MAESTRI DI CALCIO - Monsieur AuxerRoux




«I coni da allenamento li rubavo in autostrada 
ogni volta che salivo a Parigi in macchina. 
Allora ci si arrangiava così» - Guy Roux

di CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo

«GUY Roux è il capo della società, è da sempre così». Lo dice senza giri di parole Patrice Loiseau, ex difensore auxerroise Anni 80 e oggi titolare di un negozio di articoli sportivi nei pressi dell’Abbè Ernest Deschamps, lo stadio dedicato al vicario che nel 1905 fondò l’Auxerre. E aggiungerebbe «e così sarà per sempre» se potesse confidare nell’immortalità del santone che dal 1961 (un record) comanda il club-simbolo del calcio in Borgogna. Comanda, non solo allena o dirige, perché all’AJA (Association de la Jeunesse Auxerroise), come i tifosi chiamano la squadra, non si muove foglia che Guy non voglia. Secondo la leggenda, che nella fattispecie ha uno spesso fondo di verità, controlla o supervisiona tutto lui: dalla campagna acquisti alle spese di cancelleria, dal terreno di gioco (un giardino) al famoso settore giovanile (di cui è responsabile il suo braccio destro Daniel Rolland). Ma Roux non è un malfidato accentratore: delega, sì, ma con giudizio. Più che un padre-padrone, è un patriarca burbero, a volte severo, di una società che considera, ricambiato, la sua grande famiglia. Un clan all’antica in cui i calciatori devono stare alla larga dalle “cattive compagnie” e dove, a costo di scontri non teneri, i componenti la semplice ma efficace struttura societaria programmano, hanno voce in capitolo e sanno stare al loro posto.

All’AJA, sodalizio a metà strada tra un’Atalanta o un Torino transalpini, per l’inesauribilità del vivaio, e una perenne “favola” Chievo (scritta però senza i ricavi dei pandori), Roux ha applicato la politica dei piccoli passi, l’unica che poteva permettersi, senza però rinunciare a pensare in grande. Perché tutto si può dire di lui tranne che non gli piaccia vincere o guadagnare, alla faccia dello stile (è l’anti-Arsène Wenger, a bordocampo e fuori) o della buona stampa (distante anni-luce, in questo, dall’ex Ct dei Blues campioni del mondo Aimé Jacquet). Lo testimoniano le sue sfuriate contro arbitri, giardinieri degli (altri) stadi, dirigenti (ai quali imputa l’eccessiva ingerenza nelle scelte tecniche e le incoerenze dei calendari), procuratori e giornalisti. Questi ultimi lo considerano un “marquignon bourguignon”, mercante di cavalli borgognone, rimeggiando sulla sua provenienza – in realtà è alsaziano, ndr – e soprattutto sui pochi scrupoli che dimostra nel rivendere a peso d’oro giocatori pagati una miseria o allevati in casa. Due casi per tutti: le controverse cessioni di Taribo West (numero di piastrine molto inferiore al normale) e Khalilou Fadiga (anomalia cardiaca) all’Inter. Ma Roux tira dritto per la sua strada perché per l’AJA restare nell’élite del calcio nazionale ed europeo vale ben più dei trofei che si potrebbero mettere in bacheca mantenendo per anni lo stesso nucleo.

Guy Roux è nato il 18 ottobre 1938 a Colmar, perla dell’Alsazia fra le residenze preferite da Carlo Magno che ha dato i natali allo scultore Frédéric Auguste Bartholdi, cui si deve la Statua della Libertà di New York, e all’illustratore Jean-Jacques Waltz, alias Hansi; personaggi la cui notorietà è oggi insidiata, persino nelle guide turistiche, da quella del mago auxerroise. Suo padre, un colonnello, era nella guarnigione di stanza nella parte antica della città (dove si erano trasferiti nel ’40), ai confini con il fiume Lauch. Il rumore delle esplosioni spinse i genitori ad affidare il piccolo Guy ai nonni paterni, spostatisi nella più tranquilla Appoigny, centro a 10 km a nord di Auxerre che – caso vuole – ha un club di football. Neanche a dirlo, Guy tira i primi calci nell’Appoigny e con i cadetti dell’AJA e intanto prosegue gli studi al liceo Lacques-Amyot di Auxerre.

Il ragazzo non dispone del talento di un Jean Baratte o di un Armand Perverne, per citare due nazionali dell’epoca, ma in testa ha solo il calcio. La sua fortuna è quella di incontrare due padrini d’eccezione, il notaio del paese, Me Chantier, che allena i ragazzini nel cortile, e l’istruttore Jean Teinturier. Entrambi intuiscono subito che quel ragazzino il calcio ce l’ha nel sangue e che in una maniera o nell’altra gli darà da vivere. A Monsieur Teinturier, che gli aveva chiesto che cosa volesse fare da grande, Guy, che allora aveva sette anni, rispose: «Vorrei giocare a calcio per tutta la vita». «Quasi quasi sto per farcela» dice oggi soddisfatto il 66enne Roux, che, quando non dedica anima e corpo alla sua creatura, trova persino il tempo di svolgere le funzioni di consigliere municipale del Comune di Appoigny dans l’Yonne.

Nell’Auxerre arriva 13enne, nel ’51, come centravanti della “èquipe Minime”, la formazione Ragazzi, istituita dal ’33. L’anno dopo, l’adolescente che ha la faccia da vecchietto firma il suo primo cartellino. Nel ’56, è il capitano della formazione Junior (Juniores) seconda ad un torneo giovanile a Laval, nel ’57 lascia l’AJA per entrare da “répétiteur” al centro di formazione (settore giovanile) professionistico di Chauvigny (Vienne). Ma non è il suo trampolino di lancio, perché le proposte del club non vanno molto oltre il fare il raccattapalle durante gli allenamenti. Eccolo allora centrocampista a Poitiers, Division d’Honneur 57-58, dopo aver fallito il test d’ingresso per la Scuola Normale, quindi sorvegliante a Montmorillon dove fa il secondo incontro decisivo della carriera: quello con l’ex nazionale Pierre Flamion, all’epoca tecnico dei dilettanti del Limoges, che lo inizia alla professione affidandogli una formazione giovanile. In CFA (Championnat France Amateur, la quarta serie) Roux gioca ancora per tre anni prima di tornare all’ovile. L’Auxerre, che in 17 anni ha cambiato 10 allenatori, lo chiama per diventare l’11esimo previa approvazione di una commissione composta di ex giocatori con a capo il presidente Jean Garnault. Roux accetta ma da allenatore-giocatore, e non ha niente da perdere: in caso di fallimento, ipotesi assai probabile, poteva sempre riprendere gli studi. Sul perché la società puntò su di lui si potrebbe scrivere un libro. Guy si era ben diisimpegnato come interprete durante la visita di un club inglese, ma soprattutto, anche se all’AJA non lo ammetteranno mai, era il candidato che costava meno.

Nel frattempo, preso il brevetto di Stato dopo i 28 mesi di servizio militare svolti oltre il confine tedesco, a Trier (Trèves il nome francese), dove naturalmente guidò con buoni risultati la squadretta del suo reggimento, si iscrive alla facoltà di Diritto. Nel biennio 1962-64, quando è militare, gestiscono la squadra Gagneux e Jacques Chevalier e forse non è un caso se l’AJA retrocede in Promotion d’Honneur. Garnault però riesce a ottenere dalla Ligue de Borgougne (di cui diventa presidente nel ’63) l’allargamento della Division d’Honneur da 12 a 14 squadre e così l’Auxerre si salva. Contrariamente a quanto avviene in Italia ai nostri giorni, Garnault ritiene incompatibile il doppio incarico e lascia la presidenza del club. Ne prende il posto Jean-Claude Hamel, l’uomo che per oltre quarant’anni darà carta bianca a Roux per costruire ciò che l’Auxerre è oggi. Partendo da zero: anzi da due palloni (Guy dovrà smuovere mari e monti per farsene acquistare altri tre), l’intera attrezzatura a sua disposizione per la stagione 64-65. 

Con lui al timone l’Auxerre impiega sei anni per raggiungere, nel 69-70, la terza divisione e poi quattro per arrivare alla seconda. Nel ’79 sfiora il primo trofeo nazionale: la finale di Coppa di Francia, persa 1-4 ma solo ai supplementari contro i professionisti del Nantes di capitan Henri Michel, Bertrand-Demanes, Rio e Bossis. Nel 79-80 il club sale nella massima serie e si dota, finalmente, di una struttura professionistica. Lo stadio Abbé Deschamps (manto erboso in primis) viene adattato alle nuove esigenze e da lì si parte per arrivare al biennio d’oro che porterà al club la prima Coppa di Francia (nel ’94, 3-0 al Montpellier) e, nel ’96, il “doublé” Campionato-Coppa (2-1 in finale sul Nîmes, club di National 1, la nostra Serie C) con una formazione che aveva Lamouchi, Blanc (rigenerato e rivenduto al Barcellona), Laslandes, Diomède, Silvestre, Charbonnier e West. È invece del 2003 la terza Coppa nazionale, l’ultimo trofeo messo in bacheca nella gestione-Roux, che prima o poi conquisterà anche l’Europa, sin qui neanche assaggiata: quarti di finale (con la Fiorentina nel ’90) e semifinale (persa ai rigori col Borussia Dortmund nel ’93) in Coppa UEFA, semifinale (sempre con il Dortmund, la sua bestia nera, nel ’97) in Champions League. 

Cresciuto ispirandosi ad Albert Batteux, il profeta del grande Stade Reims, e Kader Firoud, al quale ha strappato il record di 782 panchine di Ligue 1, sul piano tattico Roux non ha inventato granché. Ha applicato indifferentemente il 4-3-3, il 4-4-2 e, nel 2003-04, un 4-2-3-1 su misura per il centravanti-rivelazione Cissé (già ceduto al Liverpool). Nessuna guerra di religione zona/uomo, impiego del libero se necessario e fiducia a un portiere forte come unica costante. In 23 anni l’Auxerre ha avuto solo 4 numeri uno: Bats, Martini, Charbonnier e Cool.

La fama di mago del pallone se l’è quindi costruita più che altro con la capacità di adattare moduli e schemi al materiale umano a sua disposizione. Identico per tutti è invece il suo atteggiamento, a volte fin troppo paternalistico e all’antica (mette il becco sul modo di vestire dei calciatori e nei weekend liberi, per controllarli, fa la spola tra una discoteca e l’altra, fintamente ignaro degli accordi fra giocatori e disc jockey, allertati a segnalare l’eventuale presenza del “Vecchio”). 

In Francia la sua popolarità è immensa, fa pubblicità a prodotti di ogni tipo (meglio se legati alla campagna), è opinionista per TF1 e una sua caricatura appare in una specie di popolarissimo muppet show transalpino, Les Guignols, in cui viene ritratto come un contadino per nulla sprovveduto che cura i suoi vitigni. I significati allegorici si sprecano.

Per chiudere una carriera già eccezionale gli manca la Nazionale. Il suo nome viene tirato in ballo ciclicamente come successore del Ct uscente, ma Roux non ha le frequentazioni giuste né le physique du rôle per quel tipo di incarico. Inoltre è inviso a Platini, che nella Federcalcio transalpina conta, eccome. In quarant’anni di “diplomazia zero” e battute al vetriolo, Roux, che divora quotidiani ed è ferratissimo su tutto, si è fatto più nemici che amici.

Al presidente francese Chirac, che lo ha premiato con la Légion d’Honneur, ha detto: «Lei è il terzo presidente che incontro e l’unico al quale darei il mio voto». Il presidente dell’Auxerre, Hamel, e il sindaco della città, Jean-Pierre Soisson, gli concedono ampie libertà ma talvolta Guy esagera. Un esempio. Per competere ai massimi livelli, all’Auxerre servirebbe uno stadio (nuovo o ampliato) all’altezza. La zona adatta allo scopo ha però 23 alberi da frutto e un tiglio: apriti cielo, i Verdi insorgono. Allora Roux una notte ingaggia una squadra di immigrati portoghesi e la mattina dopo i 24 vegetali vengono trovati abbattuti e con essi ogni ostacolo al via dei lavori di ampliamento delle tribune.

Difficile che uno così arrivi a guidare i Bleus. In realtà un’occasione l’aveva avuta. Nel ’98, il dopo-Jacquet sembrava cosa sua, ma ad opporsi fu il presidente dell’Auxerre. Roux restò in Borgogna per onorare i tre anni di contratto, poi rinnovato fino al 2006. Quel contratto che ha deciso di interrompere con un anno di anticipo e dopo aver vinto (lo scorso 5 giugno, 2-1 al Sedan, squadra di Ligue 1) la quarta Coppa di Francia della carriera. Non si è mai capito se Hamel il favore lo ha fatto più a se stesso o al capo.
CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo



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