FINALI MONDIALI - Parigi 1998: Francia-Brasile 3-0 - Black, Blanc, Beur, la rivoluzione franco-algerina


di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
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Rryszard Kapuściński, uno dei massimi corrispondenti di guerra del XX secolo, nel suo Sha-in-shah scrive che «i libri sulle rivoluzioni iniziano di solito con un capitolo dedicato alla corruzione del potere in declino, alle miserie e alla sofferenza del popolo. Dovrebbero invece cominciare con un capitolo di analisi psicologica dove si spieghi il processo per il quale un uomo oppresso e in preda al terrore vince improvvisamente i propri timori e smette di avere paura».

"E magari diventa un campione", Kapuściński avrebbe potuto aggiungere se anziché di uomini oppressi si fosse occupato di calcio. E in particolare di Zinédine Zidane, ex prezioso ninnolo del Bordeaux che alla Juve prima e in nazionale poi ha saputo trasformarsi in imprescindibile uomo-squadra fino ad assurgere a fuoriclasse senza tempo.

«È un processo insolito – continua Kapuściński – che talvolta si compie in un attimo come per una specie di choc liberatorio: l’uomo si sbarazza della paura e si sente libero. Senza questo processo, non ci sarebbe alcuna rivoluzione».

Neanche quella attuata da un ragazzo timido e introverso che fin da bambino, con la palla al piede, dispensava tesori in serie: Zizou, l’anima franco-algerina di un popolo fiero e orgoglioso come nessuno. Un popolo finalmente assiso sul trono del mondo. Anche se solo del pallone.

Finalmente grandeur a sessant’anni distanza, la FIFA riporta il Campionato del mondo in Francia. Oltralpe, si sa, lo sport nazionale è il rugby, seguìto subito dopo dal ciclismo. Il Cucchiaio di legno, per fortuna dei Bleus, nel calcio non esiste altrimenti da quelle parti, in tempi passati, ne avrebbero collezionati per un servizio da dodici.

Se però il gioco della palla ovale è pur sempre il passatempo preferito dai francesi più in là negli anni, ora le giovani generazioni, sempre più multietniche e tecnologicizzate, dispongono di un’appetitosa alternativa: la palla rotonda. E con quella qualcuno di loro ci sa fare per davvero. Barthez, Thuram, Lizarazu, Deschamps, Desailly, Blanc, Karembeu, Petit, Djorkaeff, Zidane, e fior di riserve che si chiamano Vieira, Henry, Trezeguet, Leboeuf, Boghossian, Dugarry. Sembra un all-Star del primo scorcio di terzo millennio, e invece è solo una fetta della rosa capace di vincere, in due anni, Mondiale ed Europeo.

Il calcio della Francia pre-Platini invece aveva conosciuto ben poche soddisfazioni. Tolti l’estemporaneo exploit dell’irraggiungibile Just Fontaine, capocannoniere con 13 gol a Svezia ’58, e il terzo posto mondiale a Messico ’86, i galletti si affacciano nel grande calcio internazionale solo con il trionfo casalingo di "Le roi" Michel e compagni a Euro84.

Poi la nazionale e un po’ tutto il movimento tricouleur erano rimasti alla finestra tanto che a livello di club per vincere la sua prima Coppa dei Campioni il football transalpino aveva dovuto aspettare il Marsiglia dei miracoli edizione 1993. La musica però è cambiata.

IL LUOGO

È lo Stade de France, immensa e futuristica astronave da 80 mila posti (che al costo unitario di 10 milioni di lire fanno 800 miliardi), che il sindaco parigino ha voluto far edificare nel quartiere di St.-Denis, a qualche centinaio di metri da dove riposano i resti di re passati alla storia: Pipino il Breve e Francesco I, giusto per fare due nomi. Non magra consolazione, trattasi d’impianto all’avanguardia e per di più riciclabile per eventi teatrali e concerti.

LA DATA

È il 12 luglio, fosse stato il 14, in Francia un Mito più che una ricorrenza, quasi nemmeno si sarebbe giocato – per manifesta inferiorità (di motivazioni) – tanto era nell’aria il trionfo dei padroni di casa. A scuotere la vigilia uno dei casi destinati a rimanere irrisolti in eterno, come chi ha ammazzato Kennedy, se quello di Marilyn sia stato o no suicidio, o la discesa di Ronaldo all’inferno la notte prima della finale di Parigi.

LA PRESA DELLA PASTIGLIA

Ronie non avrebbe dovuto giocarla, perché era stato malissimo. Svenimento, crisi epilettica. Alla fine sponsor, interessi, pressioni insostenibili per chiunque e tanto più per un ragazzino di 22 anni fanno sì che la controfigura del Fenomeno vada a fare la figuraccia del fenomeno sì, ma da baraccone. Povero Ronaldo, vederlo vagare per il campo stringe il cuore e fa venire il disgusto per certa gente che del calcio, dello sport e addirittura delle persone non gliene importa niente.

A loro interessano share, rating, introiti, plusvalenze, diritti televisivi, d’immagine tutto meno che i diritti di un individuo che se sta male non può, non deve giocare. Neanche se l’individuo in questione smuove milioni di dollari. Neanche se di lui e della sua salute i suoi padroni se ne fanno un... baffo. E chi vuol intendere intenda. Ma tutto questo a chi interessa? Sta di fatto che Ronaldo scende in campo e con lui un Brasile davvero non all’altezza della propria fama.

La squadra che nel ’94 aveva superato ai rigori l’Italia nella fornace di Pasadena, è di quattro anni più vecchia e le nuove leve che in quel collaudato telaio sono state innestate non sembrano ancora pronte a raccoglierne l’ideale testimone. 

Dall’altra parte, i francesi hanno davanti l’occasione della vita per laurearsi Campioni del mondo: la loro squadra è fortissima, hanno il miglior giocatore del Mondiale e in quel momento forse del globo e per di più giocano in casa. Una chance irripetibile che non può essere sprecata.


LA PARTITA

Agli ordini del signor Said Belqola, 41-enne arbitro della federazione marocchina, di professione ispettore doganale a Fez e primo africano a dirigere una finale mondiale, le due squadre si schierano nella formazione-tipo.

Sin dalle prime battute si intuisce quale sarà l’andazzo della gara. Francia che appare gagliarda e convinta di farcela, trascinata da uno Zidane quanto mai in palla; Brasile molle, disorganizzato, quasi svuotato: la fotocopia formato A11 del fantasma col numero 9, il «fratello» scarso di un campionissimo mandato allo sbaraglio da uno staff medico colpevolmente complice della federazione.

Dopo 34” di gioco «galletti» subito vicino al gol con una mezza rovesciata di Guivarc’h.

Al 3’, altro affondo francese. Zidane e Djorkaeff scambiano in velocità per servire lo stesso Guivarc’h che però getta al vento il succulento servizio tirando debolmente.

Passano diciotto minuti e a Ronaldo arriva il primo pallone giocabile. Sulla sinistra il Fenomeno si libera di Thuram e mette al centro, Barthez pasticcia ma poi, quasi sulla linea di porta, riesce a rimediare. Cinque minuti ancora e il match prende il suo ineluttabile corso.

È il 27’ quando su un morbido corner che Petit batte di sinistro dalla destra, Zidane prende l’ascensore, supera nello stacco il brasiliano Leonardo (che però lo marca dandogli colpevolmente le spalle) e in torsione gira di testa in rete il pallone dell’1-0. È la nascita di una nazione. Calcistica. 

Il Brasile sembra tramortito, proprio come Ronaldo e Barthez dieci minuti dopo allorché il portiere esce in presa alta anticipando l’attaccante scattato lungo la corsia centrale. L’impatto tra i due, che restano a terra, sembra uno scontro fra TGV, i rinomati treni ad alta velocità delle ferrovie francesi. Inevitabile che i malcapitati ci mettano un po’ a riprendersi. Per un attimo la paura è tanta, sembra di rivedere un film dell’orrore a cui i francesi avevano già assistito in semifinale a Messico ’86, quando il portiere tedesco Harald "Toni" Schumacher uscì a valanga sul povero Patrick Battiston. Senza poi mai almeno chiedergli scusa.

Ultimi scampoli di primo tempo, la Francia continua ad attaccare. Al 41’, una buona manovra d’insieme dei padroni di casa. Karembeu, defilato sulla destra, va al tiro ma la sua conclusione viene respinta da Júnior Baiano. Ne nasce un rimpallo sul quale si avventa Petit che calcia deciso. La palla, deviata, finisce sull’esterno della rete alla destra della porta difesa da Taffarel. ennesima occasione sprecata da Guivarc’h che spreca tirando a lato da favorevole posizione. L’attaccante e Deschamps si mettono le mani nei capelli.

In chiusura di tempo, arriva per i verdeoro la mazzata finale. Minuto 46: Taffarel si supera mettendo in angolo. Dalla bandierina di sinistra Djorkaeff disegna un bellissimo arco sul quale sale d’imperio Zidane – sempre lui – che ancora di testa, con la palla che passa in mezzo alle gambe di Roberto Carlos, chiude partita e mondiale; 2-0 e Brasile in ginocchio. Ora: Zinédine è un fuoriclasse e questo lo sanno anche i sassi, per carità, ma regalargli due gol di testa a quella maniera, con la difesa di pietra, pare perlomeno masochistico.

Secondo tempo che sa di accademia. Il Brasile torna in campo con Denílson al posto dello spento Leonardo. Basterà? Il quesito, facilino, è il prototipo della domanda retorica: contiene già la risposta.

Al quarto d’ora, l’occasione per una possibile riapertura di una partita già da tempo sottochiave: pallone alto da destra, Barthez sfiora appena. La palla cade sui piedi di Bebeto che conclude a botta sicura, Desailly si materializza sulla linea e respinge. È l’ultimo segnale mandato dal destino; che al 68’ sembra sorridere agli auriverdes: Marcel Desailly si becca il secondo cartellino giallo e viene espulso. Mário Zagallo allora gioca l’ultima carta e al 74’ toglie César Sampaio per inserire la terza punta, "O Animal" Edmundo. Non servirà. Sarebbe servito eccome, senza Batistuta infortunato, la stagione dopo alla Fiorentina campione d'inverno, che invece se lo vide tornare a Rio in piedi saudade per il Carnevale. Altra storia. 


LA TATTICA

I Bleus, zeppi di sapienti palleggiatori, fanno melina e a centrocampo la loro superiorità, numerica e tecnica, non è mai in discussione. Qualche critico buontempone parlerà di 4-3-3, non credetegli: a parte che Guivarc’h è sì un centravanti ma per modo di dire: perché se ne sta là davanti tutto solo – hai detto niente – a prender botte e a creare spazi per gli inserimenti dei centrocampisti (Zidane e Djorkaeff su tutti ma anche Emmanuel Petit). Mentre sulle corsie esterne non ci sono attaccanti veri, ma scaltri e rapidi guastatori che vi si fiondano quando è il caso e che sanno ripiegare per dar manforte in mediana. Ne viene fuori una cerniera duttile e mobile, capace di far male ma di non farsene fare. Altro che tridente.

Aimé Jacquet sa il fatto suo: difesa di ferro, con i quattro in linea schierati a zona e ancorati alla montagna Desailly, tornato per l’occasione al poco gradito ruolo di centrale difensivo. Completano il pacchetto arretrato due splendidi cursori esterni, tecnici e inesauribili, come Lilian Thuram a destra e Bixente Lizarazu a sinistra; e il libero Laurent Blanc, lento ma dalla classe ancora cristallina, che, squalificato, deve però saltare la finale, rimpiazzato dal più grezzo ma arcigno Frank Leboeuf.

Dei satanassi di centrocampo s’è detto, ma una particolare menzione va ai due biondi del reparto, l’antico guerriero Didier Deschamps, ormai più brizzolato che color oro, e il più giovane Petit, che al 47’ conclude in gol uno splendido contropiede: 3-0, una punizione che può apparire persino eccessiva tenendo conto che in campo c’è il Brasile. Non lo è per quel Brasile.

Ancora una volta, nel vecchio continente è una formazione europea a laurearsi campione. Fin lì solo il Brasile ’58 ha infranto la tradizione andando a vincere in Svezia. Per il resto, la solita spartizione del globo. Nel caso specifico, poi, la conquista ha un che di storico: la Francia, la squadra con la miglior difesa e il miglior attacco nel torneo, sale per la prima volta sul tetto del mondo. E la prima volta, si sa, è sempre un po’ più bella.

«J’aime la France», recita lo slogan delle aziende di soggiorno locali, e la consueta grandeur transalpina può finalmente avere libero sfogo. Al 14 luglio mancano ancora due giorni, ma che importa? Le polemiche sulla squadra - a seconda del daltonismo - sempre troppo o troppo poco Black, Blanc, Beur è, finalmente di tutti. Solo e soltanto BleuChapeau bas
CHRISTIAN GIORDANO ©

IL TABELLINO
12 luglio 1998, Stade de France, Saint-Denis, Parigi, ore 21
Francia-Brasile 3-0
Francia (4-3-2-1): Barthez - Thuram, Leboeuf, Desailly, Lizarazu - Karembeu (57’ Boghossian), Deschamps, Petit - Djorkaeff (75’ Vieira), Zidane - Guivarc’h (65’ Dugarry). Ct: Aimé Jacquet.
Brasile (4-2-2-2): Taffarel - Cafu, Júnior Baiano, Aldair, Roberto Carlos - César Sampaio (74’ Edmundo), Dunga - Leonardo (46’ Denílson), Rivaldo - Ronaldo, Bebeto. Ct: Mario Jórge Lobo Zagallo.
Arbitro: Said Belqola (Marocco).
Marcatori: 27’ e 46’ Zidane, 92’ Petit.
Ammoniti: Júnior Baiano (B), Deschamps (F), Desailly (F), Karembeu (F), Desailly (F).
Espulso: 67’ Desailly (F) per doppia ammonizione.
Spettatori: 80 mila circa.

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