Prefontaine, la leggenda del re corridore: il runner morto 45 anni fa come James Dean (2020)



Il 30 maggio 1975, appena ventiquattrenne, il mezzofondista americano perde la vita uscendo di strada con la sua MG tra i boschi dell'Oregon. Stile di gara coraggioso, sempre all'attacco e senza tattiche. Come nella finale dei 5000 ai Giochi di Monaco 1972. "C'è chi crea con le parole, o con la musica, o con un pennello, una tavolozza e dei colori. A me piace fare qualcosa di bello quando corro"

di MARCO TAROZZI
Repubblica.it - 30 maggio 2020

"NON VADO in pista necessariamente per vincere. Quello che mi interessa è capire, vedere chi ha più fegato in gara". Non erano semplicemente parole, per Steve Prefontaine. Era uno stile di vita. Per questo, soprattutto per questo, quarantacinque anni dopo la sua morte improvvisa, tragica e prematura, la memoria della gente ne mantiene vivo il ricordo. Più ancora che per quella vita breve e intensa, per quel destino feroce che prima lo fece volare alto e poi gli tarpò le ali all'improvviso, in fondo a una giornata felice, di applausi e consensi dentro e fuori una pista d'atletica.

Quel destino che ne fece, sui giornali e nella memoria collettiva, il "James Dean dell'atletica". Normale: troppe, e troppo facili da elencare, le coincidenze. Jimmy Dean era nato l'8 febbraio del '31, sotto il segno dell'Acquario, e morì tragicamente a ventiquattro anni, in un incidente d'auto. Steve Prefontaine era nato il 25 gennaio del '51, sotto il segno dell'Acquario. La sua vita finì ventiquattro anni dopo, la notte tra il 29 e il 30 maggio del '75, mentre guidava da solo la sua MGB su una strada tra le colline di Eugene, Oregon. L'ultimo film di Dean, "Il Ribelle", uscì col titolo originale "A Rebel without a cause". Prefontaine fu definito, non solo (molti anni più tardi) nell'importante campagna pubblicitaria di un'azienda alla cui crescita aveva contribuito a metà degli anni Settanta, "A Rebel with a cause".


Berkeley, 1971: 
Prefontaine in pista nel meeting Usa-Urss All Stars


Prefontaine vince la gara delle due 
miglia al California Relays di Modesto

E questo, in effetti, era Steve Roland Prefontaine. Un uomo contro per indipendenza e per orgoglio. Contro il sistema che reggeva l'atletica del tempo, con le sue regole ingessate e palesemente assurde. Contro l'indolenza, a cui contrapponeva quella sua vita sempre frenetica e curiosa di tutto. Un ribelle con una, dieci, cento cause da sostenere. E altrettanti progetti da sviluppare. Un ragazzo che quella notte, viaggiando verso casa su Skyline Boulevard, avvicinandosi a quella curva pericolosa e maledetta, pensava a un futuro pieno di cose da fare. Un giovane uomo innamorato della vita, non solo della corsa. Quando il destino decise che toccava proprio a lui, nessuno riuscì a farsene una ragione. Fu come se un motore pieno di idee, di passione, di ideali, un motore che girava a mille, fosse stato improvvisamente distrutto, ridotto a brandelli. E fu il vuoto, e poi l'incredulità e l'assenza. Infine il ricordo, che ancora vive.

Steve Prefontaine era un grande corridore. Un artista, nel suo campo. In questo sì, davvero simile a James Dean. Il suo modo di correre, sempre all'attacco, testa alta e petto in fuori, e sempre con coraggio, infischiandosene delle tattiche e alzando il ritmo fino allo spasimo, gli ha fatto a volte perdere confronti importanti, e raccogliere probabilmente meno di quanto avrebbe potuto. Ma lo ha fatto amare dalla gente, ovunque abbia corso. Soprattutto sulle piste di casa, quella della Marshfield High School a Coos Bay, la sua città natale, e quella di Hayward Field a Eugene, la pista con le tribune di legno gialloverdi dove risuonava cadenzato il grido "Go, Pre!", ogni volta che passava col cuore a mille, la fatica e la febbre agonistica stampate dentro agli occhi, sul rettilineo del traguardo. Solo per lui qualcuno riuscì a trasferire il concetto di "fattore campo", tipico degli sport di squadra, all'atletica. "Vengano qui, all'Hayward Field, quelli che lo hanno battuto a Monaco - dicevano gli appassionati di Eugene - e vedrete che sarà un'altra musica".


1972, Prefontaine in gara per la Oregon University




"Alcuni creano con le parole, o con la musica, o con un pennello, una tavolozza e dei colori. A me piace fare qualcosa di bello quando corro. Mi piace che la gente si fermi a dire: non ho mai visto nessuno correre così prima d'ora. E' qualcosa più di una semplice corsa. E' stile. E' fare qualcosa meglio di chiunque altro. E' essere creativi". Sì, Steve Prefontaine era un artista. E ne aveva assoluta consapevolezza. Monaco fu lo spartiacque della sua carriera. A ventuno anni andò a quell'Olimpiade per vincere la gara dei 5000, e nonostante la finale avesse preso una piega diversa da quella sperata, fece di tutto per coronare il suo sogno. Corse per vincere "la" medaglia, non una qualsiasi medaglia. E l'inglese Ian Stewart gli soffiò quella di bronzo all'ultimo metro, a un tuffo dal traguardo. Nessun mezzofondista così giovane era mai riuscito a vincere una gara difficile come quella, prima. Non ci riuscì nemmeno Prefontaine. Ma corse per vincere.


1972, Prefontaine durante un allenamento




Steve aveva mille interessi, legati all'atletica e oltre l'atletica. Fu il primo "testimonial", parola che allora non si usava, di una piccola azienda fondata a Eugene da Bill Bowerman, suo tecnico alla University of Oregon, e dall'ex atleta Phil Knight. Bowerman inventò scarpe sperimentali e le chiamò "waffle", perché lavorava alle suole con una gomma speciale che plasmava sulla macchinetta per i dolci "presa in prestito" dalla dispensa della moglie. Quelle scarpe venivano portate in giro con una macchina, a margine delle riunioni su pista in Oregon, e proposte agli atleti. La piccola azienda si chiamò dapprima Blue Ribbon Sports, ma presto i suoi fondatori cercarono un nome più propizio ed evocativo, scegliendo quello della dea greca della vittoria, Nike. Non occorre ricordare ciò che quell'azienda rappresenta oggi. Ha vestito fior di campioni, di tutti gli sport. Ma uno soltanto ha l'onore di avere una statua che lo ricorda davanti all'entrata del quartier generale di Beaverton, in Oregon.

Sognava una vita migliore. Combattè e avrebbe ancora combattuto a lungo per conquistarla. Ma non esitò a fare sacrifici, anche economici, per raggiungere i suoi obiettivi nell'atletica. Dal '72, molto prima delle Olimpiadi di Monaco, e fino ai giorni della laurea, quasi due anni dopo, visse in una roulotte sistemata tra Eugene e Springfield, accanto alla riva del fiume Willamette. Per quasi un anno la condivise col compagno di squadra Pat Tyson. "Dicono che mi viene tutto facile. Io dico che tanti potrebbero fare quello che faccio io, ma pochi sanno allenarsi duro come me, sacrificare otto anni di vita, per ora sono otto ma vado avanti, alla corsa non rinuncio. Io corro da quando avevo tredici anni, e ancora non sono stanco. E magari non mi stancherò mai. Una volta mi sognavo capace di correre contro Young o Lindgren. Adesso sogno di vincere l'Olimpiade. Quando e se l'avrò vinta, penserò a vincere le gare per veterani. Se c'è un Paradiso per chi corre, io ci arrivo di sicuro".


Monaco 1972, Prefontaine nella finale dei 5000 alle Olimpiadi


Monaco 1972, Prefontaine e la ottocentista USA 
Madeline Manning al villaggio olimpico

Quelle battaglie per campare con centouno dollari al mese ("la roulotte me ne costa sessanta, poi ci sono le spese per vivere qui. I miei mi aiutano, e anch'io mi aiuto con qualche lavoretto") acuirono il suo scontro contro un organismo, l'AAU, che pretendeva che gli atleti fossero duri e puri e intascava gli introiti delle trasferte internazionali a cui la squadra americana partecipava, decidendo anche dove e contro chi i campioni statunitensi dovessero correre. Non c'era ancora il boom delle corse su strada, ma chi gareggiava in pista o in gare "on the road" doveva adattarsi alle regole dello "shamateurism", il "dilettantismo della vergogna" fatto di pagamenti sottobanco, di lunghe file di atleti davanti alla stanza di un organizzatore dopo una riunione.

Prefontaine combatté tutto questo, con la forza della sua posizione di migliore assoluto in patria, fino alle estreme conseguenze. "Mi dicono che devo battermi per la patria e la vecchia bandiera rossa, bianca e blu. Al diavolo patria e bandiera. La fatica è mia, sono io che corro per l'oro. Da quando sono uscito dall'Università non ho più nemmeno quel ridicolo sussidio mensile. Le conquiste sono mie, non della patria", proclamò nel '75, meno di un mese prima di morire. Ancora: "Se l'AAU la prossima estate non mi farà correre dove voglio in Europa, io non correrò più nei suoi meeting". Pre non combatteva soltanto per sé, ma per dar voce agli atleti contro un concetto ipocrita di dilettantismo. Tre anni dopo la sua morte, nel '78, la questione arrivò fino al Congresso degli Stati Uniti, portata avanti soprattutto da Frank Shorter, maratoneta, oro alle Olimpiadi di Monaco e argento a quelle di Montreal, l'ultimo amico a vedere Pre vivo quella tragica notte. E il Congresso decise: approvò l'Amateur Sports Act e dette una spallata al monopolio dell'AAU sull'atletica leggera. Di lì a poco, corse su strada e meeting su pista iniziarono a prevedere premi in denaro per i loro primattori. Un'altra battaglia vinta da Pre.


Prefontaine nella roulotte dove ha vissuto dal 1972 fino alla laurea

Steve Prefontaine non fu impegnato politicamente, in tempi in cui la politica aveva il suo effetto sui giovani d'America. Meglio: lo fu alla sua maniera, perché politica fu la battaglia contro l'AAU, e vere e proprie orazioni civili furono le sue prese di posizione contro i politicanti di mestiere. "Ho ricevuto risposte più dirette dai detenuti del penitenziario statale, o dai boscaioli della mia città", disse loro quando nel '75 fu chiamato a Salem per esprimersi sulla questione degli incendi nei campi coltivati, una tradizione nelle campagne dell'Oregon che minava la salute dei cittadini. E ai ragazzi di una scuola che gli chiedevano della guerra in Vietnam, consigliò "Statene fuori, finché potete. Non si può credere alla guerra". Fu, semmai, impegnato socialmente in modo profondo. Con i ragazzi delle scuole, appunto, a cui dedicava il suo tempo libero portando il suo esempio, il suo credo del lavoro, la sua esperienza. "Dare appena qualcosa meno del proprio massimo significa sacrificare il Dono". Così si accomiatava da loro, ricordando che per lui il Dono, con la D maiuscola, era stato appassionarsi alla corsa. I ragazzini, gli alunni lo ascoltavano in adorazione, pendevano dalle sue labbra. E ai meeting gli correvano intorno dopo ogni vittoria, felici e festanti.


Prefontaine durante un evento alla Oregon University

Se ne è andato a ventiquattro anni con un traguardo da raggiungere, l'Olimpiade di Montreal, per cui aveva rinunciato a un'offerta di 200.000 dollari (nel '75) dall'ITA, organizzazione che aveva messo in piedi un circuito di gare per atleti professionisti. Tra Monaco e la tragica fine aveva anche accennato, qualche volta, all'idea di mollare con la corsa. Non l'avrebbe fatto, almeno non prima di Montreal, e probabilmente anche dopo avrebbe allargato i suoi orizzonti, magari a specialità più adatte a un'età maturata, come i 10000 metri, o magari affrontando la nuova avventura in via di sviluppo della corsa su strada e della maratona. Ma quell'obiettivo non fu l'unico a restare a metà. Pre era un vulcano di idee, un'anima in perenne movimento. Di ritorno dalle sue tournèe nei paesi scandinavi, aveva creato insieme agli amici Geoff Hollister e Geoff Bannister una società, il Decathlon Club, e intendeva farne un ritrovo non solo di atleti puri, ma anche un punto di riferimento per chi voleva fare attività sportiva, approfondire i concetti di attività motoria e fitness. Un centro con docce, sauna, ambienti per i massaggi e così via. Un'idea vincente e in anticipo sui tempi del boom della corsa. Aveva fatto richiesta per aprire una sede dentro Alton Baker Park, polmone verde tra Eugene e Springfield, e intendeva attrezzare un tracciato per running e jogging all'interno del parco. Lo costruirono sulle rive del fiume Willamette poco dopo la morte di Prefontaine. Ci lavorarono decine di volontari, i boscaioli e i camionisti dell'Oregon offrirono gratuitamente materia prima e mano d'opera. Sul Pre's Trail, da allora, hanno corso e si sono allenati centinaia di migliaia di runners.

Il 30 maggio del '75 se ne andò il più grande corridore d'America, che all'epoca deteneva tutti i record statunitensi dai 2000 ai 10000 metri, e che l'esperienza e il talento potevano solo far maturare. Fin lì, Steve Prefontaine aveva conquistato quattordici volte primati americani, corso nove volte i 5000 sotto i 13:30, e abbattuto otto volte il muro dei quattro minuti nel miglio. Dal 1970 fino alla sua morte aveva vinto 82 delle 102 gare disputate in pista, su distanze dal miglio ai 10000 metri. Nei quattro anni trascorsi alla University of Oregon, aveva vinto quattro titoli NCAA sulle tre miglia o sui 5000, e tre titoli NCAA di campestre. Aveva vinto due volte i campionati AAU sulle tre miglia, nel '71 e nel '73, e i 5000 ai Giochi Panamericani nel '71. Aveva infilato una striscia vincente, sulla pista di Hayward Field, di venticinque successi consecutivi, l'ultimo dei quali poche ore prima dell'addio.
Quella notte se ne andò Pre, il "ribelle con una causa". E da quella notte ha cominciato a vivere la sua leggenda.

(Estratto dal volume "La leggenda del re corridore" - Bradipolibri)


La targa in ricordo di Prefontaine sul bordo della strada, in Oregon, 
dove ha perso la vita nel 1975 in un incidente stradale

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