FINALI MONDIALI - Parigi 1938: Celeste nostalgia


«Vincere o morire» 
– Benito Mussolini 

di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©

Squadra che vince non si cambia, recita il più antico adagio (o luogo comune?) in voga nel mondo del calcio, e Vittorio Pozzo non fa eccezione. Ma se lui schiera la stessa formazione vista in semifinale, il suo collega ungherese Karoly Dietz deve invece fare di necessità virtù. i magiari, già battuti dagli azzurri l’anno prima, non possono contare sul centromediano Turay, infortunatosi (contrattura) contro la Svezia nel turno precedente e sostituito dal terzino Korany. Sulla fascia destra il suo posto è preso dal fluidificante Polgar, meno tecnico ma più solido del collega. Manca inoltre Toldi, mezzala di spiccata vocazione offensiva, rimpiazzato dall’interno Vincze, più portato al lavoro di copertura; e con il conseguente spostamento del talentuoso Zsengeller (che alcuni testi riportano come Szengeller, nda), futuro romanista, sulla sinistra. L’assenza del marsigliese Kohut ha una duplice spiegazione: un problema alla gamba e la mancata appartenenza ad uno dei clan che governano lo spogliatoio. 

LA PARTITA 

L’Italia parte subito forte. Si rende pericolosa in più di un’occasione e dopo cinque minuti è già in vantaggio. Da Andreolo a Serantoni che va a prendersi il pallone sulla sua trequarti, dove salta un avversario e serve Biavati. L’inventore del doppio passo studia la disposizione dei compagni e lancia Piola sulla destra. il centravanti finta il tiro poi mette in mezzo per l’accorrente Colaussi che si sta inserendo dalle retrovie. Battuta al volo secca e precisa: 1-0. 
Neanche il tempo di esultare e l’Ungheria si riporta in parità. 7’, l’azione è tutt’altro che limpida: in mezzo all’area italiana c’è una doppia respinta di testa sulla quale si fionda Sarosi subito fuori dai sedici metri azzurri. il centrattacco ungherese controlla, entra in area ma mentre sta per tirare si allunga troppo il pallone che carambola dalle parti di Andreolo. il centromediano di Pozzo cerca di rinviare come può ma il rilancio si trasforma in un involontario assist sulla sinistra per Zsengeller che, quasi incredulo di tanta grazia, ciabatta in malo modo di prima verso Vincze. Locatelli non interviene, la sfera si impenna, il terzino azzurro Foni tocca appena di testa ma il pallone cade sui piedi dell’ala sinistra Titkos, che proprio non può esimersi dal concludere: gran diagonale e Olivieri è battuto. 1-1. 

L’Italia incassa il colpo senza accusarlo più di tanto e riparte all’attacco. Tiraccio di “Giuanìn” Ferrari, respinge corto il non impeccabile Szabó, sul pallone si avventa Piola che colpisce il palo. Prove tecniche di trasmissione. al 16’ la sua mira si aggiusta e l’azione, forse la più bella del torneo, è di quelle da ricordare. il velocissimo Biavati va in percussione sull’out mancino e mette in mezzo un pallone rasoterra per Piola, da questi a Ferrari che, sottoporta, anziché tirare allarga dalla parte opposta per l’accorrente Andreolo. L’erede tecnico di Luisito Monti salta un paio di uomini e serve lo stesso Piola, colpevolmente lasciato libero a centro area dalla retroguardia magiara. a quel punto il bomberone può controllare indisturbato e lasciar partire una botta che si insacca sotto l’incrocio dei pali. L’Italia è nuovamente avanti, e con un gol nato da una sorta di «torello» pre-partita ma fatto nell’area ungherese. 

A quel punto tutta l’inerzia del mondo sembra tingersi d’azzurro. I campioni in carica sembrano più che mai vicini al bis quando, al 35’, è ancora Colaussi a rendersi protagonista. Ferrari colpisce il palo, sul rimpallo Foni serve Meazza, che lancia Colaussi. L’ala della Triestina se ne va in velocità sulla sinistra, si fa beffe di Polgar e, appena messo piede in area, sferra di destro un tiraccio a girare che sorprende il portiere avversario. Italia tre, Ungheria uno e scusate se fino alla fine del primo tempo non accade più nulla. 

I secondi quarantacinque minuti si aprono come sono terminati i primi e cioè con la formazione italiana sempre votata all’offensiva. 

Gli azzurri centrano un altro palo, stavolta con Biavati (in collaborazione con il portiere ungherese), ma a venti minuti dalla fine devono cedere. Splendido contropiede magiaro Zsengeller-Titkos, concluso da un bel diagonale del liberissimo Sarosi: 2-3 e partita riaperta, perlomeno virtualmente, visto che l’italia non si fa prendere dal panico. i ragazzi di Pozzo sono avvezzi ad ogni battaglia e sanno dominare la più pericolosa delle paure: quella di vincere. 

Alla mezz’ora e dintorni, la riprova. Gli ungheresi spingono forte alla ricerca del pareggio, ma la cerniera difensiva azzurra è impenetrabile e allora devono provarci dalla distanza come al 73’. Facendo così però si scoprono e tre minuti dopo rischiano su una pericolosa occasione di Biavati, sventata da Szabó che di petto (!) devia in angolo. all’82’, invece, ecco la capitolazione. Da Rava a Ferrari a Piola. Questi supera Polgar e Szücs e dà a Biavati. L’inesauribile Amedeo gli restituisce palla con un cross teso sul quale Piola lascia partire un preciso rasoterra che s’infila nell’angolino: 4-2. È fatta. Per lui, così come per Colaussi, è doppietta, per gli azzurri pure. Battuta la degnissima Ungheria, l’Italia si conferma campione del mondo come quattro anni prima a Roma, ma stavolta senza l’ausilio degli arbitri e quasi senza oriundi (solo Andreolo è nato all’estero). a Parigi, davanti a 50.000 tifosi in gran parte ostili perché in essa vedono, non a torto, gli alfieri del regime fascista, è vittoria vera e nasce una Scuola. Quella italiana. 

Nessuno può saperlo ma per rimettere in palio il tanto agognato titolo mondiale bisognerà aspettare dodici anni. Quattordici mesi dopo quel fatidico 19 giugno, le truppe di Hitler invaderanno la Polonia e di mondiale non ci sarà altro che la guerra. La Seconda mondiale. 

LA TATTICA 

L’Italia si riconferma campione a quattro anni di distanza e stavolta lo fa senza sospetti, in un ambiente ostile e contro una gran bella squadra, l’Ungheria del fuoriclasse György Sarosi, indifferentemente centravanti o centromediano di livello assoluto. in un’ideale classifica magiara all-time, quella squadra è seconda solo alla Aranycsapat di Puskas. 

All’epoca la scuola danubiana, in particolare quella budapestina, produce campioni a non finire, soprattutto in attacco. il Ct Dietz si trova così a dover risolvere graditi problemi di abbondanza. Accanto all’inamovibile Sarosi I, ormai stabilmente spostato in avanti, 

il tecnico sceglie Gyula Zsengeller, un ambidestro (visto anche alla Roma e all’Anconitana) che con la palla fra i piedi sa fare meraviglie. 

In finale, è un leggero infortunio ad una gamba, unito al fatto di non appartenere a clan, a costare il posto all’ala sinistra Kohut, sostituito da Pal titkos, che ricopre lo stesso ruolo nell’Hungaria. Completano il quintetto «metodista», l’altro esterno Sas, anche lui dell’Hungaria, e il «classico» interno vincze, compagno di club di Zsengeller all’Ujpest. 

In mediana, avanzato Sarosi, diventa cruciale la figura del centr’-half. dopo l’infortunio (contrattura) patito in semifinale contro la Svezia dal titolare Turay, viene catapultato negli undici Szücs, meno dotato del collega, ma in grado di abbinare la fase di interdizione a 

quella di costruzione. a marcare ci pensano invece Szalay (soprattutto) e Lazar, che sa però anche finalizzare. in terza linea proteggono il modesto portiere Szabó, promosso a spese di Hada dopo la vittoria contro le indie olandesi nel primo match del torneo, l’imponente centrale Biró, fisso a centro area a guardia della prima punta avversaria, e il più tecnico e mobile Polgar. Il merito di Pozzo è stato quello di «dimenticarsi» la squadra del 1934 e di essersi saputo staccare dal modulo imperante, il Metodo della scuola mitteleuropea, per cercare nuove strade, più adatte alla rosa a sua disposizione. Secondo Brera, che probabilmente aveva ragione, il Ct non era un grande tattico ma un profondo conoscitore di uomini e di situazioni. 

Quella di Roma 34 era una squadra stilisticamente forse più bella da vedere, quella di Parigi 38 ha invece più classe e, nel complesso, può dirsi più forte, per quel poco che valgono i paragoni tra squadre di periodi diversi. Rispetto a quella del ’34, in difesa la compagine azzurra conta invece su atleti meno votati alla lotta ma più validi in appoggio. Foni e Rava sono i degni successori della coppia Monzeglio-Allemandi e Andreolo non fa certo rimpiangere Monti. 

A centrocampo, Giovanni Ferrari e Giuseppe Meazza, il più forte calciatore italiano dell’epoca, formano la più classica delle coppie di interni «metodisti». il primo, non velocissimo, faceva delle geometrie e della sagacia tattica i propri punti di forza. del secondo, forse il più grande campione mai espresso dal nostro calcio, è stato già detto e scritto tutto. Basti dire che da quel gran centravanti che era, per far posto a quel satanasso di Piola si ricicla come grandissima mezzala offensiva. 

In attacco poi l’Italia dispone di un potenziale d’eccezione: Piola, un vieri ante litteram che però non si infortunava mai – giocherà in Serie A fino a 41 anni –, attorniato dai velocissimi Biavati a destra e Colaussi, una scoperta personale di Pozzo, a sinistra. Con quei tre là davanti nasceva quasi naturalmente il contropiede all’italiana, arma tattica tanto vituperata quanto efficace. altro che Metodo e Sistema. 

IL TABELLINO 

Parigi, 19 giugno 1938, stadio Colombes 
Italia-Ungheria 4-2 (3-1) 
Italia: A. Olivieri; Foni, Rava; Serantoni, Andreolo, Locatelli; Biavati, Meazza (C), Piola, Ferrari, Colaussi. Ct: Vittorio Pozzo. 
Ungheria: Szabó; Polgar, Biró; Szalay, Szücs, Lázar; Sas, Vincze, Sarosi i (C), Zsengeller, Titkos. Ct: Karoly Dietz. 
Arbitro: Georges Capdeville (Francia). 
Marcatori: 5’ Colaussi (i), 7’ Titkos (U), 16’ Piola (I), 35’ Colaussi (I), 70’ Sarosi I (U), 82’ Piola (I).

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