo. «Meritiamo campioni», la ben diversa accoglienza riservata al Pocho, peraltro abituato a una certa freddezza iniziale: al San Lorenzo, si aspettavano Batistuta e Caniggia. 

IO E NAPOLI

Nella prima stagione, 8 gol in 35 partite di A e 3 in 4 di Coppa Italia. Scoppia la Pochomania. Dal presepe di San Gregorio Armeno (il pastore col suo volto è il pezzo più venduto) alla pizza di Addò Guaglione in via Consalvo. Dal troppo facile “caffè Lavezzi” al “Panino del Pocho”. Dalla Tav (“Pocho” il nome più votato per il super treno in servizio dal 2011) alla musica: “È Lavezzi”, parodia di Luca Sepe sull’aria di “Novembre” di Giusy Ferreri, è un hit assoluto. Ha conquistato tutti, persino Topolino: a lui è ispirato l’Asciughezzi del numero 2739 del maggio 2008. «Ho firmato più autografi in un anno qui che nel resto della carriera» ha detto. Lo confermano le vendite della maglia numero 7, la più venduta: sette esemplari ogni tre di ogni altra. E in migliaia hanno firmato la petizione per assegnagli il 10, ritirato per Maradona. 

Un entusiasmo tale che a volte sfocia in eccessi. Dopo un allenamento festivo, è uscito da Castel Volturno nel bagagliaio dell’auto di un compagno. «Lì per lì morivo dalle risate, poi però mi sono messo a pensare: “No, Loco, non esiste. Il calcio smuove molte cose. Troppe”». Anche un banale tamponamento diventa un caso. Con le famiglie Zalayeta, Gargano e Bogliacino, i Lavezzi spesso si vedono per mangiare asado, pesce o pizza. Il fatto risale a un venerdì dell’ottobre 2007, dopo una cena in via Caracciolo in compagnia della signora Gargano (il marito Walter era con l’Uruguay). Poco dopo le 23,30, in via Chiatamone, alla guida della sua Renault Clio grigio scuro Ezequiel centra la Mini Cooper blu che, pare, gli ha tagliato la strada. Volano parolacce e schiaffoni. Il calciatore, forse provocato, esagera. «Sembrava un indemoniato. La sua è stata una reazione spropositata», dirà un testimone. Sembra che Debora si sia tolta la cintura e con la fibbia abbia colpito al volto l’altro passeggero della Mini. I passanti evitano il peggio. Arrivato poi come cazziatone privato dal dg Marino e dal presidente De Laurentiis. Gli stessi che lo hanno rimbrottato, anche più del generale Luigi Sementa, il capo dei vigili, per il video in cui lui e Navarro scorrazzavano in scooter nell’isola pedonale di piazza del Plebiscito. Una brezzolina rispetto all’uragano scatenato dalla fuga pre-vacanze con tanto di lettera a Sky. Il motivo? Più che l’offertona del Liverpool, poi ritrattata, la promessa non mantenuta di adeguargli il contratto rinnovato fino al 2013. 

De Laurentiis non la prende bene: «Se vorrà, quando tornerà chiariremo. Se deciderà di occidentalizzarsi e di napoletanizzarsi, e abbandonerà le sue modalità “indigene”, lo accoglieremo a braccia aperte». Presentarsi puntuale al ritiro è stato un altro passo verso la “napoletanizzazione”. 

IO E LA FAMIGLIA

Lavezzi è nato il 3 maggio 1985 a Villa Gobernador Gálvez, cittadina di 100 mila abitanti della provincia di Santa Fe, sulla riva ovest del fiume Paraná. Area metropolitana di Gran Rosario, terra di guerriglieri (“Che” Guevara) e di bomber (Balbo è di Villa Constitución, Batistuta di Reconquista). Il piccolo Ezequiel sembra non appartenere a nessuna delle due categorie. Timido e introverso, perde presto il papà e cresce protetto da mamma Doris e dal fratello Diego, di dieci anni più grande. È lui che al campetto si trascina dietro il “Pocholo”, il piccolino. Che ci sa fare più di tutti, ma più a colpi di dribbling e giochetti che a suon di reti. Nel 2000, a 15 anni, gioca già nella Liga Rosarina, equivalente dell’Eccellenza italiana, e sogna la maglia del Rosario Central, la sua squadra del cuore. 

Cuore rapitogli l’anno prima da Debora, la donna della sua vita. Riservata almeno quanto il futuro marito, la signora Lavezzi si è esposta in pubblico raramente. Per esempio in occasione del primo gol che il Pocho – così lo chiama anche la consorte – al San Paolo, quello del pareggio con la Reggina, il 4 novembre 2007. “Me lo aveva anticipato il sabato sera, al telefono dal ritiro”, racconterà la mamma di Tomás, il loro figlioletto di tre anni che è una goccia d’acqua col papà. Capelli e istinto per il pallone compresi. “Anche lui ama il calcio. Gioca, gioca e gioca” riferisce Debora, nome che Ezequiel ha dato al fuoribordo di famiglia ormeggiato d’estate a Capri. E che può ammirare anche da casa. Su dritta del “Pampa” Sosa – riferimento prezioso dei primi tempi a Napoli – i Lavezzi hanno scelto di abitare nel cuore di Posillipo. In una magione su tre piani con piscina e discesa privata al mare, con tanto di attracco per le barche. Al piano superiore la mega terrazza panoramica, in quello centrale la zona giorno, in quello inferiore la zona notte. Il panorama è mozzafiato: l’intero golfo, da Ischia a Punta della Campanella, con vista su Capri e Procida. Un paradiso nel verde dei pini e nell’odore di salsedine, lontano dal traffico e a pochi minuti dal centro. Affitto: 6.000 euro mensili. L’arredamento lo ha consigliato Ciro Perrella, amico di calciatori non solo del Napoli (Totti, Gattuso e Materazzi). Lo stile è anni Settanta, con predominanza di bianco e nero e amplissime vetrate che danno sul mare. Pezzo-cult, il camino alto due metri. In garage l’ultimo arrivo: una Audi R8 biposto da 420 cavalli, cambio manuale a sei marce, 301 km/h di velocità massima. Costo: 110 mila euro. 

IO E I TATUAGGI

Anche qui, gli piace esagerare. L’ultimo, completato il 17 marzo 2009, è il 30esimo. Ma, come in amore, è il primo che non si scorda mai. “Il primo tatuaggio, come il primo gol da professionista, mi ha fatto sentire adulto. Ma nella vita, come in area di rigore e nei tatuaggi, si può sbagliare. L’importante è riconoscere i propri errori. Il primo tatuaggio me lo sono fatto fare a 12 anni. Non mi piaceva e me lo sono fatto togliere. Dopo me ne sono fatti fare molti altri e presto ne arriveranno ancora. Per festeggiare una vittoria con la mia squadra”. Il Napoli, of course. 

Cotante meraviglie i tifosi le “scoprono” grazie al suo spogliarello al San Paolo dopo il gol nel 2-1 alla Juventus dell’ottobre 2008. La collezione spazia dalla famiglia agli idoli (calcistici e no), dalla religione al palmarès, dall’ormai diffusissimo tribale agli ideogrammi cinesi. A questi è ricorso per portare sulla pelle le iniziali o il nome per esteso – in cinese – dei suoi cari: dal collo all’avambraccio sinistro quelli del papà deceduto, di mamma Doris, del fratello Diego, della moglie Debora (senz’acca), il figlio Tomás e la parola “donna”. Ultimo arrivo, mostrato su un polpaccio dopo il match con l’Atalanta, una squaw a seno nudo con una mantella inizialmente arancione poi tramutata in azzurro, in onore del Napoli, da Mario Tramacco del “Tattoo Enigma” di San Vitaliano. «Se vinco con il Napoli, me ne farò fare uno speciale», ha detto. Intanto, un anno fa si è regalato – sotto l’ascella sinistra – un ricordo dell’oro olimpico vinto con la nazionale a Giochi di Pechino: i cinque cerchi e la scritta «Bejing 2008». 

Ampio e variegato il resto della parte calcistica. Sulla schiena gli stemmi delle sue squadre: il Coroner Aguirre (tatuato due volte), il Rosario Central di cui è tifoso e il San Lorenzo che lo ha rilanciato; e su un polpaccio una grande “N” per il Napoli che lo ha consacrato. Sul fianco destro la colt perché dopo ogni gol col club di Almagro, per festeggiare, mimava il gesto di “sparare” ai compagni; su quello sinistro Maradona che palleggia di testa (tattoo “svelato” in Napoli-Catania). Una scelta fatta in tempi non sospetti e lontana dall’arrivo di Lavezzi a Napoli. 

Dal profano al sacro: sul torace, dalla parte del cuore, l’icona di Gesù Cristo con dietro la croce portata sul Golgota. Sulla schiena, un’immagine della Madonna del Lujan e sul fianco destro un grande rosario. Sul braccio destro, l’ultimo capolavoro: il tribale con facce giapponesi, fiori di loto e il volto di una Madonna colorato d’azzurro (il bene) e rosso (il male). 

IO E LA NAZIONALE

Hugo Daniel Tocalli, Alfio Basile, Sergio Daniel Batista e Diego Armando Maradona. Sono i Ct che lo hanno convocato nelle varie Selección. Tocalli lo chiama nella Under 20 che prepara il Sudamericano 2005, in programma in Colombia. Il debutto è in una partita mai banale: 3 luglio 2004, a Colonia de Sacramento, Uruguay-Argentina. Il primo tempo finisce 1-1, nella ripresa esplode la coppia d’oro Messi-Lavezzi, 17 anni il primo, 19 il secondo: gli albicelestes vincono 4-1. La Pulce fa doppietta, il Pocho sigla il suo unico gol, in sette partite, nella selezione di categoria. 

"El Coco" Basile lo convoca in quella maggiore per la gara del 18 aprile 2007, al “Malvinas Argentinas” di Mendoza, in amichevole contro il Cile (0-0), e lo fa entrare al 17’ della ripresa al posto di Rodrigo Palacio. Lavezzi ha solo 22 anni, ma “el Coco” (per la forma del testone) non lo chiamerà per la Coppa America. Lo fa invece subito dopo, per l’amichevole di Oslo del 22 agosto, 2-1 sulla Norvegia. Ma, ancora una volta, non è giornata. 

"Cecho" Batista lo aggrega alla rappresentativa Olimpica che prepara i Giochi di Pechino. Lavezzi va in gol all’esordio, il 6 febbraio 2008 a Los Angeles contro il Guatemala, e si ripete il 24 maggio al Camp Nou di Barcellona contro la Catalunya, selezione catalana non ufficiale. Con 6 reti in 10 partite è un punto fermo della squadra che in Cina difenderà l’oro di Atene 2004. Nelle tre amichevoli di preparazione, segna nel 2-0 a una rappresentativa cinese e nel 4-0 a una giapponese. Nella fase a gironi è titolare. Dopo il discreto esordio (2-1 alla Costa d’Avorio), segna al volo contro l’Australia (assist di Di María) l’1-0 che vale vittoria e qualificazione e trasforma il rigore nel 2-0 sulla Serbia. Di lì, con Messi, giocherà Agüero. 

Nei quarti contro l’Olanda, subentra – a risultato acquisito – al Kun all’8’ del primo supplementare. In semifinale, 3-0 sul Brasile, resta in panchina. In finale, 1-0 alla Nigeria firmato Di María, subentra al 94’ all’ex gemello Messi, autore dell’assist. Nasconde palla fino al trionfo e diventa – con Nicolás Navarro, portiere mai impiegato – il secondo olimpionico nella storia del Napoli. In nazionale “A” ci torna col nuovo Ct, il 19 novembre. Maradona, al debutto, lo schiera in coppia con Tévez nell’amichevole di Glasgow con la Scozia. Denis, suo partner d’attacco nel Napoli, lo rileva al 75’. A Marsiglia, il 1° febbraio contro la Francia, i due azzurri restano in panchina, ma Diego li rassicura: «Lavezzi e Denis sono qui perché fanno parte del gruppo, del mio progetto che punta al Mondiale 2010». 

CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 29, 21-27 luglio 2009


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